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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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La Professoressa Umbridge


   La mattina dopo, Seamus si vestì in tutta fretta e uscì dal dormitorio prima che Harry avesse il tempo di infilarsi i calzini.
    «Ha paura di diventare uno svitato se sta nella stessa stanza con me per troppo tempo?» chiese Harry ad alta voce, mentre l’orlo della veste di Seamus spariva svolazzando.
    «Lascia stare, Harry» borbottò Dean, issandosi in spalla la borsa dei libri, «è solo…»
    Ma non riuscì a dire con precisione che cos’era Seamus, e dopo una pausa di imbarazzo se ne andò anche lui.
    Sia Neville che Ron rivolsero a Harry uno sguardo che voleva dire è-un-problema-suo-non-tuo, ma lui non si sentì molto consolato. Quanto ancora avrebbe dovuto sopportare?
    «Che cosa succede?» chiese Hermione cinque minuti dopo, raggiungendo Harry e Ron nella sala comune per scendere a fare colazione. «Sembri assolutamente… oh, per l’amor del cielo…»
    Stava guardando la bacheca, dove era stato affisso un grosso cartello nuovo.
   
    GALLONI DI GALEONI!
    Le vostre paghette non bastano per le vostre spese?
    Vi piacerebbe guadagnare un po’? Contattate Fred e George Weasley, sala comune di Grifondoro, per un impiego semplice, part-time, virtualmente indolore. (purtroppo il lavoro è a rischio e pencolo dei candidati.)
   
    «Hanno passato il limite» commentò Hermione in tono cupo, staccando il cartello che Fred e George avevano appeso sopra la comunicazione del primo finesettimana a Hogsmeade, che sarebbe stato in ottobre.
    Ron fece una faccia decisamente preoccupata.
    «Perché?»
    «Perché siamo prefetti!» esclamò Hermione, attraversando il buco del ritratto. «Sta a noi stroncare questo genere di cose!»
    Ron non rispose; Harry capì dalla sua espressione accigliata che la prospettiva di impedire a Fred e George di fare esattamente quello che volevano non gli sembrava allettante.
    «Ma insomma, che cosa c’è, Harry?» continuò Hermione mentre scendevano una rampa di scale fiancheggiate da ritratti di vecchi maghi e streghe che, immersi in una loro conversazione, li ignorarono. «Sembri proprio arrabbiato».
    «Seamus crede che Harry stia mentendo su Tu-Sai-Chi» spiegò Ron succinto, quando Harry non rispose.
    Hermione, da cui Harry si aspettava una reazione stizzita, sospirò.
    «Sì, anche Lavanda la pensa così».
    «Avete fatto una bella chiacchieratina, avete discusso se sono un idiota bugiardo che cerca di attirare l’attenzione?» scattò Harry.
    «No» rispose Hermione tranquilla. «Le ho detto di chiudere quella boccaccia, veramente. E sarebbe carino se la smettessi di aggredirci, Harry, perché, nel caso non te ne sia accorto, io e Ron siamo dalla tua parte».
    Ci fu una breve pausa.
    «Scusa» mormorò Harry.
    «Figurati» disse Hermione con grande sussiego. Poi scosse il capo. «Non ti ricordi che cos’ha detto Silente al banchetto di fine anno?»
    Sia Harry che Ron la guardarono con aria smarrita e Hermione sospirò di nuovo.
    «Su Voi-Sapete-Chi. Ha detto che la sua “abilità nel seminare discordia e inimicizia è molto grande. Possiamo combatterla solo mostrando un legame altrettanto forte di amicizia e fiducia…”»
    «Come fai a ricordarti una cosa del genere?» chiese Ron, guardandola ammirato.
    «Ascolto, Ron» disse Hermione, con una punta di asprezza.
    «Anch’io ascolto, però non saprei dirti che cosa…»
    «Il punto è» proseguì Hermione, «che è esattamente di questo che parlava Silente. Voi-Sapete-Chi è tornato solo due mesi fa e abbiamo già cominciato a litigare fra noi. E l’avvertimento del Cappello Parlante è lo stesso: state vicini, restate uniti…»
    «Harry aveva ragione ieri sera» ribatté Ron. «Se vuol dire che dobbiamo fare gli amiconi con Serpeverde… non se ne parla proprio».
    «Be’, io penso che sia un peccato non sforzarsi di ottenere un po’ di unità tra le Case» concluse Hermione severa.
    Erano arrivati ai piedi della scalinata di marmo. Una fila di Corvonero del quarto anno attraversava la Sala d’Ingresso; avvistarono Harry e si affrettarono a stringersi tra loro, come se avessero paura che potesse attaccare gli isolati.
    «Sì, dovremmo proprio fare amicizia con gente del genere» commentò Harry, sarcastico.
    Seguirono quelli di Corvonero nella Sala Grande ed entrando guardarono tutti d’istinto verso il tavolo degli insegnanti. La professoressa Caporal chiacchierava con la professoressa Sinistra, l’insegnante di Astronomia, e Hagrid ancora una volta si notava solo per l’assenza. Il soffitto incantato sopra di loro rifletteva l’umore di Harry: un deprimente grigio da pioggia.
    «Silente non ha nemmeno detto quanto resterà la Caporal» osservò Harry, mentre raggiungevano il tavolo di Grifondoro.
    «Forse…» disse Hermione pensierosa.
    «Cosa?» chiesero Harry e Ron in coro.
    «Be’… forse non voleva attirare l’attenzione sul fatto che Hagrid non è qui».
    «Come sarebbe, attirare l’attenzione?» disse Ron con una mezza risata. «Come facevamo a non accorgercene?»
    Prima che Hermione potesse rispondere, una ragazza nera alta, con lunghe treccine si avvicinò a Harry.
    «Ciao, Angelina».
    «Ciao» disse lei in tono spiccio, «bella estate?» E senza aspettare risposta: «Senti, sono diventata Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro».
    «Magnifico» Harry le rivolse un gran sorriso; immaginava che le ramanzine di Angelina non sarebbero state prolisse come quelle di Oliver Baston, il che poteva essere solo un miglioramento.
    «Sì, be’, abbiamo bisogno di un nuovo Portiere adesso che Oliver se n’è andato. I provini sono venerdì alle cinque e voglio che ci sia tutta la squadra, d’accordo? Così possiamo vedere come si inserisce il nuovo giocatore».
    «Va bene» rispose Harry.
    Angelina gli sorrise e se ne andò.
    «Mi ero dimenticata che Baston non c’è più» disse Hermione vaga, sedendosi vicino a Ron e tirando verso di sé un piatto di pane tostato. «Immagino che per la squadra farà una bella differenza, vero?»
    «Credo di sì» rispose Harry, prendendo posto sulla panca di fronte. «Era un buon Portiere…»
    «Ma non sarà male avere delle nuove energie, no?» disse Ron.
