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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Visto e imprevisto


   Luna disse in tono vago che non sapeva quando sarebbe uscita l’intervista di Harry, perché suo padre stava aspettando un bell’articolone sugli ultimi avvistamenti di Snorticoli Cornuti, «…e naturalmente quella è una notizia importantissima, perciò forse Harry dovrà aspettare il prossimo numero» concluse.
    Per Harry non fu semplice parlare della notte in cui Voldemort era tornato. Rita lo incalzò perché raccontasse ogni dettaglio e lui le disse tutto quello che ricordava, conscio che era un’opportunità enorme per far sapere al mondo la verità. Si chiedeva come avrebbe reagito la gente. Immaginava che per molti sarebbe stata la conferma che lui era del tutto fuori di senno, anche perché la sua intervista sarebbe apparsa di seguito a pure idiozie sugli Snorticoli Cornuti. Ma la fuga di Bellatrix Lestrange e dei suoi amici Mangiamorte gli aveva messo addosso il desiderio ardente di fare qualcosa, che funzionasse o no…
    «Non vedo l’ora di sapere che cosa dice la Umbridge della tua uscita pubblica» commentò Dean sbalordito, il lunedì a cena. Seamus, seduto accanto a Dean, stava facendo sparire grandi quantità di pasticcio di pollo e prosciutto, ma Harry sapeva che era tutt’orecchi.
    «Hai fatto bene, Harry» disse Neville, seduto di fronte a lui. Era piuttosto pallido, ma proseguì a voce bassa: «Dev’essere stata… dura… parlarne… vero?»
    «Sì» mormorò Harry, «ma la gente deve sapere di che cosa è capace Voldemort».
    «Giusto» convenne Neville con un cenno, «e anche i suoi Mangiamorte… la gente deve sapere…»
    Neville lasciò la frase in sospeso e tornò alla sua patata al forno. Seamus alzò il capo, ma quando incrociò lo sguardo di Harry si concentrò di nuovo sul piatto. Dopo un po’ Dean, Seamus e Neville andarono nella sala comune, lasciando Harry e Hermione in attesa di Ron, che non aveva ancora cenato per via dell’allenamento di Quidditch.
    Cho Chang entrò nella Sala con l’amica Marietta e lo stomaco di Harry si contorse in modo spiacevole, ma lei non guardò verso il tavolo di Grifondoro, e si sedette voltandogli le spalle.
    «Ah, ho dimenticato di chiederti» disse Hermione allegramente, lanciando un’occhiata al tavolo di Corvonero, «che cosa è successo all’appuntamento con Cho. Come mai sei tornato così presto?»
    «Eh… be’, è stato…» rispose Harry, avvicinando a sé un piatto di crostata al rabarbaro per fare il bis, «…un fiasco totale».
    E le raccontò che cos’era successo nella sala da tè di Madama Piediburro.
    «…e allora» concluse molti minuti più tardi, quando fu sparito anche l’ultimo boccone di dolce, «salta su, così, e dice: “Ci vediamo, Harry” e scappa via!» Posò il cucchiaio e fissò Hermione. «Insomma, ma che cosa vuol dire? Cos’è successo?»
    Hermione guardò la schiena di Cho e sospirò.
    «Oh, Harry» disse malinconica. «Be’, scusami, ma hai dimostrato poco tatto».
    «Poco tatto, io?» esclamò Harry, indignato. «Un minuto prima stavamo bene, un minuto dopo mi dice che Roger Davies l’ha invitata a uscire e che andava a pomiciare con Cedric in quella stupida sala da tè… come mi sarei dovuto sentire?»
    «Allora» rispose Hermione, con l’aria paziente di chi sta spiegando che uno più uno fa due a un bambinetto un po’ suscettibile, «non avresti dovuto dirle che volevi vedere me a metà del vostro appuntamento».
    «Ma… ma» balbettò Harry, «tu mi avevi detto di incontrarci a mezzogiorno e di portare anche lei; come facevo a non dirglielo?»
    «Dovevi dirglielo in un modo diverso» spiegò Hermione, sempre con quell’aria paziente che faceva venire i nervi. «Avresti dovuto dire che era una gran seccatura, ma che ti avevo fatto promettere di venire ai Tre Manici di Scopa, che a te non andava per niente, e avresti preferito passare tutta la giornata con lei, ma purtroppo ti toccava proprio vedermi, e se per favore, per favore lei poteva venire con te, così forse riuscivi a finire prima. E sarebbe stata una buona idea anche dire che mi trovi brutta» aggiunse Hermione, ripensandoci.
    «Ma io non ti trovo brutta» disse Harry, perplesso.
    Hermione rise.
    «Harry, sei peggio di Ron… no, è impossibile» sospirò, mentre Ron entrava nella Sala a passi pesanti, infangato e imbronciato. «Senti… si è arrabbiata quando le hai detto che volevi vedermi, così ha cercato di farti ingelosire. Era il suo modo per scoprire quanto ti piace».
    «Era per questo?» domandò Harry, mentre Ron si lasciava cadere sulla panca di fronte a loro e si avvicinava tutti i piatti a portata di mano. «Ma non sarebbe stato più semplice chiedermi se mi piaceva più di te?»
    «Le ragazze non fanno quel tipo di domande» rispose Hermione.
    «Be’, dovrebbero!» esclamò Harry. «Così avrei potuto dirle quanto mi piace, e lei non si sarebbe agitata di nuovo per la storia di Cedric!»
    «Non sto dicendo che ha fatto una cosa ragionevole» ribatté Hermione mentre Ginny si univa a loro, infangata quanto Ron e altrettanto di malumore. «Sto solo cercando di farti capire come si sentiva in quel momento».
    «Dovresti scrivere un libro» disse Ron, tagliando la sua patata, «con la traduzione di tutte le scemenze che fanno le ragazze, così i ragazzi capirebbero».
    «Proprio così» approvò Harry con calore, guardando il tavolo di Corvonero. Cho si era appena alzata e, sempre senza guardarlo, uscì. Piuttosto avvilito, Harry si rivolse a Ron e Ginny. «Com’è andato l’allenamento?»
    «Un incubo» rispose Ron scontroso.
    «Oh, dài» disse Hermione, guardando Ginny, «sono sicura che non è vero…»
    «Invece sì» la interruppe Ginny. «Raccapricciante. Angelina era quasi in lacrime, alla fine».
    Ron e Ginny andarono a ripulirsi, dopo cena; Harry e Hermione tornarono nell’affollata sala comune di Grifondoro e alla loro solita catasta di compiti. Harry stava litigando da mezz’ora con una nuova carta astrale, quando comparvero Fred e George.
