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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Il centauro e la spia


   «Scommetto che adesso ti dispiace di aver mollato Divinazione, eh, Hermione?» ridacchiò Calì con aria furba.
    Era ora di colazione, due giorni dopo il licenziamento della professoressa Cooman, e Calì si arricciava le ciglia con la bacchetta e osservava l’effetto sul dorso di un cucchiaio. Quella mattina avrebbero avuto la loro prima lezione con Fiorenzo.
    «Non proprio» rispose indifferente Hermione, continuando a leggere La Gazzetta del Profeta. «Non mi sono mai piaciuti molto i cavalli».
    Girò pagina e scorse con lo sguardo le colonne del giornale.
    «Non è un cavallo, è un centauro!» protestò Lavanda.
    «Un centauro affascinante…» sospirò Calì.
    «Ha comunque quattro zampe» replicò fredda Hermione. «E poi voi due non eravate sconvolte dal licenziamento della Cooman?»
    «Lo siamo!» disse Lavanda. «Siamo anche andate a trovarla e le abbiamo portato un mazzo di giunchiglie… di quelle carine, non quelle strombazzanti della Sprite».
    «Come sta?» chiese Harry.
    «Non troppo bene, poverina» rispose Lavanda comprensiva. «Piange tutto il tempo e dice che preferirebbe lasciare il castello per sempre, piuttosto che restare sotto lo stesso tetto della Umbridge, e non so darle torto. La Umbridge si è comportata malissimo, vi pare?»
    «Ho la sensazione che abbia appena cominciato a comportarsi malissimo» commentò cupa Hermione.
    «Impossibile» obiettò Ron, impegnato a ripulire un piatto di uova e pancetta. «Peggio di così…»
    «Ricorda le mie parole: vorrà vendicarsi di Silente perché ha assunto un nuovo insegnante senza consultarla». Hermione chiuse decisa il giornale. «Soprattutto un altro semiumano. Non hai notato la sua faccia quando ha visto Fiorenzo?»
    Dopo colazione, Hermione andò ad Aritmanzia, e Harry e Ron seguirono Calì e Lavanda nella Sala d’Ingresso, diretti a Divinazione.
    «Non andiamo nella Torre Nord?» chiese perplesso Ron quando Calì passò oltre la scala di marmo.
    «Come credi che farebbe Fiorenzo a salire lassù?» replicò lei, voltando la testa per lanciargli un’occhiata sdegnosa. «Terrà lezione nell’aula undici, c’era l’avviso in bacheca ieri».
    L’aula undici si trovava al pianterreno e dava sul corridoio che univa la Sala d’Ingresso alla Sala Grande. Harry sapeva che veniva usata di rado e aveva l’aspetto vagamente trascurato di un ripostiglio o di un magazzino. Perciò rimase a bocca aperta quando, entrando dietro a Ron, si trovò in mezzo a una radura nella foresta.
    «Ma cosa…?»
    Alberi erano spuntati dal pavimento coperto di soffice muschio, e i rami frondosi si allargavano a nascondere soffitto e finestre, riempiendo l’aula di obliqui raggi di soffusa, screziata luce verde. Gli studenti già arrivati erano seduti per terra a gambe incrociate, appoggiati a tronchi o massi, le braccia strette attorno alle ginocchia o sul petto, e tutti avevano l’aria decisamente nervosa. Fiorenzo era immobile al centro della radura.
    «Harry Potter» disse vedendo entrare Harry, e gli tese la mano.
    «Oh… salve». Harry strinse la mano del centauro, i cui incredibili occhi azzurri lo fissarono senza batter ciglio e senza un sorriso. «Piacere di vederti».
    «Il piacere è mio». Fiorenzo chinò la testa di un biondo chiarissimo. «Era destino che le nostre strade tornassero a incrociarsi».