    Tra fruscii e sbatter d’ali, centinaia di gufi planarono dalle finestre in alto, portando lettere e pacchetti ai destinatari e spruzzando i ragazzi seduti a far colazione con una pioggia di goccioline d’acqua; evidentemente fuori pioveva forte. Edvige non c’era, ma Harry non ne fu sorpreso; il suo unico corrispondente era Sirius e dubitava che avesse qualcosa di nuovo da dirgli dopo solo ventiquattr’ore. Hermione, invece, dovette spostare in fretta il suo succo d’arancia per fare spazio a un grosso umido gufo che reggeva nel becco una copia zuppa della Gazzetta del Profeta.
    «Come mai continui a riceverla?» chiese Harry irritato, pensando a Seamus, mentre Hermione infilava uno zellino nella borsa di cuoio sulla zampa del gufo, che decollò subito. «A me non interessa… dice un mucchio di sciocchezze».
    «È meglio sapere che cosa pensa il nemico» rispose Hermione cupa, poi srotolò il quotidiano, ci sparì dietro e non riemerse finché Harry e Ron non ebbero finito di mangiare.
    «Niente» disse semplicemente, arrotolando il giornale e posandolo vicino al piatto. «Niente su di te o su Silente o nient’altro».
    La professoressa McGranitt avanzava lungo il tavolo, distribuendo gli orari.
    «Guardate oggi!» gemette Ron. «Storia della Magia, due ore di Pozioni, Divinazione e due ore di Difesa contro le Arti Oscure… Rüf, Piton, Cooman e quella Umbridge tutti in un giorno! Spero che Fred e George si spiccino a perfezionare quelle Merendine Marinare…»
    «Le mie orecchie m’ingannano?» domandò Fred, arrivando con George e stringendosi sulla panca vicino a Harry. «I prefetti di Hogwarts certo non desiderano saltare le lezioni, vero?»
    «Guarda che cos’abbiamo oggi» ribatté Ron scontroso, ficcando l’orario sotto il naso di Fred. «È il lunedì peggiore che abbia mai visto».
    «Hai ragione, fratellino» disse Fred, scorrendo la colonna. «Puoi avere un po’ di Torrone Sanguinolento a buon prezzo, se vuoi».
    «Come mai costa poco?» chiese Ron insospettito.
    «Perché continui a perdere sangue dal naso finché non ti prosciughi; non abbiamo ancora trovato un antidoto» rispose George, servendosi un’aringa affumicata.
    «Grazie tante» borbottò Ron, intascando l’orario, «ma credo che sceglierò le lezioni».
    «E a proposito delle vostre Merendine Marinare» intervenne Hermione, scrutando Fred e George con gli occhi fiammeggianti, «non potete attaccare annunci sulla bacheca di Grifondoro per cercare cavie».
    «E chi lo dice?» chiese George, esterrefatto.
    «Io» rispose Hermione. «E Ron».
    «Lasciami fuori» disse Ron in fretta.
    Hermione lo guardò torva. Fred e George ridacchiarono.
    «Cambierai registro molto presto, Hermione» disse Fred, spalmando uno spesso strato di burro su una focaccina. «Stai cominciando il quinto anno, e molto presto pregherai in ginocchio per una Merendina».
    «E perché cominciare il quinto anno dovrebbe farmi desiderare una Merendina Marinara?» chiese Hermione.
    «Il quinto è l’anno del G.U.F.O.»
    «E allora?»
    «E allora si avvicinano gli esami, no? Vi faranno sgobbare da star male» disse Fred con gusto.
    «Metà di quelli del nostro anno hanno avuto un esaurimento nervoso in zona G.U.F.O.» raccontò George allegramente. «Lacrime e scenate… Patricia Stimpson continuava a svenire…»
    «A Kenneth Towler sono venute le pustole, ti ricordi?» continuò Fred abbandonandosi alle memorie.
    «Perché gli avevi messo della polvere di Bulbadox nel pigiama» gli rammentò George.
    «Oh, sì» disse Fred con un ghigno. «Me l’ero scordato… è difficile tenere tutto a mente, a volte, vero?»
    «Comunque è un anno da incubo, il quinto» proseguì George. «Se a uno importano i risultati degli esami, almeno. Io e Fred siamo riusciti a tenerci su».
    «Sicuro… vi siete beccati, quanti erano, tre G.U.F.O. per ciascuno?» chiese Ron.
    «Sì» rispose Fred con aria indifferente. «Ma abbiamo la sensazione che il nostro futuro si estenda oltre il mondo dei successi accademici».
    «Abbiamo seriamente discusso se dovevamo prenderci la briga di tornare qui per il settimo anno» disse George tutto allegro, «adesso che abbiamo…»
    Era lì lì per farsi scappare della vincita del Tremaghi, ma s’interruppe a un’occhiataccia di Harry.
    «…adesso che abbiamo i nostri G.U.F.O.» concluse in fretta. «Voglio dire, abbiamo proprio bisogno dei M.A.G.O.? Ma abbiamo pensato che la mamma non avrebbe sopportato che lasciassimo la scuola in anticipo, non adesso che Percy si è rivelato l’idiota più grande del mondo».
    «Non abbiamo intenzione di sprecare l’ultimo anno che passiamo qui, però» disse Fred, e guardò con affetto la Sala Grande. «Lo useremo per fare un po’ di ricerche di mercato, scoprire esattamente che cosa chiede lo studente medio di Hogwarts a un negozio di scherzi, valutare con attenzione i risultati della nostra indagine e infine proporre prodotti che soddisfino la domanda».
    «Ma dove li prenderete i soldi per aprire un negozio di scherzi?» chiese Hermione scettica. «Vi serviranno gli ingredienti e il materiale… e anche i locali, immagino…»
    Harry non guardò i gemelli. Si sentiva il viso bollente: lasciò cadere apposta la forchetta in terra e si tuffò a riprenderla. Sentì Fred che diceva: «Non farci domande e non ti racconteremo bugie, Hermione. Andiamo, George, se arriviamo presto forse riusciamo a vendere un po’ di Orecchie Oblunghe prima di Erbologia».
    Harry affiorò da sotto il tavolo e vide Fred e George allontanarsi, carichi di pile di pane tostato.
    «Che cosa voleva dire?» chiese Hermione, guardando prima Harry, poi Ron. «“Non farci domande…” Vuol dire che hanno già dell’oro per aprire un negozio?»
    «Sai, me lo chiedo anch’io» disse Ron, la fronte aggrottata. «Mi hanno regalato un nuovo corredo di vestiti quest’estate e non sono riuscito a capire dove hanno preso i galeoni…»
    Harry decise che era ora di deviare la conversazione da quel terreno pericoloso.
    «Pensate che davvero quest’anno sarà così duro?»
    «Oh, sì» disse Ron. «Deve esserlo, no? I G.U.F.O. sono proprio importanti, il lavoro che puoi cercare dipende da loro, e tutto il resto. Quest’anno, più avanti, ci sono anche gli incontri di orientamento professionale, me l’ha detto Bill. Così uno può scegliere i M.A.G.O. che vuole affrontare l’anno prossimo».
    «Voi lo sapete che cosa volete fare dopo Hogwarts?» chiese Harry agli altri due poco dopo, quando uscirono dalla Sala Grande diretti a Storia della Magia.
    «Non proprio» disse Ron lentamente. «Solo che… be’…» Sembrava un po’ imbarazzato.
    «Che cosa?» insisté Harry.