    «Ron e Ginny non ci sono?» chiese Fred guardandosi intorno mentre prendeva una sedia. Quando Harry scosse il capo, aggiunse: «Bene. Stavamo guardando l’allenamento. Li faranno a pezzi. Senza di noi fanno veramente schifo».
    «Dài, Ginny non è male» obiettò con onestà George, sedendosi vicino a Fred. «Anzi non so come ha fatto a diventare così brava, visto che non l’abbiamo mai lasciata giocare con noi».
    «È da quando aveva sei anni che entra di nascosto nel vostro capanno delle scope in giardino e le usa quando non ci siete» rivelò Hermione da dietro una traballante pila di libri di Antiche Rune.
    «Oh» disse George, ammirato. «Be’, adesso si spiega».
    «Ron ha parato almeno un tiro?» chiese Hermione, emergendo da Geroglifici e Logogrammi Magici.
    «Sì, può farcela se crede che nessuno lo guardi» rispose Fred, alzando gli occhi al cielo. «Quindi sabato basta che chiediamo al pubblico di voltarsi ogni volta che la Pluffa arriva dalla sua parte».
    Si alzò di nuovo, inquieto, e andò verso la finestra, a osservare i prati bui.
    «Il Quidditch era quasi l’unica cosa per cui valesse la pena stare in questo posto».
    Hermione lo guardò severa.
    «Tra poco hai gli esami!»
    «Te l’ho già detto, non ce ne frega tanto dei M.A.G.O.» rispose Fred. «Le Merendine Marinare sono pronte a decollare, abbiamo scoperto come liberarci di quei brufoli, bastano due gocce di Purvincolo. Ce l’ha suggerito Lee».
    George sbadigliò sonoramente e guardò sconsolato il nuvoloso cielo notturno.
    «Non so nemmeno se ho voglia di vederla, questa partita. Se Zacharias Smith ci batte, potrei essere costretto a uccidermi».
    «A uccidere lui, casomai» disse deciso Fred.
    «Ecco il problema del Quidditch» osservò Hermione in tono distratto, di nuovo china sulla sua traduzione runica, «crea tensione e conflitto tra le Case».
    Alzò il capo per cercare la sua copia del Sillabario dei Sortilegi e vide che Fred, George e Harry la fissavano con un misto di disgusto e incredulità.
    «Be’, è vero!» sbottò con impazienza. «È soltanto un gioco, no?»
    «Hermione» disse Harry scuotendo la testa, «sei brava sui sentimenti e tutto il resto, ma il Quidditch proprio non lo capisci».
    «Forse no» convenne lei cupa, tornando alla sua traduzione, «ma almeno la mia felicità non dipende dalla bravura di Ron come Portiere».
    Harry avrebbe preferito buttarsi dalla Torre di Astronomia piuttosto che ammetterlo, ma dopo aver visto la partita il sabato successivo avrebbe dato qualunque somma di galeoni per infischiarsene anche lui del Quidditch.
    La cosa migliore della partita fu che era stata breve; gli spettatori di Grifondoro avevano dovuto patire solo ventidue minuti. Difficile dire qual era stato il momento peggiore: secondo Harry era una dura lotta tra la quattordicesima parata sbagliata da Ron, Sloper che mancava un Bolide ma sferrava una mazzata sui denti ad Angelina, e Kirke che cadeva all’indietro dalla scopa, strillando, mentre Zacharias Smith sfrecciava verso di lui con la Pluffa. Il miracolo fu che Grifondoro aveva perso solo di dieci punti: Ginny era riuscita a strappare il Boccino sotto il naso di Summersby, il Cercatore di Tassorosso, così che il punteggio finale fu di duecentoquaranta a duecentotrenta.
    «Bella presa» disse Harry a Ginny quando furono di ritorno nella sala comune, dove regnava l’atmosfera di un funerale particolarmente triste.
    «Ho avuto fortuna» rispose lei con un’alzata di spalle. «Non era un Boccino molto veloce, e Summersby aveva il raffreddore, ha starnutito e ha chiuso gli occhi al momento sbagliato. Comunque, quando tornerai nella squadra…»
    «Ginny, io sono stato squalificato a vita».
    «Sei stato squalificato finché la Umbridge rimane a scuola» lo corresse Ginny. «C’è una bella differenza. Comunque, una volta che sarai tornato, credo che proverò a giocare come Cacciatore. Angelina e Alicia se ne vanno l’anno prossimo, e io preferisco segnare che Cercare».
    Harry guardò Ron, seduto curvo in un angolo a fissarsi le ginocchia, con una bottiglia di Burrobirra stretta in mano.
    «Angelina non gli permette di abbandonare la squadra» spiegò Ginny, come leggendo nel pensiero di Harry. «Dice che è sicura che ha il gioco dentro».
    Harry apprezzava Angelina per la fiducia che riponeva in Ron, ma era anche convinto che sarebbe stato più umano lasciarlo andare. Ron era uscito di campo accompagnato da un coro assordante di Perché Weasley è il nostro re cantato con gran gusto dai Serpeverde, che ormai erano i favoriti nella corsa alla Coppa di Quidditch.
    Fred e George si avvicinarono.
    «Non ho nemmeno il coraggio di prenderlo in giro» disse Fred, guardando la figura ingobbita di Ron. «Certo che… quando ha mancato il quattordicesimo…»
    Fece dei gesti inconsulti con le braccia, come se nuotasse a cagnolino.
    «…be’, me la risparmio per le feste, eh?»
    Ron si trascinò a letto poco dopo. Per rispetto verso i suoi sentimenti, Harry aspettò un po’ prima di salire nel dormitorio, così che Ron potesse far finta di dormire, se voleva. Infatti, quando Harry entrò finalmente nella stanza, Ron russava un po’ troppo forte per essere credibile.
    Harry si infilò nel letto, ripensando alla partita. Era stato immensamente frustrante vederla dagli spalti. La prestazione di Ginny l’aveva abbastanza colpito, ma sapeva che, se avesse giocato lui, avrebbe potuto prendere il Boccino prima… c’era stato un momento in cui aveva svolazzato attorno alla caviglia di Kirke; se Ginny non avesse esitato, avrebbe potuto strappare la vittoria per Grifondoro.
    La Umbridge era seduta poche file sotto Harry e Hermione. Una volta o due si era voltata a guardarlo, con la schiena rigida e con la larga bocca da rospo tirata in quello che a lui era parso un sorriso gongolante. Il ricordo lo fece avvampare di rabbia. Dopo qualche minuto gli venne in mente che avrebbe dovuto svuotare la mente da ogni emozione prima di dormire, come Piton non mancava di ripetergli alla fine di ogni lezione di Occlumanzia.