    Harry notò sul suo petto l’ombra di un livido a forma di zoccolo. Mentre si voltava per sedersi a terra insieme agli altri, si accorse che tutti lo guardavano attoniti, profondamente colpiti dalla sua confidenza con Fiorenzo, che sembrava incutere loro molta soggezione.
    Quando la porta fu chiusa e anche l’ultimo studente si fu seduto su un ceppo d’albero comparso accanto al cestino della carta straccia, Fiorenzo fece un ampio gesto col braccio.
    «Il professor Silente è stato così gentile da rendere quest’aula simile al mio habitat naturale. Avrei preferito farvi lezione nella foresta proibita — che fino a lunedì era la mia casa — ma non è più possibile».
    «Scusi… ehm… signore» balbettò Calì, alzando la mano, «perché no? Ci siamo già stati con Hagrid, e non ci fa paura!»
    «Il problema non è il vostro coraggio» replicò Fiorenzo, «ma la mia posizione. Non posso tornare nella foresta. Il mio branco mi ha bandito».
    «Branco?» chiese confusa Lavanda, e Harry intuì che pensava a una mandria di mucche. «Ma che cosa… oh!» Aveva capito. «Vuol dire che ci sono altri centauri?»
    «Hagrid vi alleva come i Thestral?» chiese curioso Dean.
    Con estrema lentezza, Fiorenzo voltò il capo per fissarlo, e Dean si rese immediatamente conto di aver detto qualcosa di molto offensivo.
    «Non volevo… non pensavo… chiedo scusa» disse con voce strozzata.
    «I centauri non sono i servi e nemmeno i giocattoli degli umani» spiegò pacato Fiorenzo. Dopo un breve silenzio, Calì alzò di nuovo la mano.
    «Scusi, signore… perché gli altri centauri l’hanno bandita?»
    «Perché ho accettato di lavorare per il professor Silente. Lo ritengono un tradimento».
    Harry ricordò gli aspri rimproveri che quasi quattro anni prima Cassandro aveva rivolto a Fiorenzo quando, per aiutarlo a mettersi in salvo, gli aveva permesso di montargli in groppa: l’aveva accusato di comportarsi come un “mulo qualunque”. Che fosse stato Cassandro a colpirlo sul petto?
    «Cominciamo» disse Fiorenzo. Scrollò la lunga coda dorata e levò le mani verso il baldacchino di foglie che li sovrastava, per poi abbassarle lentamente: la luce nella stanza si affievolì, aumentando l’impressione di trovarsi in una radura della foresta sul calar della sera. Il soffitto si accese di stelle. Ci furono parecchi oooh e mormorii stupiti, e Ron esclamò: «Acci…!»
    «Sdraiatevi» disse Fiorenzo, «e osservate il cielo. Lassù, per coloro che sanno vedere, è scritto il destino delle nostre specie».
    Harry obbedì e fissò il soffitto, dove una luminosa stella rossa baluginava sopra la sua testa.
    «So che a lezione di Astronomia avete imparato i nomi dei pianeti e delle loro lune» proseguì Fiorenzo, «e avete tracciato le mappe del movimento delle stelle attraverso il cielo. Di quei movimenti, i centauri hanno dipanato i segreti nel corso dei secoli, e le nostre scoperte ci hanno insegnato che nel cielo è possibile intravedere il futuro…»
    «Con la professoressa Cooman abbiamo studiato l’Astrologia!» esclamò eccitata Calì, restando distesa a pancia in su e agitando una mano sopra di sé. «Marte provoca incidenti e scottature e cose del genere, e quando forma con Saturno un angolo così…» e tracciò per aria un angolo retto, «…bisogna fare attenzione a maneggiare le cose che scottano…»
    «Queste» rispose calmo Fiorenzo, «sono assurdità umane».
    La mano di Calì si abbassò di colpo.
    «Futili, piccoli incidenti umani…» proseguì Fiorenzo, gli zoccoli tambureggianti sul pavimento muschioso «…che per il vasto universo non hanno più importanza di un affannarsi di formiche, e nulla hanno a che fare col movimento dei pianeti».