    «Be’, sarebbe forte diventare Auror» rispose Ron disinvolto.
    «Sì, è vero» concordò Harry.
    «Però sono, insomma, il meglio» disse Ron. «Bisogna essere bravi sul serio. E tu, Hermione?»
    «Non so» rispose lei. «Credo che mi piacerebbe fare qualcosa di davvero utile».
    «Un Auror è utile!» esclamò Harry.
    «Sì, è vero, ma non è la sola cosa utile» disse Hermione pensosa. «Voglio dire, se riuscissi a far crescere il CREPA…»
    Harry e Ron evitarono accuratamente di guardarsi.
    Storia della Magia era per opinione comune la materia più noiosa mai concepita dal mondo magico. Il professor Rüf, il loro insegnante fantasma, aveva una voce affannosa e monotona che dava la garanzia quasi assoluta di una pesante sonnolenza entro dieci minuti, cinque quando faceva caldo. Non variava mai la forma delle sue lezioni, ma parlava senza interrompersi mentre gli allievi prendevano appunti, o piuttosto fissavano il vuoto insonnoliti. Harry e Ron fino ad allora erano riusciti a strappare la sufficienza copiando gli appunti di Hermione prima degli esami; solo lei sembrava capace di resistere al potere soporifero della voce di Rüf.
    Quel giorno sopportarono tre quarti d’ora di borbottii sulle guerre dei giganti. Harry sentì abbastanza nei primi dieci minuti da intuire che, affidata a un altro insegnante, la materia avrebbe potuto essere vagamente interessante, ma a quel punto il suo cervello si scollegò, e lui trascorse la restante ora e venti a giocare con Ron all’impiccato su un angolo della pergamena, sotto gli sguardi torvi di Hermione.
    «Che cosa succederebbe» chiese lei in tono gelido quando uscirono dalla classe per l’intervallo (Rüf fluttuò via attraverso la lavagna), «se quest’anno mi rifiutassi di prestarvi i miei appunti?»
    «Verremmo bocciati al G.U.F.O.» rispose Ron. «Se vuoi questo peso sulla coscienza, Hermione…»
    «Be’, ve lo meritereste» sbottò lei. «Non ci provate nemmeno ad ascoltarlo, vero?»
    «Ci proviamo eccome» ribatté Ron. «È solo che non abbiamo il tuo cervello o la tua memoria o la tua concentrazione… sei più brava di noi, tutto qui… ti pare bello farcelo pesare?»
    «Oh, non rifilarmi queste sciocchezze» disse Hermione, ma parve un po’ addolcita mentre marciava davanti a loro nel cortile umido.
    Cadeva una pioggerellina fitta e leggera, e i ragazzi riuniti a gruppetti attorno al cortile sembravano come sfocati. Harry, Ron e Hermione scelsero un angolo appartato sotto un balcone che gocciolava pesantemente, si rialzarono i colletti contro la fredda aria di settembre e parlarono di che cosa avrebbe preparato Piton per la prima lezione dell’anno. Erano arrivati a concordare che probabilmente sarebbe stato qualcosa di molto impegnativo, per coglierli alla sprovvista dopo due mesi di vacanze, quando qualcuno voltò l’angolo e venne verso di loro.
    «Ciao, Harry!»
    Era Cho Chang, e per di più era di nuovo sola. Cosa alquanto insolita: Cho era quasi sempre circondata da una banda di ragazze ridacchianti; Harry ricordava la difficoltà di trovarla da sola per invitarla al Ballo del Ceppo.
    «Ciao» le disse, e sentì che la faccia gli si scaldava. Almeno questa volta non sei coperto di Puzzalinfa, si disse. Cho a quanto pareva stava pensando la stessa cosa.
    «Allora ti sei liberato di quella roba, eh?»
    «Sì» rispose Harry, cercando di sorridere, come se il ricordo del loro ultimo incontro fosse divertente invece che umiliante. «Allora, hai… ehm… passato una bella estate?»
    Il tempo di pronunciare queste parole, e desiderò di non averlo fatto: Cedric era stato il ragazzo di Cho, e il ricordo della sua morte doveva aver afflitto la sua vacanza almeno quanto quella di Harry. Qualcosa parve irrigidirsi sul suo volto, ma lei rispose: «Oh, è andato tutto bene, sai…»
    «È una spilla dei Tornados?» chiese Ron all’improvviso, indicando la veste di Cho, dove era fissata una spilla azzurro cielo con incisa una doppia “T” d’oro. «Non tieni mica per loro, vero?»
    «Sì» rispose Cho.
    «Da sempre, o solo da quando hanno cominciato a vincere il campionato?» chiese Ron, con un tono di voce che Harry giudicò eccessivamente accusatorio.
    «Tengo per loro da quando avevo sei anni» rispose Cho con freddezza. «Comunque… ci vediamo, Harry».
    E se ne andò. Hermione aspettò che Cho fosse a metà cortile prima di scagliarsi contro Ron.
    «Sei privo di qualsiasi tatto!»
    «Che cosa? Le ho chiesto solo se…»
    «Non hai capito che voleva parlare da sola con Harry?»
    «E allora? Poteva farlo, non gliel’ho impedito…»
    «Perché l’hai aggredita sulla sua squadra di Quidditch?»
    «Aggredita? Io non l’ho aggredita, stavo solo…»
    «Chi se ne importa se tiene ai Tornados?»
    «Oh, andiamo, metà della gente che vedi con quelle spille le ha comprate solo la stagione scorsa…»
    «Ma che importanza ha?»
    «Vuol dire che non sono dei veri tifosi, saltano sul carrozzone del vincitore…»
    «La campanella» disse Harry svogliato, perché Ron e Hermione discutevano a voce troppo alta per poterla sentire. Non smisero di litigare per tutta la strada fino al sotterraneo di Piton, così Harry ebbe il tempo per riflettere che, tra Neville e Ron, sarebbe stato fortunato a sostenere due minuti di conversazione con Cho che poi potesse ricordare senza voler lasciare il paese.
    Eppure, pensò mentre si univano alla coda che si allungava fuori dalla classe di Piton, Cho aveva deciso di venire a parlare con lui, no? Era stata la ragazza di Cedric; avrebbe potuto odiare Harry per essere uscito vivo dal labirinto del Tremaghi quando Cedric era morto, eppure gli parlava da amica, non come se lo credesse pazzo, o bugiardo, o in qualche orrendo modo responsabile per la morte di Cedric… sì, aveva proprio deciso di venire a parlare con lui, ed era la seconda volta in due giorni… a quell’idea l’umore di Harry si risollevò. Perfino il cigolio minaccioso della porta del sotterraneo di Piton che si apriva non fece scoppiare la piccola, speranzosa bolla che pareva essersi gonfiata nel suo petto. Entrò in classe dietro a Ron e Hermione e li seguì al solito banco in fondo, dove sedette ignorando i loro battibecchi.
    «Seduti» disse Piton con voce fredda, chiudendosi la porta alle spalle.
    Non ci fu bisogno di richiamare nessuno all’ordine: nel momento in cui la classe aveva sentito la porta chiudersi, ogni irrequietezza si era placata. La sola presenza di Piton bastava ad assicurare il silenzio in una classe.