    Ci provò per un paio di istanti, ma il pensiero di Piton sommato al ricordo della Umbridge non fece che aumentare il suo astio ribollente, e si ritrovò invece a concentrarsi su quanto odiava quei due. Pian piano il russare di Ron sfumò, sostituito da un profondo respiro regolare. Harry impiegò di più a addormentarsi; il corpo era stanco, ma al cervello ci volle molto tempo per chiudersi.
    Sognò che Neville e la professoressa Sprite ballavano il valzer nella Stanza delle Necessità, mentre la professoressa McGranitt suonava la cornamusa. Lui rimase a guardarli soddisfatto per un po’, poi decise di andare a cercare gli altri membri dell’ES.
    Però quando uscì dalla stanza si ritrovò davanti non l’arazzo di Barnaba il Babbeo, ma una torcia che bruciava nel suo sostegno sulla parete di pietra. Si voltò lentamente verso sinistra. Lì, alla fine del corridoio privo di finestre, c’era una semplice porta nera.
    Si avvicinò con crescente eccitazione. Aveva la strana sensazione che stavolta avrebbe avuto fortuna, e avrebbe trovato il modo di aprirla… era a pochi centimetri, e con il cuore in gola vide una striscia di luce in basso a destra… la porta era socchiusa… tese la mano per spingerla e…
    Ron russò in modo genuino e fragoroso, e Harry si svegliò di colpo, la mano destra tesa nel buio, pronta ad aprire una porta che era a centinaia di chilometri da lì. La lasciò ricadere con un misto di disappunto e senso di colpa. Sapeva che non avrebbe dovuto vedere quella porta, ma allo stesso tempo era così divorato dalla curiosità che non poteva fare a meno di arrabbiarsi con Ron… se solo avesse aspettato un altro minuto per mettersi a russare!
   
    * * *
    Entrarono nella Sala Grande per colazione proprio nel momento in cui i gufi recapitavano la posta del mattino. Hermione non era l’unica ad aspettare con ansia la sua Gazzetta del Profeta: quasi tutti volevano altre notizie sui Mangiamorte evasi, che nonostante i molti avvistamenti non erano ancora stati catturati. Hermione diede uno zellino al gufo e aprì trepidante il giornale, mentre Harry si versava il succo d’arancia; visto che aveva ricevuto un solo biglietto in tutto l’anno, quando il primo gufo atterrò davanti a lui con un piccolo tonfo, pensò a un errore.
    «Chi stai cercando?» chiese, spostando con indifferenza il succo d’arancia da sotto il suo becco e chinandosi per leggere il destinatario:
   
    Harry Potter
    Sala Grande
    Scuola di Hogwarts
   
    Harry aggrottò la fronte e fece per prendere la lettera ma, prima che ci riuscisse, altri tre, quattro, cinque gufi erano attenati e facevano le acrobazie, calpestando il burro e abbattendo la saliera, nel tentativo di consegnare la loro lettera per primi.
    «Che cosa succede?» chiese Ron stupito, mentre tutto il tavolo di Grifondoro si sporgeva a guardare e altri sette gufi attenavano stridendo, tubando e agitando le ali.
    «Harry!» disse Hermione senza fiato, affondando le mani nella massa di piume ed estraendone un allocco che portava un lungo pacchetto cilindrico. «Credo di sapere che cosa significa… apri prima questo!»
    Harry strappò la carta marrone. Ne uscì una copia, arrotolata stretta, del numero di marzo del Cavillo. La srotolò e vide la propria faccia che sorrideva mite in copertina. Sulla foto era scritto, in grandi caratteri rossi:
   
    HARRY POTTER PARLA CHIARO:
    LA VERITÀ SU COLUI-CHE-NON-DEVE-ESSERE-NOMINATO E LA NOTTE IN CUI IO LO VIDI TORNARE
   
    «Bello, no?» domandò Luna, che aveva veleggiato verso il tavolo di Grifondoro e ora si insinuava sulla panca tra Fred e Ron. «È uscito ieri, ho chiesto a papà di mandartene una copia omaggio. Credo che questa» e indicò i gufi ancora accalcati sul tavolo davanti a Harry, «sia la posta dei lettori».
    «Lo pensavo anch’io» disse Hermione, curiosa. «Harry, ti dispiace se noi…»
    «Fate pure» rispose Harry, leggermente perplesso.
    Ron e Hermione cominciarono ad aprire buste.
    «Questa è di uno che pensa che ti sia bevuto il cervello» riferì Ron, leggendo una lettera. «Andiamo bene…»
    «Questa donna ti raccomanda una buona serie di Shockantesimi al San Mungo» continuò Hermione, appallottolandone una seconda.
    «Questa invece non è male» disse lentamente Harry, scorrendo la lunga missiva di una strega di Paisley. «Ehi, dice che mi crede!»
    «Questo non ha ancora deciso» annunciò Fred, che si era unito con entusiasmo all’apertura delle lettere. «Dice che non sembri matto, ma che non vuole credere che Tu-Sai-Chi sia tornato, perciò non sa cosa pensare. Accidenti, che spreco di pergamena».
    «Eccone un altro che hai convinto, Harry!» esclamò Hermione eccitata. «Avendo letto la sua versione della storia, sono giunto alla conclusione che La Gazzetta del Profeta le ha reso un vero torto… per quanto poco io desideri credere al ritorno di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, devo convenire che sta dicendo la verità… Oh, ma è meraviglioso!»
    «Un altro che pensa che tu stia delirando» disse Ron, gettandosi alle spalle una lettera accartocciata, «…ma quest’altra dice che l’hai convertita e adesso crede che tu sia un vero eroe… ha anche messo una foto… però!»
    «Che cosa succede qui?» chiese una voce infantile, falsamente soave.
    Harry alzò il capo, le mani piene di lettere. La professoressa Umbridge era in piedi alle spalle di Fred e Luna, con gli sporgenti occhi da rana che scrutavano il groviglio di gufi e pergamene sul tavolo davanti a Harry. Alle sue spalle molti studenti sbirciavano curiosi.
    «Perché riceve tutte queste lettere, signor Potter?» chiese scandendo le parole.
    «È un crimine, adesso?» intervenne Fred. «Ricevere posta?»
    «Attento, signor Weasley, o dovrò metterla in punizione» minacciò la Umbridge. «Allora, signor Potter?»
    Harry esitò, ma non avrebbe potuto tenere segreto ciò che aveva fatto; era solo questione di tempo prima che una copia del Cavillo finisse sotto gli occhi della Umbridge.
    «Questa gente mi scrive perché ho rilasciato un’intervista» rispose. «Su quello che mi è successo lo scorso giugno».