    «La professoressa Cooman…» cominciò a protestare Calì.
    «…è un’umana» disse Fiorenzo con semplicità. «E per questo è impacciata dai paraocchi e dalle pastoie tipiche della vostra specie».
    Harry lanciò un’occhiata in tralice a Calì: sembrava decisamente offesa, come diversi altri studenti.
    «Forse Sibilla Cooman possiede la Vista» riprese Fiorenzo, camminando avanti e indietro e scrollando di nuovo la coda, «ma perlopiù spreca il tempo dedicandosi a quell’assurdità presuntuosa che gli umani definiscono “predizione del futuro”. Invece io sono qui per spiegarvi la saggezza dei centauri, che è impersonale e imparziale. Noi osserviamo i cieli per individuare l’insorgere delle grandi ondate di malvagità o i mutamenti che talvolta appaiono iscritti lassù. E sono necessari anche dieci anni per essere sicuri di aver interpretato nel modo giusto quel che abbiamo visto».
    Indicò la stella rossa esattamente sopra Harry.
    «Nell’ultima decade si sono avute avvisaglie che la specie dei maghi sta vivendo solo una breve parentesi di quiete fra due guerre. Marte, latore di battaglie, arde luminoso sopra di noi e suggerisce l’imminente scoppio di un nuovo conflitto. Fra quanto tempo, i centauri possono tentare di predirlo bruciando speciali erbe e foglie, e osservando il fumo e le fiamme…»
    Fu la lezione più strana a cui Harry avesse mai assistito. Bruciarono salvia e malva sul pavimento dell’aula, e Fiorenzo li invitò a cercare particolari forme e simboli nei vapori pungenti, ma non si scompose quando nessuno di loro riuscì a vederne uno solo. Di rado, spiegò, gli umani erano capaci di scorgerli, e gli stessi centauri impiegavano anni per padroneggiare quell’arte; in ogni caso — concluse — era sciocco riporre in quei metodi una fede eccessiva, perché perfino i centauri a volte ne traevano conclusioni sbagliate. Era diverso da qualunque insegnante umano Harry avesse mai avuto. Sembrava più interessato a convincerli che niente era infallibile — nemmeno le conoscenze dei centauri — che a trasmettere il suo sapere agli allievi.
    «Non è che sia stato chiarissimo, eh?» commentò Ron a voce bassa mentre spegnevano il fuocherello di foglie di malva. «Ci avrebbe fatto comodo saperne di più su questa guerra che sembra stia per scoppiare…»
    Il suono della campanella li fece trasalire. Harry si era del tutto scordato di essere nel castello; era convinto di trovarsi davvero nella foresta. Gli studenti uscirono dall’aula uno dopo l’altro, un po’ perplessi.
    Anche Harry e Ron stavano per seguirli, quando la voce di Fiorenzo li bloccò. «Harry Potter, una parola, prego».
    Harry si voltò e vide il centauro venire verso di lui. Ron esitò.
    «Puoi restare» gli disse Fiorenzo. «Ma chiudi la porta, per piacere».
    Ron si affrettò a obbedire.
    «Harry Potter, tu sei amico di Hagrid, vero?» chiese il centauro.
    «Sì».
    «Allora comunicagli un messaggio da parte mia. Il suo tentativo non porta a nulla. Farebbe meglio a lasciar perdere».
    «Il suo tentativo non porta a nulla?» ripeté Harry senza capire.
    «E farebbe meglio a lasciar perdere» disse Fiorenzo, e annuì. «Lo avvertirei io, ma non sarebbe prudente se mi avvicinassi alla foresta… Hagrid ha già abbastanza guai senza dovervi aggiungere una zuffa fra centauri».
    «Ma… che cos’è che sta cercando di fare Hagrid?» chiese inquieto Harry.
    Fiorenzo sostenne impassibile il suo sguardo.