    «Prima di cominciare la lezione di oggi» disse Piton, raggiungendo la cattedra e facendo scorrere lo sguardo su tutti gli studenti, «ritengo opportuno ricordarvi che il prossimo giugno affronterete un esame importante, durante il quale dimostrerete quanto avete imparato sulla composizione e l’uso delle pozioni magiche. Per quanto alcuni alunni di questa classe siano senza dubbio deficienti, mi aspetto che strappiate un “Accettabile” al vostro G.U.F.O., o incorrerete nel mio… disappunto».
    Il suo sguardo questa volta indugiò su Neville, che deglutì.
    «Dopo quest’anno, naturalmente, molti di voi smetteranno di studiare con me» continuò Piton. «Io ammetto solo i migliori nella mia classe di Pozioni per il M.A.G.O., il che significa che ad alcuni dovrò dire addio».
    I suoi occhi si soffermarono su Harry e le sue labbra si arricciarono. Harry rispose allo sguardo torvo, provando un fiero piacere all’idea che dopo il quinto anno avrebbe potuto piantarla con Pozioni.
    «Ma abbiamo un altro anno davanti prima di quel lieto congedo» continuò Piton piano, «così, che intendiate o no cercare di affrontare il M.A.G.O., consiglio a tutti voi di concentrare i vostri sforzi sul mantenimento dell’alta media che mi aspetto dai miei studenti.
    «Oggi prepareremo una pozione che viene richiesta spesso al G.U.F.O.: la Bevanda della Pace, una pozione che calma l’ansia e placa l’agitazione. Attenti: se esagerate con gli ingredienti infliggerete al bevitore un sonno pesante e qualche volta irreversibile, quindi dovete prestare molta attenzione». Alla sinistra di Harry, Hermione si mise un po’ più diritta, ostentando la massima concentrazione. «Gli ingredienti e il metodo» disse Piton, agitando appena la bacchetta, «sono sulla lavagna» (e vi apparvero). «Troverete tutto quello che occorre» e agitò di nuovo la bacchetta, «nell’armadio» (la porta dell’armadio si spalancò). «Avete un’ora e mezza… cominciate».
    Proprio come Harry, Ron e Hermione avevano predetto, Piton non avrebbe potuto assegnare una pozione più complicata e insidiosa. Gli ingredienti dovevano essere aggiunti nel calderone nell’ordine e nella quantità esatti; l’intruglio doveva essere mescolato per un preciso numero di volte, prima in senso orario, poi antiorario; il calore della fiamma sul quale sobbolliva doveva essere abbassato esattamente al livello giusto per un determinato numero di minuti prima di aggiungere l’ingrediente finale.
    «Un lieve vapore d’argento dovrebbe ora sprigionarsi dalle vostre pozioni» annunciò Piton, a dieci minuti dalla fine.
    Harry, che sudava copiosamente, si guardò intorno disperato. Il suo calderone emanava un’abbondante quantità di fumo grigio scuro; quello di Ron sprizzava scintille verdi. Seamus attizzava in modo febbrile le fiamme alla base del suo con la punta della bacchetta, perché erano lì lì per spegnersi. La superficie della pozione di Hermione, tuttavia, era una nebbiolina fosforescente di vapore argenteo, e passando Piton la guardò senza fare commenti, il che voleva dire che non trovava nulla da criticare. Ma davanti al calderone di Harry si fermò, e lo scrutò con un orribile sorriso mellifluo.
    «Potter, e questa che cosa sarebbe?»
    I Serpeverde in prima fila alzarono lo sguardo eccitati; adoravano quando Piton tormentava Harry.
    «La Bevanda della Pace» rispose Harry, teso.
    «Dimmi un po’, Potter» disse Piton dolcemente, «sai leggere?»
    Draco Malfoy rise.
    «Sì» rispose Harry, le dita serrate attorno alla bacchetta.
    «Leggimi la terza riga delle istruzioni, Potter».
    Harry guardò la lavagna strizzando gli occhi; non era facile decifrare le istruzioni nella bruma di vapore multicolore che riempiva il sotterraneo.
    «“Aggiungere la pietra di luna in polvere, mescolare tre volte in senso antioriario, lasciar bollire per sette minuti, poi aggiungere due gocce di sciroppo di elleboro”».
    Il suo cuore ebbe un tuffo. Non aveva aggiunto lo sciroppo di elleboro, ma era passato alla quarta riga delle istruzioni dopo aver lasciato bollire la sua pozione per sette minuti.
    «Hai fatto tutto quello che c’era scritto alla terza riga, Potter?»
    «No» rispose Harry molto piano.
    «Prego?»
    «No» disse Harry più forte. «Ho dimenticato l’elleboro».
    «Lo so, Potter, il che vuol dire che questa porcheria è del tutto inutile. Evanesco».
    La pozione di Harry svanì; lui rimase come un idiota accanto al calderone vuoto.
    «Quelli di voi che sono riusciti a leggere le istruzioni riempiano una fiaschetta con un campione della loro pozione, scrivano chiaramente sull’etichetta il loro nome e la portino alla mia scrivania per la verifica» disse Piton. «Compito: trenta centimetri di pergamena sulle proprietà della pietra di luna e i suoi usi nella preparazione di pozioni, da consegnare giovedì».
    Mentre tutti attorno a lui riempivano le loro fiaschette, Harry ripose le sue cose, fremente. La sua pozione non era peggiore di quella di Ron, che al momento emanava un odoraccio di uova marce; né di quella di Neville, che aveva raggiunto la consistenza di cemento fresco e che Neville era intento a spalare dal calderone; eppure era lui, Harry, che avrebbe preso zero punti quel giorno. Rificcò la bacchetta nella borsa e si afflosciò sulla sedia, guardando gli altri sfilare fino alla cattedra di Piton con le fiaschette piene e tappate. Al suono della campana fu il primo a uscire, e aveva già cominciato a pranzare quando Ron e Hermione lo raggiunsero nella Sala Grande. Il soffitto era diventato di un grigio ancora più cupo nel corso della mattinata. La pioggia frustava le alte finestre.
    «È stato davvero ingiusto» disse Hermione per consolarlo; prese posto vicino a Harry e si servì di carne e purè. «La tua pozione non era nemmeno lontanamente orrida come quella di Goyle; quando l’ha versata, la fiaschetta è andata in frantumi e gli si è incendiato il vestito».
    «Già» mormorò Harry, guardando minaccioso il piatto, «quando mai Piton è stato giusto con me?»
    Nessuno dei due rispose; tutti e tre sapevano che l’ostilità reciproca tra Piton e Harry era totale dal momento in cui Harry aveva messo piede a Hogwarts.
    «Ero convinta che sarebbe andata un po’ meglio quest’anno» disse Hermione in tono deluso. «Voglio dire… insomma…» Si guardò intorno, cauta; c’erano una mezza dozzina di posti vuoti da entrambi i lati e nessuno stava passando «…adesso che fa parte dell’Ordine».