    Per qualche motivo lanciò uno sguardo al tavolo dei professori. Aveva la strana sensazione che Silente l’avesse osservato fino a un attimo prima, ma quando si voltò lo vide immerso in una conversazione con il professor Vitious.
    «Un’intervista?» ripeté la Umbridge, con voce più sottile e più acuta che mai. «Che cosa intende dire?»
    «Intendo dire che una giornalista mi ha fatto delle domande e io ho risposto» spiegò Harry. «Ecco…»
    E le lanciò la copia del Cavillo. Lei l’afferrò e fissò la copertina. Il suo viso pallido e paffuto si ricoprì di chiazze viola.
    «Quando ha fatto questo?» chiese, con voce incerta.
    «Nell’ultimo finesettimana a Hogsmeade».
    Lei lo guardò, incandescente dalla rabbia, con la rivista che tremava fra le dita tozze.
    «Non ci saranno più finesettimana a Hogsmeade per lei, signor Potter» sibilò. «Come osa… come ha potuto…» Respirò a fondo. «Ho provato e riprovato a insegnarle a non dire bugie. A quanto pare il messaggio non è giunto a destinazione. Cinquanta punti in meno a Grifondoro e un’altra settimana di punizione».
    E si allontanò stringendo al petto Il Cavillo, seguita con lo sguardo da molti studenti.
    A metà mattina enormi cartelli erano stati affissi in tutta la scuola, non solo nelle bacheche ma anche nei corridoi e nelle aule.
   
    PER ORDINE DELL’INQUISITORE SUPREMO DI HOGWARTS
    Tutti gli studenti trovati in possesso della rivista Il Cavillo saranno espulsi.
    Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventisette.
    Firmato: Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo
    Stranamente, ogni volta che Hermione vedeva uno di quei cartelli sorrideva raggiante.
    «Cos’è di preciso che ti rende tanto felice?» le chiese Harry.
    «Oh, Harry, ma non capisci?» sussurrò lei. «Se voleva essere assolutamente certa che ogni persona nella scuola leggesse l’intervista, non doveva far altro che bandirla!»
    E a quanto pareva, Hermione era nel giusto. Verso la fine della giornata, anche se Harry non aveva visto in giro nemmeno un angolino del Cavillo, tutti citavano l’intervista. Harry li sentiva sussurrare in fila fuori dalle lezioni, a pranzo e in fondo alle aule, e Hermione riferì che nei bagni delle ragazze, dov’era stata prima dell’ora di Antiche Rune, non si parlava d’altro.
    «E poi mi hanno visto, e ovviamente sanno che ti conosco e mi hanno bombardato di domande» raccontò a Harry, con gli occhi che brillavano, «e io penso che ti credano, sul serio, credo che tu li abbia finalmente convinti!»
    Nel frattempo la professoressa Umbridge pattugliava la scuola, fermava gli studenti a caso e chiedeva loro di vuotare le tasche e aprire i libri: Harry sapeva che stava cercando copie del Cavillo, ma gli studenti erano diversi passi avanti a lei. Le pagine con l’intervista erano state stregate per sembrare libri di testo se lette da estranei, o diventavano bianche finché il proprietario non voleva rileggerle. In breve fu chiaro che a scuola l’avevano letta tutti.
    Agli insegnanti naturalmente era proibito menzionare l’intervista per via del Decreto Didattico Numero Ventisei, ma trovarono lo stesso il modo di esprimere i loro sentimenti. La professoressa Sprite assegnò venti punti a Grifondoro quando Harry le passò l’annaffiatoio; un radioso professor Vitious gli infilò in mano una scatola di garruli topi di zucchero alla fine della lezione di Incantesimi, disse «Ssst!» e corse via; e la professoressa Cooman scoppiò in singhiozzi isterici durante Divinazione e annunciò alla classe sbalordita, e a una Umbridge quanto mai contrariata, che dopotutto Harry non sarebbe morto precocemente, ma avrebbe raggiunto un’età veneranda, sarebbe diventato Ministro della Magia e avrebbe avuto dodici figli.
    Ma quello che rese Harry più felice fu che Cho il giorno dopo lo raggiunse, mentre si affrettava verso l’aula di Trasfigurazione. Prima che potesse rendersene conto, lei infilò la mano nella sua e gli sussurrò all’orecchio: «Scusami tanto, davvero. Quell’intervista è stata così coraggiosa… mi ha fatto piangere».
    A lui dispiacque sentire che aveva versato altre lacrime, ma fu contento che gli rivolgesse di nuovo la parola, e lo fu ancora di più quando lei gli scoccò un rapido bacio sulla guancia prima di correre via. E, cosa incredibile, quando arrivò all’aula di Trasfigurazione avvenne un fatto altrettanto positivo: Seamus uscì dalla fila e gli si parò davanti.
    «Ti volevo dire» borbottò guardando il ginocchio sinistro di Harry, «che ti credo. E ho mandato una copia della rivista a mia madre».
    Se c’era bisogno di qualcos’altro per completare la felicità di Harry, fu la reazione di Malfoy, Tiger e Goyle. Li vide confabulare in biblioteca più tardi quel pomeriggio: erano in compagnia di un ragazzo allampanato che, sussurrò Hermione, si chiamava Theodore Nott. Si voltarono verso Harry mentre lui cercava dei libri sullo Svanimento Parziale. Goyle fece scrocchiare minaccioso le nocche e Malfoy bisbigliò qualcosa di indubbiamente malevolo a Tiger. Harry sapeva benissimo perché si comportavano così: aveva citato tutti i loro padri tra i Mangiamorte.
    «E la cosa più bella» gongolò Hermione quando uscirono dalla biblioteca, «è che non possono contraddirti, perché non possono ammettere di aver letto l’intervista!»
    A coronare il tutto, Luna annunciò durante la cena che nessun numero del Cavillo era mai andato esaurito così in fretta.
    «Papà vuole ristampare!» annunciò a Harry, con gli occhi che sporgevano dall’eccitazione. «Non riesce a crederci, dice che alla gente questo interessa perfino di più degli Snorticoli Cornuti!»
    Harry fu salutato come un eroe nella sala comune di Grifondoro, quella sera. Fred e George, temerari, avevano scagliato un Incantesimo di Ingrandimento sulla copertina del Cavillo e l’avevano appesa al muro, così che una testa gigantesca di Harry sorvegliava tutto, e ogni tanto tuonava: «MINISTERO DI DEFICIENTI» e «VAI A MANGIARE LETAME, UMBRIDGE». Hermione non lo trovò molto divertente; disse che disturbava la sua concentrazione e finì per andare a letto presto, irritata. Harry dovette ammettere che dopo un’ora o due il manifesto non era più tanto buffo, soprattutto quando l’incantesimo parlante cominciò a svanire, e gridava parole sconnesse come “LETAME” e “UMBRIDGE” a intervalli sempre più frequenti e con voce sempre più acuta. Anzi cominciò a dargli il mal di testa, e la sua cicatrice riprese a bruciare in modo sgradevole. Tra i borbottii contrariati di quelli che, seduti attorno a luì, gli chiedevano di raccontare per l’ennesima volta l’intervista, annunciò che anche lui aveva bisogno di andare a riposare.