    «Di recente Hagrid mi ha reso un grande favore, e già da tempo si è guadagnato il mio rispetto per la cura che dedica a tutte le creature viventi. Non tradirò il suo segreto. Però deve accettare la realtà. Il suo tentativo non porta a nulla. Diglielo, Harry Potter. Buongiorno a voi».
   
    * * *
    La gioia provata da Harry dopo l’intervista comparsa sul Cavillo era svanita da un pezzo. Mentre un cupo marzo sfumava in un aprile burrascoso, la sua vita parve ridiventare un’interminabile serie di preoccupazioni e di problemi.
    Dato che la Umbridge continuava ad assistere a tutte le lezioni di Cura delle Creature Magiche, non fu facile trasmettere a Hagrid il messaggio di Fiorenzo. Alla fine Harry finse di aver dimenticato la sua copia degli Animali Fantastici: Dove Trovarli, e tornò indietro dopo la lezione. Quando gli riferì le parole di Fiorenzo, Hagrid — che quel giorno aveva tutt’e due gli occhi neri e gonfi — lo fissò per un momento come preso alla sprovvista. Però si ricompose alla svelta.
    «Tipo a posto, Fiorenzo» brontolò, sollevando un bacile pieno di cacche di Knarl, «ma stavolta mica sa di cosa parla. Il tentativo va una meraviglia».
    «Che cosa stai combinando, Hagrid?» gli chiese Harry, serio. «Devi fare attenzione… la Umbridge ha già licenziato la Cooman, e secondo me è solo l’inizio. Se stai facendo qualcosa che non dovresti…»
    «C’è delle cose più importanti che tenersi il lavoro» replicò Hagrid; però le mani gli tremavano tanto che il bacile gli sfuggì e finì per terra. «Non preoccuparti per me, Harry. Adesso vai, fa’ il bravo».
    Harry non ebbe altra scelta che lasciarlo lì a ripulire il pavimento dalle cacche di Knarl, ma si sentiva decisamente abbacchiato.
    Nel frattempo, come gli insegnanti e Hermione continuavano a ripetere, i G.U.F.O. erano sempre più vicini. Chi più chi meno, tutti gli studenti del quinto anno erano molto tesi, ma Hannah Abbott fu la prima ad andare in crisi. Era scoppiata in singhiozzi durante Erbologia, gemendo che era troppo stupida per superare gli esami e tanto valeva mollare subito la scuola, e Madama Chips dovette somministrarle una Pozione Rilassante.
    Non fosse stato per le lezioni dell’ES, Harry avrebbe toccato il fondo dell’infelicità. Aveva l’impressione di vivere per le ore che passava nella Stanza delle Necessità, a lavorare sodo ma anche a divertirsi, e soprattutto a gonfiarsi d’orgoglio nel notare i miglioramenti ottenuti dai suoi compagni. A volte si chiedeva come avrebbe reagito la Umbridge quando tutti i membri dell’ES avessero preso “Eccezionale” nell’esame di Difesa contro le Arti Oscure.
    Fra l’entusiasmo generale avevano finalmente cominciato a lavorare sui Patronus, anche se, come continuava a ricordare loro Harry, evocarne uno in tutta sicurezza e in un’aula illuminata a giorno era ben diverso dall’evocarlo di fronte a un Dissennatore.
    «Non fare il guastafeste» lo rimproverò allegramente Cho, seguendo con lo sguardo il suo Patronus — un cigno argenteo — che svolazzava nella Stanza delle Necessità durante la loro ultima lezione prima delle vacanze pasquali. «Sono così carini!»
    «Non devono essere carini, devono proteggerti» le spiegò Harry paziente. «Quello che ci servirebbe è un Molliccio o qualcosa del genere… è così che ho imparato: evocando un Patronus mentre il Molliccio faceva finta di essere un Dissennatore…»
    «Ma sarebbe spaventoso!» disse Lavanda, dalla cui bacchetta uscivano solo sputacchianti sbuffi di vapore argenteo. «E a me… ancora… non riesce!» aggiunse stizzita.