    «Il lupo perde il pelo…» disse Ron saggiamente. «Comunque, io ho sempre pensato che Silente fosse pazzo a fidarsi di Piton. Dove sono le prove che ha davvero smesso di lavorare per Voi-Sapete-Chi?»
    «Io credo che Silente abbia un sacco di prove, anche se non le racconta a te, Ron» ribatté Hermione.
    «Oh, smettetela, voi due» sbottò Harry con veemenza, mentre Ron apriva la bocca per rispondere a tono. Sia lui che Hermione rimasero lì immobili, arrabbiati e offesi. «Non potete darci un taglio?» continuò Harry. «Non fate altro che beccarvi, è una cosa che mi fa impazzire». E, abbandonando il suo arrosto, si gettò di nuovo la borsa in spalla e li piantò lì seduti.
    Salì la scalinata di marmo due gradini alla volta, superando i molti studenti che si affrettavano a scendere a pranzo. La rabbia che era appena divampata così a sorpresa ardeva ancora dentro di lui, e la visione delle facce sconvolte di Ron e Hermione gli dava una profonda soddisfazione. Gli sta bene, pensò, perché non la smettono… non fanno altro che bisticciare… farebbero diventare matto chiunque…
    Oltrepassò il grande ritratto di Sir Cadogan il cavaliere su un pianerottolo; Sir Cadogan sfoderò la spada e la brandì con ferocia contro Harry, che lo ignorò.
    «Toma indietro, vile cane! Fermati e combatti!» strillò Sir Cadogan con voce soffocata dietro la visiera, ma Harry continuò a camminare e, quando il cavaliere tentò di seguirlo correndo in un quadro confinante, fu respinto dal suo abitatore, un grosso levriero iracondo.
    Harry passò il resto dell’ora di pranzo da solo, seduto sotto la botola in cima alla Torre Nord. Quindi fu il primo a salire la scala d’argento che portava nella classe di Sibilla Cooman quando suonò la campana.
    Dopo Pozioni, Divinazione era la lezione che Harry amava di meno, soprattutto per l’abitudine della professoressa Cooman di predire la sua prematura morte ogni due o tre lezioni. Era una donna sottile, avvolta in strati di scialli e fili di perline scintillanti, e ricordava sempre a Harry un insetto, con quegli occhiali che le dilatavano le pupille. Quando Harry entrò nell’aula la trovò indaffarata a distribuire libri rilegati in pelle consunta su ciascuno dei tavolini dalle gambe esili; la luce emanata dalle lampade coperte da veli e il fuoco che ardeva basso e greve di aromi malsani erano così tenui che parve non accorgersi di lui che prendeva posto tra le ombre. Il resto della classe arrivò nei cinque minuti seguenti. Ron emerse dalla botola, si guardò intorno con attenzione, individuò Harry e andò diritto verso di lui, per quanto fosse possibile andare diritto in mezzo a tavoli, sedie e pouf troppo imbottiti.
    «Io e Hermione abbiamo smesso di litigare» annunciò, sedendosi di fianco a Harry.
    «Bene» borbottò Harry.
    «Ma Hermione dice che sarebbe carino se tu la smettessi di scaricare i tuoi nervi su di noi» disse Ron.
    «Io non…»
    «Faccio solo da ambasciatore» lo interruppe Ron. «Ma credo che abbia ragione. Non è colpa nostra se Piton e Seamus ti trattano così».
    «Io non ho mai detto che…»
    «Buongiorno» disse la professoressa Cooman con la sua solita voce nebulosa e sognante, e Harry tacque. Di nuovo, un po’ era irritato e un po’ si vergognava di se stesso. «E bentornati a Divinazione. Naturalmente ho seguito le vostre sorti con estrema attenzione durante le vacanze e sono assai lieta di vedere che siete tutti tornati a Hogwarts sani e salvi… come, naturalmente, sapevo che sarebbe successo.
    «Troverete sui tavoli davanti a voi le copie dell’Oracolo dei Sogni di Inigo Imago. L’interpretazione dei sogni è un mezzo assai importante per prevedere il futuro, e molto probabilmente sarà una prova del G.U.F.O. Naturalmente non credo che la promozione o la bocciatura a un esame abbia la più remota importanza quando è in gioco la sacra arte della Divinazione. Se avete l’Occhio Interiore, diplomi e voti contano assai poco. Tuttavia, il Preside desidera che voi affrontiate l’esame, quindi…»
    La sua voce sfumò delicatamente, non lasciando dubbio alcuno sul fatto che la professoressa Cooman considerava la propria materia al di sopra di basse faccende come gli esami.
    «Andate all’introduzione, per favore, e leggete ciò che Imago ha da dire sull’interpretazione dei sogni. Poi dividetevi in coppie. Usate L’Oracolo per interpretare i rispettivi sogni più recenti. Prego».
    C’era una cosa buona da dire a proposito della lezione: non era di due ore. Quando tutti ebbero finito di leggere l’introduzione, rimasero dieci minuti scarsi per l’interpretazione dei sogni. Al tavolo vicino a quello di Harry e Ron, Dean faceva coppia con Neville, che s’imbarcò subito nella lunghissima spiegazione di un incubo con un paio di forbici giganti che portavano il cappello migliore di sua nonna; Harry e Ron si limitarono a scambiarsi uno sguardo cupo.
    «Io non mi ricordo mai i sogni che faccio» disse Ron, «raccontane uno tu».
    «Devi ricordartene almeno uno» ribatté Harry, impaziente.
    Non aveva intenzione di condividere i suoi sogni con nessuno. Sapeva benissimo che cosa significava il suo incubo ricorrente del cimitero, non aveva bisogno di Ron o della professoressa Cooman o di quello stupido Oracolo dei Sogni.
    «Be’, l’altra notte ho sognato che giocavo a Quidditch» disse Ron, contraendo il viso nello sforzo di ricordare. «Che cosa credi che voglia dire?»
    «Probabilmente che sarai divorato da un marshmallow gigante o roba del genere» rispose Harry, voltando distrattamente le pagine dell’Oracolo dei Sogni. Era molto noioso cercare frammenti di sogni in quel libro, e Harry non si rallegrò quando la professoressa Cooman diede loro il compito di tenere un diario dei sogni per un mese. Quando suonò la campana, lui e Ron furono i primi a scendere la scala. Ron si lamentava a gran voce.
    «Ma lo sai quanti compiti abbiamo già? Rüf ci ha dato un tema di cinquanta centimetri sulle guerre dei giganti, Piton ne vuole trenta sull’uso della pietra di luna, e adesso abbiamo un diario di un mese di sogni per la Cooman! Fred e George non avevano torto sull’anno dei G.U.F.O., eh? Sarà meglio che quella Umbridge non ce ne dia…»
    Quando entrarono nella classe di Difesa contro le Arti Oscure, trovarono la professoressa Umbridge già seduta alla cattedra, con addosso il vaporoso cardigan rosa della sera prima e il fiocco di velluto nero in cima alla testa. A Harry ricordò di nuovo con estrema precisione una grossa mosca che per imprudenza si fosse posata su un rospo ancora più grosso.
    Tutti entrarono in silenzio; la professoressa Umbridge era ancora un’entità ignota e nessuno sapeva quanto potesse essere rigorosa in fatto di disciplina.