    Il dormitorio era vuoto. Appoggiò per un momento la fronte contro il vetro freddo della finestra accanto al letto; era un sollievo per la cicatrice. Poi si svestì e si infilò sotto le coperte, sperando che il mal di testa passasse. Aveva anche un po’ di nausea. Si voltò su un fianco, chiuse gli occhi e si addormentò quasi subito…
    Era in piedi in una stanza buia, con le tende tirate, illuminata da un unico candeliere. Le sue mani afferravano la spalliera di una poltrona davanti a lui. Aveva dita lunghe e bianche, come se non avessero visto il sole per anni e sembravano grandi, pallidi ragni sul velluto scuro della poltrona.
    Sul pavimento davanti alla poltrona, nel cerchio di luce delle candele, era inginocchiato un uomo vestito di nero.
    «A quanto pare sono stato consigliato male» disse Harry con una voce fredda e acuta che pulsava di rabbia.
    «Padrone, imploro il vostro perdono» gracchiò l’uomo in ginocchio. La sua nuca brillava nella luce. Sembrava che tremasse.
    «Non è colpa tua, Rookwood» disse Harry, sempre con quella voce fredda e crudele.
    Lasciò la presa sulla poltrona e la aggirò, si avvicinò all’uomo a terra e gli si fermò davanti, guardandolo da un’altezza maggiore del solito.
    «Sei sicuro delle tue informazioni, Rookwood?» chiese Harry.
    «Sì, mio Signore, sì… io lavoravo in quell’Ufficio dopo… dopotutto…»
    «Avery mi ha detto che poteva prenderla Bode».
    «Bode non avrebbe mai potuto prenderla, Padrone… Bode sapeva che non poteva… senza dubbio è per questo che ha resistito tanto alla Maledizione Imperius di Malfoy…»
    «Alzati, Rookwood» sussurrò Harry.
    L’uomo in ginocchio quasi cadde in avanti per la fretta di obbedire. La sua faccia era butterata; le cicatrici risaltavano alla luce della candela. Rimase un po’ curvo, come sul punto di inchinarsi, e rivolse occhiate terrorizzate al viso di Harry.
    «Hai fatto bene a riferirmelo» disse Harry. «Molto bene… Ho sprecato mesi in piani infruttuosi, a quanto pare… ma non importa… da questo momento ricominciamo da capo. Hai la gratitudine di Lord Voldemort, Rookwood…»
    «Mio Signore… sì, mio Signore» balbettò Rookwood, la voce arrochita dal sollievo.
    «Avrò bisogno del tuo aiuto. Di tutte le informazioni che potrai darmi».
    «Certo, mio Signore, certo… qualunque cosa…»
    «Molto bene… puoi andare. Mandami Avery».
    Rookwood si allontanò camminando all’indietro, inchinandosi, e sparì dietro una porta.
    Solo nella stanza buia, Harry si voltò verso la parete. Uno specchio scheggiato e annerito dal tempo era appeso nell’ombra. Harry si avvicinò. La sua immagine riflessa si fece più grande e chiara nel buio… un volto più bianco di un teschio… occhi rossi, con pupille come fessure…
    «Nooooooooo!»
    «Cosa?» gridò una voce nelle vicinanze.
    Harry si agitò, si avviluppò nelle tende e cadde dal letto. Per qualche secondo non seppe dove si trovava; era convinto che avrebbe visto il volto bianco simile a un teschio che lo guardava nel buio; poi la voce di Ron disse, molto vicino: «La smetti di fare il pazzo, così ti tiro fuori di qui?»
    Ron aprì le tende e Harry, disteso sulla schiena, con la cicatrice che bruciava, lo fissò alla luce della luna. Ron si stava preparando per andare a dormire, e aveva un braccio fuori dalla veste.
    «Qualcuno è stato attaccato di nuovo?» chiese Ron, aiutandolo ad alzarsi. «È papà? È di nuovo quel serpente?»
    «No… stanno tutti bene…» balbettò Harry; sentiva la fronte che gli andava a fuoco. «Be’… Avery no… è nei guai… gli ha dato l’informazione sbagliata… Voldemort è molto arrabbiato…»
    Harry gemette e ricadde tremante sul letto, strofinandosi la cicatrice.
    «Ma Rookwood lo aiuterà, ora… è di nuovo sulla pista giusta…»
    «Di che cosa stai parlando?» disse Ron, spaventato. «Vuoi dire… hai appena visto Tu-Sai-Chi?»
    «Ero Tu-Sai-Chi» rispose Harry, e tese le mani davanti al viso, per assicurarsi che non fossero più bianche come la morte. «Era con Rookwood, è uno dei Mangiamorte fuggiti da Azkaban, ricordi? Rookwood gli ha appena detto che Bode non può averlo fatto».
    «Fatto cosa?»
    «Portato via qualcosa… ha detto che Bode sapeva che non poteva farlo… Bode era sotto la Maledizione Imperius… credo che abbia detto che gliel’aveva lanciata il padre di Malfoy».
    «Bode è stato stregato per portare via qualcosa?» disse Ron. «Ma… Harry, dev’essere…»
    «L’arma» terminò Harry per lui. «Lo so».
    La porta del dormitorio si aprì ed entrarono Dean e Seamus. Harry si rimise a letto. Non voleva che notassero qualcosa di strano, dato che Seamus aveva appena smesso di pensare che lui era matto.
    «Hai detto» mormorò Ron, avvicinandosi all’orecchio di Harry con la scusa di versarsi dell’acqua dalla brocca sul comodino, «che eri Tu-Sai-Chi?»
    «Sì» bisbigliò Harry.
    Ron bevve un sorso esagerato, sbrodolandosi sul mento e sul petto.
    «Harry» disse, mentre Dean e Seamus si svestivano chiacchierando, «devi dirlo…»
    «Non devo dirlo a nessuno» tagliò corto Harry. «Non l’avrei visto affatto, se fossi bravo in Occlumanzia. Dovrei aver imparato a chiudere fuori questa roba. È questo che loro vogliono».
    Con “loro” intendeva Silente. Tornò a letto e si voltò su un fianco, dando le spalle a Ron, e dopo un po’ sentì anche il materasso accanto cigolare. La cicatrice cominciò a bruciargli; strinse forte il cuscino tra i denti per non lasciarsi sfuggire dei gemiti. Da qualche parte, Avery veniva punito.