    Nemmeno Neville se la cavava troppo bene. Aveva il volto contratto in una smorfia di concentrazione, ma dalla punta della sua bacchetta uscivano solo sparuti ciuffi di fumo grigio.
    «Devi pensare a qualcosa che ti renda felice» gli ricordò Harry.
    «Ci provo» disse avvilito Neville, e in effetti s’impegnava tanto che aveva la faccia tonda lucida di sudore.
    «Harry, forse ce l’ho fatta!» gridò Seamus. Era venuto insieme a Dean, e quella era la sua prima riunione dell’ES. «Guarda… ah… è sparito… ma era qualcosa di peloso, ne sono sicuro!»
    «Però sono carini» disse Hermione, guardando con affetto il suo Patronus, una scintillante lontra argentea che continuava a saltellarle attorno.
    All’improvviso, la porta della Stanza delle Necessità si aprì e si richiuse. Harry si voltò per vedere chi era entrato, ma non vide nessuno. Gli ci volle un momento prima di rendersi conto che i ragazzi più vicini alla porta erano ammutoliti. Un attimo dopo si sentì strattonare la veste all’altezza del ginocchio, e abbassando stupefatto lo sguardo vide Dobby l’elfo domestico che lo guardava da sotto i suoi otto berretti di lana.
    «Ciao, Dobby!» disse. «Che cosa fai… Cosa succede?»
    L’elfo aveva gli occhi sbarrati e tremava da capo a piedi. Gli studenti più vicini a Harry si erano zittiti, gli occhi fissi su Dobby. I pochi Patronus che erano riusciti a evocare svanirono in una nebbiolina perlacea, lasciando la stanza molto più buia di prima.
    «Harry Potter, signore…» squittì l’elfo, senza smettere di tremare. «Harry Potter, signore… Dobby viene per avvertire… ma gli elfi domestici non possono parlare…»
    Si lanciò a capofitto contro il muro. Harry, ormai abituato alle autopunizioni di Dobby, fece per agguantarlo, ma l’urto fu attutito dagli otto berretti e l’elfo si limitò a rimbalzare sulla pietra. Hermione e qualche altra ragazza emisero strilli di paura e compassione.
    «Cos’è successo, Dobby?» chiese Harry, afferrandolo per un braccio sottile, per tenerlo alla larga da qualunque cosa potesse fargli del male.
    «Harry Potter… lei… lei…»
    Dobby si colpì con il pugno libero, e Harry si affrettò a bloccargli anche l’altro braccio.
    «Chi è “lei”, Dobby?»
    Ma sospettava di conoscere la risposta; soltanto una “lei” poteva terrorizzare Dobby fino a quel punto. L’elfo lo fissò strabuzzando gli occhi e mosse le labbra senza emettere suono.
    «La Umbridge?» sussurrò Harry inorridito.
    Dobby annuì, e subito tentò di sbattergli la testa sulle ginocchia, ma con pari prontezza Harry tese le braccia per tenerlo a distanza.
    «La Umbridge che cosa? Dobby… non avrà per caso scoperto di noi… dell’ES?»
    La risposta era scritta chiaramente sul viso sconvolto dell’elfo. Dato che aveva le braccia bloccate, Dobby tentò di prendersi a calci e cadde sulle ginocchia.
    «Sta venendo qui?» chiese Harry piano.
    Dobby lanciò un ululato e cominciò a pestare i piedi nudi sul pavimento.
    «Sì, Harry Potter, sì!»
    Harry si raddrizzò di scatto a fissare i compagni che assistevano paralizzati alle contorsioni dell’elfo.
    «CHE COSA ASPETTATE?» urlò. «SCAPPATE!»