    «Be’, buon pomeriggio!» disse quando finalmente tutti si furono seduti.
    Alcuni borbottarono «Buon pomeriggio».
    «Mmm, mmm» disse la professoressa Umbridge. «Così non va, no? Vorrei per favore che rispondeste “Buon pomeriggio, professoressa Umbridge”. Un’altra volta, prego. Buon pomeriggio, ragazzi!»
    «Buon pomeriggio, professoressa Umbridge» le risposero in coro.
    «Bene» disse la professoressa Umbridge in tono amabile. «Non era troppo difficile, vero? Via le bacchette e fuori le piume, prego».
    Molti ragazzi si scambiarono sguardi cupi; l’ordine “Via le bacchette” non era mai stato seguito da una lezione interessante. Harry ripose la sua ed estrasse piuma, inchiostro e pergamena. La professoressa Umbridge aprì la borsa, sfilò la bacchetta, che era insolitamente corta, e batté forte la lavagna; subito apparvero le parole:
   
    Difesa contro le Arti OscureRitorno ai principi base
    «Allora, l’insegnamento di questa materia è stato piuttosto discontinuo e frammentario, non è così?» esordì, voltandosi verso la classe con le mani intrecciate davanti a sé. «Il continuo cambio d’insegnanti, molti dei quali pare non abbiano seguito alcun programma approvato dal Ministero, ha purtroppo sortito l’effetto di porvi assai sotto la media d’istruzione che ci aspetteremmo di vedere nell’anno dei G.U.F.O.
    «Vi farà piacere sapere, tuttavia, che questi problemi saranno finalmente risolti. Quest’anno seguiremo un corso di magia difensiva strutturato con cura, fondato sulla teoria, approvato dal Ministero. Copiate le frasi seguenti, prego».
    Colpì di nuovo la lavagna; il primo messaggio sparì e fu sostituito dagli “Obiettivi del Corso”.
   
    1. Comprendere i principi base della magia difensiva.
    2. Imparare a riconoscere le situazioni nelle quali la magia difensiva può essere usata legalmente.
    3. Porre la magia difensiva in un contesto per l’uso pratico.
   
    Per un paio di minuti l’aula fu invasa dal fruscio delle piume sulla pergamena. Quando tutti ebbero ricopiato i tre obiettivi del corso, la professoressa Umbridge chiese: «Avete tutti Teoria della Magia Difensiva di Wilbert Slinkhard?»
    La classe fu percorsa da un cupo mormorio di assenso.
    «Credo che dobbiamo riprovarci» disse la professoressa Umbridge. «Quando vi faccio una domanda, vorrei che rispondeste “Sì, professoressa Umbridge”, o “No, professoressa Umbridge”. Allora: avete tutti Teoria della Magia Difensiva di Wilbert Slinkhard?»
    «Sì, professoressa Umbridge» risuonò nell’aula.
    «Bene» disse la professoressa Umbridge. «Vorrei che apriste il libro a pagina cinque e leggeste “Capitolo Uno, Fondamenti per principianti”. Non ci sarà bisogno di parlare».
    Si allontanò dalla lavagna e si sedette dietro la cattedra, osservandoli con quegli occhi gonfi da rospo. Harry andò a pagina cinque del libro e cominciò a leggere.
    Era infinitamente noioso, quasi orrendo come ascoltare il professor Rüf. Sentì che la concentrazione si dileguava; ben presto si ritrovò a leggere la stessa riga per la decima volta senza capire altro che le prime poche parole. Passarono alcuni minuti di silenzio. Vicino a lui, Ron si rigirava la piuma tra le dita con aria assente, fissando lo stesso punto della pagina. Harry guardò a destra e la sorpresa lo riscosse dal torpore: Hermione non aveva nemmeno aperto il libro. Guardava fisso la professoressa Umbridge, con la mano alzata.
    A quanto ricordava Harry, Hermione non aveva mai trascurato di leggere quando le veniva ordinato, né in verità aveva mai resistito alla tentazione di aprire qualunque libro le capitasse sotto il naso. La guardò interrogativo, ma lei si limitò a scuotere appena il capo per far capire che non aveva intenzione di rispondere ad alcuna domanda, e continuò a fissare la professoressa Umbridge che guardava con altrettanta decisione da un’altra parte.
    Dopo parecchi minuti, tuttavia, Harry non fu più il solo a tenere d’occhio Hermione. Il capitolo che era stato ordinato loro di leggere era così noioso che un numero crescente di ragazzi aveva deciso di osservare il muto tentativo di Hermione di attirare l’attenzione della professoressa Umbridge invece di affaticarsi sui “Fondamenti per principianti”.
    Quando ormai più di metà della classe fissava Hermione al posto dei propri libri, la professoressa Umbridge parve decidere che non poteva più ignorare la situazione.
    «Voleva chiedere qualcosa a proposito del capitolo, cara?» domandò a Hermione, come se si fosse appena accorta di lei.
    «Non a proposito del capitolo, no» rispose Hermione.
    «Be’, adesso stiamo leggendo» disse la professoressa Umbridge, mostrando i dentini affilati. «Se ha altre domande, possiamo affrontarle alla fine della lezione».
    «Ho una domanda sugli obiettivi del suo corso» ribatté Hermione.
    La professoressa Umbridge alzò le sopracciglia.
    «Il suo nome è?»
    «Hermione Granger» rispose Hermione.
    «Be’, signorina Granger, credo che gli obiettivi del corso siano perfettamente chiari se li legge attentamente» disse la professoressa Umbridge con deliberata dolcezza.
    «Veramente non mi pare» obiettò Hermione brusca. «Là non c’è scritto niente sul fatto di usare incantesimi di Difesa».
    Ci fu un breve silenzio durante il quale molti ragazzi si voltarono a guardare corrucciati i tre obiettivi del corso ancora scritti sulla lavagna.
    «Usare incantesimi di Difesa?» ripeté la professoressa Umbridge con una risatina. «Be’, non riesco a immaginare una situazione nella mia classe che richieda di ricorrere a un incantesimo di Difesa, signorina Granger. Lei non si aspetta di venire aggredita durante le lezioni, no?»
    «Non useremo la magia?» domandò Ron ad alta voce.
    «Gli studenti alzano la mano quando desiderano parlare durante le mie lezioni, signor…?»
    «Weasley» disse Ron, scagliando la mano in aria.
    La professoressa Umbridge, con un sorriso ancora più ampio, gli voltò le spalle. Anche Harry e Hermione alzarono subito la mano. Gli occhi gonfi della professoressa Umbridge indugiarono su Harry un istante prima di rivolgersi a Hermione.
    «Sì, signorina Granger? Voleva chiedere qualcos’altro?»
    «Sì» rispose Hermione. «Senza dubbio lo scopo di Difesa contro le Arti Oscure è esercitarsi negli incantesimi di Difesa, no?»
    «Lei è per caso un’esperta di istruzione del Ministero, signorina Granger?» chiese la professoressa Umbridge con la sua voce falsamente dolce.