   
    * * *
    Harry e Ron aspettarono fino all’intervallo, il giorno dopo, per raccontare tutto a Hermione; volevano essere assolutamente certi di non essere ascoltati. Nel loro solito angolo fresco e ventoso del cortile, Harry le raccontò ogni dettaglio che riuscì a ricordare del sogno. Quando finì, lei non disse nulla per qualche istante, ma fissò con una sorta di dolorosa intensità Fred e George: entrambi senza testa, vendevano cappelli magici da sotto i mantelli all’altro capo del cortile.
    «Ecco perché l’hanno ucciso, allora» disse piano, distogliendo infine lo sguardo dai gemelli. «Quando Bode ha cercato di rubare l’arma, gli è successo qualcosa di strano. Credo che quella cosa abbia degli incantesimi difensivi, per impedire alla gente di toccarla. Ecco perché era al San Mungo: il suo cervello era danneggiato e non riusciva più a parlare. Ma ricordate che cos’ha detto la Guaritrice? Che stava migliorando. E non potevano rischiare che guarisse, no? Voglio dire, lo shock di quello che è successo quando ha toccato l’arma probabilmente ha interrotto la Maledizione Imperius. Una volta recuperata la parola, Bode avrebbe raccontato tutto. Si sarebbe saputo che era stato mandato a rubare l’arma. Naturalmente è stato facile per Lucius Malfoy scagliare la Maledizione su di lui. È sempre al Ministero, no?»
    «Era lì anche il giorno della mia udienza» disse Harry. «Nel… aspetta un attimo…» continuò pensieroso, «era nel corridoio dell’Ufficio Misteri, quel giorno! Tuo padre ha detto che probabilmente stava cercando di scoprire che cosa succedeva all’udienza, ma se invece…»
    «Sturgis!» esclamò Hermione come folgorata.
    «Come?» chiese Ron, stupito.
    «Sturgis Podmore…» boccheggiò Hermione. «È stato arrestato per aver cercato di forzare una porta! Lucius Malfoy deve aver beccato anche lui! Scommetto che l’ha fatto il giorno in cui l’hai visto lì, Harry. Sturgis aveva il Mantello dell’Invisibilità di Moody, no? Allora forse era lì, invisibile, di guardia alla porta, e Malfoy l’ha sentito muoversi… o ha immaginato che ci fosse qualcuno… o magari ha lanciato la Maledizione Imperius comunque, nel caso che ci fosse qualcuno di guardia. Così, appena Sturgis ne ha avuto l’opportunità, probabilmente quando è stato di nuovo il suo turno di guardia, ha cercato di entrare nell’Ufficio per rubare l’arma per Voldemort… Ron, sta’ zitto… ma è stato catturato e spedito ad Azkaban». Fissò Harry intensamente.
    «E ora Rookwood ha detto a Voldemort come fare a prendere l’arma?»
    «Non ho sentito tutta la conversazione, ma così mi è parso di capire» rispose Harry. «Rookwood prima lavorava lì… forse Voldemort manderà lui a rubarla?»
    Hermione annuì, sempre immersa nei suoi pensieri. Poi d’un tratto disse: «Ma tu non avresti dovuto vedere tutto questo, Harry».
    «Cosa?» fece lui, spiazzato.
    «Tu dovresti imparare a chiudere la tua mente a queste cose» disse Hermione, improvvisamente severa.
    «Lo so» replicò Harry. «Ma…»
    «Be’, credo che dovremmo cercare di dimenticare quello che hai visto» lo interruppe Hermione con fermezza. «E tu cerca di mettere più impegno in Occlumanzia, d’ora in poi».
    La settimana non migliorò. Harry prese due “D” in Pozioni; era ancora sulle spine all’idea che Hagrid potesse essere licenziato; e non poteva fare a meno di ripensare al sogno in cui lui era stato Voldemort, anche se non ne parlò più con i suoi amici: non voleva un’altra sgridata da Hermione. Avrebbe tanto desiderato poterne parlare con Sirius, ma era fuori discussione, perciò cercò di respingere il pensiero in fondo alla mente.
    Purtroppo quello non era più il posto sicuro di una volta.
    «In piedi, Potter».
    Un paio di settimane dopo il sogno su Rookwood, Harry si trovava ancora una volta in ginocchio sul pavimento dell’ufficio di Piton, cercando di schiarirsi la mente. Era appena stato costretto a rivivere un flusso di ricordi molto remoti, che non sapeva nemmeno di possedere ancora, la maggior parte dei quali riguardava le umiliazioni che gli erano state inflitte da Dudley e dalla sua banda alle scuole elementari.
    «Quell’ultimo ricordo» disse Piton. «Che cos’era?»
    «Non lo so» rispose Harry, alzandosi esausto. Trovava sempre più difficile sbrogliare ricordi distinti dal groviglio di immagini e suoni che Piton continuava a richiamare. «Vuol dire quello in cui mio cugino cercava di farmi entrare in piedi nel water?»
    «No» mormorò Piton. «Voglio dire quello con l’uomo inginocchiato nella stanza buia…»
    «Non è… niente» balbettò Harry.
    Gli occhi scuri di Piton perforarono quelli di Harry. Ricordando che Piton aveva detto che il contatto visivo era essenziale per la Legilimanzia, Harry sbatté le palpebre e distolse lo sguardo.
    «Come mai quell’uomo e quella stanza si trovano nella tua testa, Potter?»
    «È…» disse Harry, guardando ovunque tranne che verso Piton «è… solo un sogno che ho fatto»,
    «Un sogno?» ripeté Piton.
    Ci fu una pausa, durante la quale Harry fissò intensamente una grossa rana sospesa in un vasetto di liquido viola.
    «Tu sai perché siamo qui, vero, Potter?» chiese Piton con voce bassa e minacciosa. «Tu sai perché sto sprecando le mie serate in questo lavoro tedioso?»
    «Sì» rispose rigido Harry.
    «Ricordamelo, Potter».
    «Perché io impari l’Occlumanzia» disse Harry, osservando un’anguilla morta.
    «Giusto, Potter. E per quanto tu possa essere tardo…» Harry tornò a guardare Piton con odio, «pensavo che dopo oltre due mesi di lezioni saresti riuscito a fare qualche progresso. Quanti altri sogni hai fatto sull’Oscuro Signore?»
    «Solo quello» mentì Harry.
    «Forse» mormorò Piton socchiudendo gli occhi neri e freddi, «forse a te in realtà piace fare questi sogni e avere queste visioni, Potter. Forse ti fanno sentire speciale… importante?»
    «No» rispose Harry serrando le mascelle, e stringendo più forte la bacchetta.