    «No, ma…»
    «Be’, allora temo che non sia qualificata per decidere qual è lo “scopo” di un corso. Maghi molto più anziani e capaci di lei hanno ideato il nostro nuovo programma di studi. Apprenderete gli incantesimi di Difesa in un modo sicuro, privo di rischi…»
    «A che cosa serve?» chiese Harry ad alta voce. «Se verremo attaccati, non sarà in un…»
    «La mano, signor Potter» cantilenò la professoressa Umbridge.
    Harry scagliò il pugno in aria. Di nuovo, la professoressa Umbridge gli voltò rapida le spalle, ma ormai parecchi ragazzi avevano la mano alzata.
    «Il suo nome è?» chiese la professoressa Umbridge a Dean.
    «Dean Thomas».
    «Allora, signor Thomas?»
    «Be’, è come dice Harry, no?» disse Dean. «Se verremo attaccati, non sarà privo di rischi».
    «Ripeto» rispose la professoressa Umbridge, sorridendo a Dean in modo assai irritante, «si aspetta di venire aggredito durante le mie lezioni?»
    «No, ma…»
    La professoressa Umbridge lo interruppe. «Non ho intenzione di criticare il modo in cui le cose sono state condotte in questa scuola» disse, con un sorriso nient’affatto convincente che le stirava la bocca larga, «ma in questo corso siete stati esposti all’influenza di maghi assai irresponsabili, davvero assai irresponsabili… per non parlare» e diede in una risatina maligna, «di ibridi estremamente pericolosi».
    «Se intende il professor Lupin» sbottò Dean arrabbiato, «è stato il migliore che abbiamo mai…»
    «La mano, signor Thomas! Come stavo dicendo, siete stati introdotti a incantesimi complessi, inadatti alla vostra età e potenzialmente letali. Siete stati indotti con la paura a credere che sia probabile imbattersi in Attacchi Oscuri un giorno sì e uno no…»
    «Non è così» disse Hermione, «abbiamo solo…»
    «La sua mano non è alzata, signorina Cranger!»
    Hermione alzò la mano. La professoressa Umbridge si voltò dall’altra parte.
    «Mi pare di aver capito che il mio predecessore non solo ha praticato maledizioni illegali davanti a voi, ma addirittura su di voi».
    «Be’, è saltato fuori che era un pazzo, no?» disse Dean accalorandosi. «Ma comunque abbiamo imparato un sacco di cose».
    «La sua mano non è alzata, signor Thomas!» trillò la professoressa Umbridge. «Ora, è opinione del Ministero che una conoscenza teorica sarà più che sufficiente a farvi superare gli esami, e dopotutto è questo lo scopo della scuola. Il suo nome?» aggiunse, fissando Calì, che aveva appena fatto scattare in aria la mano.
    «Calì Patil, e al G.U.F.O. non c’è anche una prova pratica di Difesa contro le Arti Oscure? Non dobbiamo dimostrare di saper concretamente eseguire le contromaledizioni, eccetera?»
    «Se avrete studiato abbastanza a fondo la teoria, non c’è ragione per cui non dovreste essere in grado di eseguire gli incantesimi durante gli esami, in circostanze di massima sicurezza» rispose la professoressa Umbridge categorica.
    «Senza mai averli provati prima?» chiese Calì incredula. «Ci sta dicendo che la prima volta che potremo fare gli incantesimi sarà agli esami?»
    «Ripeto, se avrete studiato a fondo la teoria…»
    «E a che cosa servirà la teoria nel mondo reale?» intervenne Harry ad alta voce, la mano di nuovo levata.
    La professoressa Umbridge alzò lo sguardo.
    «Qui siamo a scuola, signor Potter, non nel mondo reale» disse piano.
    «Allora non dobbiamo prepararci a ciò che ci aspetta là fuori?»
    «Non c’è niente che ci aspetta là fuori, signor Potter».
    «Oh, davvero?» ribatté Harry. La rabbia che gli borbottava dentro sommessa da tutto il giorno stava raggiungendo la temperatura di ebollizione.
    «Chi immagina possa desiderare di aggredire ragazzini come voi?» indagò la professoressa Umbridge con voce tremendamente mielosa.
    «Mmm, mi lasci pensare…» rispose Harry in tono falsamente meditabondo. «Forse… Lord Voldemort?»
    Ron trattenne il fiato; Lavanda Brown emise un gridolino; Neville scivolò giù dallo sgabello. La professoressa Umbridge, tuttavia, non batté ciglio. Fissava Harry con aria di cupa soddisfazione.
    «Dieci punti in meno per Grifondoro, signor Potter».
    La classe era immobile e silenziosa. Tutti fissavano la Umbridge o Harry.
    «Ora, permettete che chiarisca un paio di cose».
    La professoressa Umbridge si alzò e si sporse verso di loro, le mani dalle dita tozze allargate sul piano della cattedra.
    «Vi è stato riferito che un certo Mago Oscuro è tornato dal mondo dei morti…»
    «Non era morto» disse Harry con rabbia, «ed è tornato!»
    «Signor-Potter-lei-ha-già-fatto-perdere-dieci-punti-alla-sua-Casa-non-peggiori-la-situazione» disse la professoressa Umbridge tutto d’un fiato, senza guardarlo. «Come stavo dicendo, vi è stato riferito che un certo Mago Oscuro è di nuovo in circolazione. Questa è una bugia».
    «NON è una bugia!» esclamò Harry. «Io l’ho visto, io ho combattuto contro di lui!»
    «Punizione, signor Potter!» La professoressa Umbridge era trionfante. «Domani sera. Alle cinque. Nel mio ufficio. Ripeto, questa è una bugia. Il Ministero della Magia garantisce che non correte alcun pericolo da parte di alcun Mago Oscuro. Se siete ancora preoccupati, venite assolutamente da me dopo le ore di lezione. Se qualcuno vi mette in agitazione diffondendo frottole su Maghi Oscuri rinati, vorrei esserne informata. Sono qui per aiutarvi. Sono vostra amica. E ora, volete per favore continuare la lettura? Pagina cinque, “Fondamenti per principianti”».
    La professoressa Umbridge sedette dietro la cattedra. Harry invece si alzò. Lo guardavano tutti; Seamus era mezzo spaventato, mezzo ammaliato.
    «Harry, no!» sussurrò Hermione allarmata, tirandolo per una manica, ma lui allontanò il braccio con uno strattone.
    «Quindi secondo lei Cedric Diggory è morto così, da solo, vero?» chiese con voce tremante.
    Trattennero tutti il respiro, perché nessuno di loro, tranne Ron e Hermione, aveva mai sentito Harry parlare di ciò che era successo la notte della morte di Cedric. Spostarono gli sguardi curiosi da Harry alla professoressa Umbridge, che aveva alzato gli occhi e lo guardava senza alcuna traccia del suo sorriso posticcio.
    «La morte di Cedric Diggory è stata un tragico incidente» rispose in tono gelido.
    «È stato un assassinio» disse Harry. Avvertiva il proprio tremito. Non aveva parlato quasi con nessuno della cosa, men che meno davanti a trenta compagni di classe avidi di sapere. «Voldemort l’ha ucciso, e lei lo sa».
    Il volto della Umbridge era privo di espressione. Per un attimo, Harry pensò che gli avrebbe urlato contro. Invece disse, con la voce più morbida, più dolcemente infantile che riuscì a trovare: «Venga qui, signor Potter, caro».
    Lui calciò via la sedia, oltrepassò Ron e Hermione e raggiunse la cattedra. Sentì il resto della classe trattenere il respiro. Era così arrabbiato che non gli importava di quello che sarebbe successo.
    La professoressa Umbridge estrasse un piccolo rotolo di pergamena rosa dalla borsetta, lo srotolò sulla cattedra, intinse la piuma in una boccetta di inchiostro e prese a scrivere in fretta, chinandosi in modo che Harry non potesse vedere quello che scriveva. Nessuno parlò. Dopo un minuto la Umbridge arrotolò la pergamena e la colpì con la bacchetta; il rotolo si sigillò completamente, in modo che lui non potesse aprirlo.
    «Lo porti alla professoressa McGranitt, caro» disse la professoressa Umbridge, e gli porse il messaggio.
    Lui lo prese e uscì dall’aula senza fiatare, senza nemmeno voltarsi a guardare Ron e Hermione. Sbatté la porta alle proprie spalle, percorse in fretta il corridoio con il biglietto per la McGranitt stretto in mano, e voltando un angolo cozzò contro Pix il Poltergeist, un ometto con una gran bocca che svolazzava sulla schiena a mezz’aria, facendo il giocoliere con parecchi calamai.
    «Ma guarda, è Pottino Potter!» chiocciò Pix, lasciando cadere due calamai che si frantumarono a terra e schizzarono le pareti di inchiostro; Harry balzò indietro con un ringhio.
    «Alla larga, Pix».
    «Oooh, Potteruccio fa i capricci» disse Pix; inseguì Harry lungo il corridoio sfrecciando sopra di lui e guardandolo con astio. «Che cosa c’è questa volta, caro il mio amico Potty? Senti delle voci? Hai delle visioni? Parli delle strane…» e diede in una pernacchia gigante, «lingue?»
    «Ho detto di lasciarmi IN PACE!» urlò Harry, scendendo di corsa la più vicina rampa di scale, ma Pix scivolò con la schiena lungo il corrimano.
    «In molti son convinti che blateri insensato, alcuni, più gentili, lo danno per malato, ma Pix lo sa benissimo che Potty è un po’ suonato…»
    «ZITTO!»
    Una porta alla sua sinistra si aprì di colpo e la professoressa McGranitt uscì dal suo ufficio con aria cupa e un po’ infastidita.
    «Si può sapere perché diamine urli, Potter?» scattò, mentre Pix gongolava allegramente e sfrecciava via. «Perché non sei a lezione?»
    «Sono stato mandato da lei».
    «Mandato? Come sarebbe, mandato?»
    Le tese il messaggio della professoressa Umbridge. La professoressa McGranitt lo prese, accigliata, lo aprì con un colpo di bacchetta, lo srotolò e cominciò a leggere. I suoi occhi si spostavano da un lato all’altro del foglio dietro gli occhiali quadrati mentre scorreva le parole della Umbridge, e a ogni riga si stringevano di più.
    «Entra, Potter».
    Harry la seguì nell’ufficio. La porta si chiuse da sola dietro di lui.
    «Allora?» chiese la professoressa McGranitt, voltandosi. «È vero?»
    «È vero che cosa?» chiese Harry, più aggressivo di quanto non volesse. «Professoressa?» aggiunse, nel tentativo di sembrare più educato.
    «È vero che hai urlato contro la professoressa Umbridge?»
    «Sì» rispose Harry.
    «E le hai dato della bugiarda?»
    «Sì».
    «Le hai detto che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è tornato?»
    «Sì».
    La professoressa McGranitt si sedette alla sua scrivania e osservò Harry, accigliata. Poi disse: «Prendi un biscotto, Potter».
    «Prendo… che cosa?»
    «Prendi un biscotto» ripeté lei impaziente, indicando una scatola di latta stampata con un disegno scozzese in cima a una pila di documenti sulla scrivania. «E siediti».
    Già in un’altra occasione Harry si era aspettato di venire bacchettato dalla professoressa McGranitt e invece si era visto assegnare alla squadra di Quidditch di Grifondoro. Sprofondò in una sedia di fronte a lei e prese uno Zenzerotto, confuso e spiazzato come quella volta.
    La professoressa McGranitt posò il biglietto della professoressa Umbridge e guardò Harry con molta serietà.
    «Potter, devi stare attento».
    Harry inghiottì il boccone di Zenzerotto e la fissò. Il suo tono di voce non era affatto quello a cui era abituato; non era sbrigativo, asciutto e severo; era basso e ansioso e in qualche modo molto più umano del solito.
    «Una cattiva condotta nella classe della professoressa Umbridge potrebbe costarti molto di più di qualche punto sottratto alla Casa e un castigo».
    «Che cosa…?»
    «Potter, usa il buonsenso» sbottò la professoressa McGranitt, con un brusco ritorno ai soliti modi. «Sai da dove viene, quindi dovresti sapere a chi riferisce».
    Suonò la campana che segnalava la fine della lezione. Sopra di loro e tutto attorno risuonarono i rumori elefantiaci di centinaia di studenti in movimento.
    «Qui c’è scritto che ti ha assegnato una punizione per tutte le sere di questa settimana, a partire da domani» disse la professoressa McGranitt, guardando di nuovo il biglietto della Umbridge.
    «Tutte le sere della settimana!» ripeté Harry, orripilato. «Ma professoressa, non può…?»
    «No, non posso» rispose la professoressa McGranitt in tono piatto.
    «Ma…»
    «È una tua insegnante e ha tutti i diritti di infliggerti punizioni. Andrai nel suo ufficio domani alle cinque per il primo. Ricorda solo questo: stai attento a Dolores Umbridge».
    «Ma ho detto la verità!» esclamò Harry, offeso. «Voldemort è tornato, lei lo sa; il professor Silente sa che è…»
    «Per l’amor del cielo, Potter!» inveì la McGranitt raddrizzandosi gli occhiali con rabbia (aveva fatto una smorfia terribile al nome di Voldemort). «Credi davvero che c’entrino la verità o le bugie? Il problema è che devi stare tranquillo e controllarti!»
    Si alzò, le narici dilatate e la bocca sottilissima, e anche Harry si alzò.
    «Prendi un altro biscotto» disse lei in tono irritato, spingendo la scatola verso di lui.
    «No, grazie» rispose Harry freddamente.
    «Non essere ridicolo».
    Lui ne prese uno.
    «Grazie» disse controvoglia.
    «Non hai sentito il discorso di Dolores Umbridge al banchetto d’inizio anno, Potter?»
    «Sì… ha detto… che il progresso verrà proibito o… be’, voleva dire che… che il Ministero della Magia sta cercando di interferire a Hogwarts».
    La professoressa McGranitt lo scrutò per un attimo, poi tirò su col naso, fece il giro della scrivania e gli aprì la porta.
    «Be’, sono felice che almeno ascolti Hermione Granger» disse, e gli fece segno di uscire dal suo ufficio.
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