    «Tanto meglio, Potter» disse Piton gelido, «perché tu non sei né speciale né importante, e non sta a te scoprire che cosa l’Oscuro Signore dice ai suoi Mangiamorte».
    «No… quello è compito suo, non è vero?» sbottò Harry.
    Non intendeva dirlo; si era solo abbandonato alla collera. Per un lungo momento rimasero a fissarsi, e Harry fu sicuro di essersi spinto troppo in là. Ma quando Piton rispose, sul suo volto c’era un’espressione curiosa, quasi soddisfatta.
    «Sì, Potter» sibilò, con un luccichio negli occhi. «È compito mio. Ora, se sei pronto, ricominciamo».
    Levò la bacchetta: «Uno… due… tre… Legilimens!»
    Un centinaio di Dissennatori si avvicinavano a Harry attraverso il lago… contrasse il viso per concentrarsi… si avvicinavano… vedeva i buchi neri sotto i loro cappucci… eppure vedeva ancora Piton in piedi davanti a lui, gli occhi fissi sul suo viso, che mormorava a mezza voce… e in qualche modo l’immagine di Piton si faceva più chiara, e quella dei Dissennatori sfumava…
    Harry alzò la bacchetta.
    «Protego!»
    Piton barcollò, la sua bacchetta volò verso l’alto, lontano, e all’improvviso la mente di Harry si riempì di ricordi non suoi: un uomo dal naso adunco che urlava contro una donna che cercava di difendersi, mentre un bambino piccolo coi capelli neri piangeva in un angolo… un adolescente dai capelli unti sedeva solo in una camera buia, puntando la bacchetta al soffitto per ammazzare le mosche… una ragazza rideva mentre un ragazzo ossuto tentava di cavalcare una scopa imbizzarrita…
    «BASTA COSÌ!»
    Harry sentì una forte spinta sul petto; indietreggiò di vari passi, urtò contro gli scaffali che rivestivano le pareti e sentì qualcosa infrangersi. Piton tremava leggermente ed era molto pallido.
    La veste di Harry era bagnata sulla schiena. Uno dei contenitori alle sue spalle si era rotto; la cosa viscida che c’era dentro si agitava in quel che restava della pozione.
    «Reparo» disse Piton e il recipiente si sigillò all’istante. «Bene, Potter… questo è stato un vero miglioramento…» Con il respiro un po’ affannoso, Piton sistemò meglio il Pensatolo in cui aveva riposto alcuni pensieri prima della lezione, come per assicurarsi che ci fossero ancora. «Non ricordo di averti insegnato a usare un Sortilegio Scudo… ma senza dubbio è stato efficace…»
    Harry non disse nulla; sentiva che parlare poteva essere pericoloso. Era sicuro di essersi intromesso nei ricordi di Piton, di aver appena visto immagini della sua infanzia. Era fastidioso pensare che il bambino che poco prima aveva visto piangere mentre i suoi genitori urlavano ora si trovava di fronte a lui con tanto disprezzo nello sguardo.
    «Riproviamo?» disse Piton.
    Harry fu percorso da un brivido di terrore; era certo che stava per pagare caro quanto era appena successo. Tornarono in posizione, con la scrivania a separarli, e Harry era convinto che stavolta sarebbe stato molto più difficile svuotare la mente.
    «Al mio tre, allora» disse Piton, levando ancora la bacchetta. «Uno… due…»
    Harry non ebbe nemmeno il tempo di provare a concentrarsi e liberare la mente prima che Piton esclamasse «Legilimens!»
    Stava correndo lungo il corridoio dell’Ufficio Misteri, davanti alle pareti di pietra, alle torce accese… la porta nera si faceva sempre più grande; lui correva così forte che ci avrebbe sbattuto contro, era a pochi metri e vedeva la striscia di debole luce azzurra…
    La porta si era aperta! Era entrato, finalmente, in una stanza circolare con pareti e pavimento neri, illuminata da candele con la fiamma azzurra, e c’erano molte altre porte intorno… ma qual era quella giusta…?
    «POTTER!»
    Harry aprì gli occhi. Era di nuovo disteso sulla schiena, senza alcun ricordo di come ci era finito; stava ansimando, come se avesse davvero corso lungo il corridoio dell’Ufficio Misteri, avesse davvero oltrepassato la porta nera e trovato la stanza circolare.
    «Spiegati!» esclamò Piton, torreggiando su di lui, furioso.
    «Io… non so che cos’è successo» disse sinceramente Harry, alzandosi. Aveva un bozzo sulla nuca, dove aveva sbattuto, e si sentiva febbricitante. «Non l’avevo mai visto prima. Gliel’ho detto, ho sognato la porta… ma non si era mai aperta…»
    «Non ti impegni abbastanza!»
    Per qualche motivo Piton sembrava più arrabbiato adesso che due minuti prima, quando Harry aveva visto i suoi ricordi.
    «Sei pigro e sciatto, Potter, e non mi meraviglia che l’Oscuro Signore…»
    «Mi dice una cosa, signore?» domandò Harry, accalorandosi di nuovo. «Perché chiama Voldemort l’Oscuro Signore? Ho sempre sentito solo i Mangiamorte chiamarlo così».
    Piton aprì la bocca in un ringhio… e una donna gridò da qualche parte, fuori dalla stanza.
    Piton levò la testa di scatto e guardò il soffitto.
    «Che cosa dia…?» mormorò.
    Harry sentì dei rumori soffocati provenire, gli sembrava, dalla Sala d’Ingresso. Piton si voltò verso di lui, accigliato.
    «Hai visto qualcosa di insolito scendendo, Potter?»
    Harry scosse la testa. Da qualche parte sopra di loro, la donna gridò di nuovo. Piton andò alla porta, la bacchetta ancora in mano, e sparì. Harry esitò un istante, poi lo seguì.
    Le grida venivano proprio dalla Sala d’Ingresso e si facevano sempre più forti via via che Harry correva verso le scale che risalivano dal sotterraneo. Trovò la Sala d’Ingresso piena di gente; gli studenti erano usciti in massa dalla Sala Grande, dove la cena era ancora in corso, per vedere che cosa stava succedendo; altri si erano affollati sulla scalinata di marmo. Harry si fece strada fra un gruppo di Serpeverde e vide che gli spettatori si erano disposti in un ampio cerchio, alcuni sbalorditi, altri addirittura spaventati. La professoressa McGranitt era al capo opposto della Sala rispetto a Harry e guardava la scena nauseata.
    La professoressa Cooman era al centro della Sala d’Ingresso, con la bacchetta in una mano e una bottiglia di sherry vuota nell’altra, e l’aria completamente folle. I capelli le stavano diritti sulla testa, gli occhiali erano storti così che un occhio risultava più dilatato dell’altro; i suoi numerosi scialli le pendevano disordinati dalle spalle, dando l’impressione che si stesse disfacendo. Due grossi bauli giacevano sul pavimento accanto a lei, uno rovesciato, come se fossero stati gettati dalle scale. Lei fissava con evidente terrore qualcosa che Harry non poteva vedere ma che a quanto pareva era ai piedi della scala.
    «No!» gridò. «No! Questo non può succedere… non può essere… mi rifiuto di accettarlo!»
    «Non aveva capito che stava per succedere?» domandò un’acuta voce infantile, divertita e spietata, e Harry, spostandosi un po’ sulla destra, si rese conto che la visione terrificante della Cooman non era altro che la professoressa Umbridge. «Nonostante non sia in grado nemmeno di prevedere che tempo farà domani, deve per forza aver capito che la sua penosa condotta durante le mie ispezioni e la mancanza totale di progressi avrebbero reso inevitabile il suo licenziamento!»
    «Lei non p-può!» ululò la Cooman, con le lacrime che scendevano sotto le lenti enormi. «Lei non p-può licenziarmi! Sono q-qui da sedici anni! H-Hogwarts è la mia c-casa!»
    «Era la sua casa» la corresse la Umbridge, e Harry trovò rivoltante la gioia sulla sua faccia da rospo mentre guardava la Cooman che si lasciava cadere su uno dei bauli, singhiozzando in maniera incontrollabile, «fino a un’ora fa, quando il Ministro della Magia ha controfirmato il suo Ordine di Licenziamento. Ora la prego di togliersi dall’ingresso. Ci mette tutti in imbarazzo».
    Ma rimase a guardare compiaciuta la Cooman che rabbrividiva e gemeva dondolandosi avanti e indietro in un crescendo di dolore. Harry sentì un singhiozzo soffocato alla sua sinistra e si voltò. Lavanda e Calì piangevano entrambe in silenzio, abbracciate. Poi sentì dei passi. La professoressa McGranitt si era avvicinata con passo sicuro alla Cooman, e ora le batteva con decisione sulla schiena, porgendole un grande fazzoletto.
    «Su, su, Sibilla… calmati… soffiati il naso… non è così brutto come sembra… non dovrai lasciare Hogwarts…»
    «Oh, davvero, professoressa McGranitt?» chiese la Umbridge con voce mortifera, facendo un passo avanti. «E l’autorità per fare questa affermazione…?»
    «È la mia» rispose una voce profonda.
    Il portone di quercia si era aperto. Gli studenti si fecero da parte quando Silente apparve sulla soglia. Harry non immaginava proprio che cosa stesse facendo fuori, ma c’era qualcosa di impressionante nella sua figura immobile sulla porta, stagliata contro una notte stranamente nebbiosa. Lasciandosi le porte aperte alle spalle, avanzò sorridendo all’interno del cerchio degli spettatori verso la professoressa Cooman, in lacrime e tremante sul suo baule, con la McGranitt accanto.
    «La sua, professor Silente?» La Umbridge diede in una risatina sgradevole. «Temo che lei non capisca la situazione. Io ho qui» e trasse un rotolo di pergamena dalla tasca, «un Ordine di Licenziamento firmato da me e dal Ministro della Magia. Ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventitré, l’Inquisitore Supremo di Hogwarts ha il potere di fare indagini, mettere in verifica e licenziare qualunque insegnante ella, vale a dire io, non ritenga all’altezza degli standard richiesti dal Ministero della Magia. Non ho ritenuto la professoressa Cooman all’altezza, e l’ho licenziata».
    Con enorme sorpresa di Harry, Silente continuò a sorridere. Guardò la professoressa Cooman, che ancora singhiozzava sul suo baule, e disse: «Naturalmente ha ragione, professoressa Umbridge. Come Inquisitore Supremo ha tutto il diritto di licenziare i miei insegnanti. Tuttavia non ha l’autorità di mandarli via dal castello. Temo» proseguì con un piccolo inchino, «che quel potere spetti ancora al Preside, ed è mio desiderio che la professoressa Cooman continui a vivere a Hogwarts».
    A queste parole, la Cooman scoppiò in una piccola risata isterica che nascondeva a malapena un singhiozzo.
    «N-no, me ne vado, Silente! Io l-lascerò Hogwarts e c-cercherò fortuna altrove…»
    «No» disse Silente con fermezza. «Io voglio che lei resti, Sibilla».
    Si voltò verso la McGranitt.
    «Posso chiederle di scortare Sibilla di sopra, professoressa McGranitt?»
    «Ma certo» rispose la McGranitt. «Su, alzati, Sibilla…»
    La professoressa Sprite uscì in fretta dalla folla e afferrò l’altro braccio della Cooman. Insieme la guidarono su per le scale, passando davanti alla Umbridge. Il professor Vitious puntò la bacchetta davanti a sé, esclamò «Baule Locomotor!» e il bagaglio della Cooman si alzò a mezz’aria e la seguì per le scale, con Vitious a chiudere il corteo.
    La Umbridge era immobile e fissava Silente, che continuava a sorridere benevolo.
    «E che cosa farà di lei» chiese, in un sussurro ben udibile in tutta la Sala d’Ingresso, «quando avrò assunto un nuovo insegnante di Divinazione, che avrà bisogno dei suoi alloggi?»
    «Oh, non sarà un problema» rispose Silente in tono gentile. «Vede, ho già trovato un nuovo insegnante di Divinazione, e preferisce abitare al pianterreno».
    «Lei ha trovato…?» urlò stridula la Umbridge. «Lei? Posso ricordarle, Silente, che in base al Decreto Didattico Numero Ventidue…»
    «Il Ministero ha il diritto di incaricare un candidato idoneo se, e solo se, il Preside non è in grado di trovarne uno» disse Silente. «E sono felice di comunicarle che in questa occasione ho avuto successo. Posso presentarvi?»
    Si voltò verso le porte aperte, dalle quali stava entrando la foschia della notte. Harry sentì un rumore di zoccoli. Nella Sala si diffuse un mormorio attonito e quelli accanto all’ingresso si spostarono precipitosamente ancora più indietro; alcuni inciamparono per la fretta di fare strada al nuovo venuto.
    Dalla nebbia emerse un volto che Harry aveva già visto in una buia, pericolosa notte nella foresta proibita: i capelli di un biondo chiarissimo e gli occhi di un azzurro sorprendente; la testa e il torso di un uomo uniti al corpo di un cavallo palomino.
    «Questo è Fiorenzo» disse allegro Silente a una folgorata Umbridge. «Credo che lo troverà idoneo».
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