    Si lanciarono tutti insieme verso l’uscita, accalcandosi sulla porta; poi cominciarono a riversarsi nel corridoio. Harry sentì i primi allontanarsi di corsa e si augurò che avessero il buonsenso di non andare verso i rispettivi dormitori. Mancavano ancora dieci minuti alle nove: se si fossero rifugiati in biblioteca o nella Guferia, tutt’e due più vicine…
    «Vieni, Harry!» strillò Hermione dal centro della mischia.
    Harry sollevò di peso Dobby, che ancora tentava di procurarsi qualche ferita grave, e si mise in coda ai fuggiaschi.
    «Dobby…» disse. «Questo è un ordine: torna in cucina con gli altri elfi, e se lei ti chiede se mi hai avvertito, menti e rispondi di no! E ti proibisco di farti del male!» aggiunse. Lasciò andare l’elfo e uscì per ultimo dalla Stanza delle Necessità, sbattendosi la porta alle spalle.
    «Grazie, Harry Potter!» squittì Dobby e filò via. Harry si guardò intorno: i suoi compagni se la stavano svignando così alla svelta che per un momento intravide solo un turbinio di piedi in fondo al corridoio, e poi più nulla. Si slanciò verso destra; più avanti c’era un bagno, se fosse riuscito a raggiungerlo poteva fingere di essere sempre stato lì…
    «AAARGH!»
    Qualcosa lo aveva afferrato alle caviglie, facendogli fare una caduta spettacolare… prima di fermarsi, scivolò in avanti per quasi due metri. Qualcuno rideva alle sue spalle. Rotolò sulla schiena e vide Malfoy nascosto in una nicchia, dietro un orrido vaso a forma di drago.
    «Incantesimo d’Inciampo, Potter!» disse soddisfatto. «Ehi, professoressa… PROFESSORESSA! Ne ho preso uno!»
    La Umbridge arrivò di gran carriera dall’altro capo del corridoio, col fiato corto e un sorriso deliziato.
    «È lui!» esultò, vedendo Harry sul pavimento. «Eccellente, Draco, eccellente, oh, sì… cinquanta punti a Serpeverde! Adesso ci penso io… in piedi, Potter!»
    Harry si rialzò, fulminandoli con gli occhi. Non aveva mai visto la Umbridge così soddisfatta. Gli strinse le dita come una morsa attorno al braccio e si voltò sorridendo verso Malfoy.
    «Cerchi di acchiapparne qualcun altro, Draco. Dica agli altri di controllare in biblioteca… chiunque abbia il fiatone… e anche nei bagni, la signorina Parkinson può controllare quello delle ragazze… andate, svelti… Quanto a lei, Potter…» aggiunse con la sua voce più sommessa e più pericolosa, mentre Malfoy si allontanava, «verrà con me nell’ufficio del Preside».
    Furono davanti al gargoyle di pietra nel giro di pochi minuti. Harry continuava a chiedersi se avevano catturato qualcun altro. Pensò a Ron — la signora Weasley lo avrebbe strozzato — e a come ci sarebbe rimasta male Hermione se l’avessero espulsa prima del G.U.F.O. E per Seamus quella era stata la prima riunione… e Neville era così migliorato…
    «Ape Frizzola» cantilenò la Umbridge; il gargoyle si scostò, la parete si spalancò e i due salirono la scala mobile di pietra. Quando raggiunsero la lucida porta col batacchio a forma di grifone, la Umbridge, sempre tenendo stretto Harry, entrò senza nemmeno bussare.
    L’ufficio era pieno. Silente era seduto dietro la scrivania, l’espressione serena, le lunghe dita unite in punta. La professoressa McGranitt gli stava accanto, irrigidita dalla tensione. Cornelius Caramell, il Ministro della Magia, si dondolava gongolante sulla punta dei piedi accanto al fuoco. Kingsley Shacklebolt e un mago dall’aria dura, con cortissimi capelli ispidi, che Harry non aveva mai visto, erano piazzati ai lati della porta come guardie; e l’occhialuto, lentigginoso Percy Weasley oscillava eccitato accanto a una parete, una penna d’oca e un rotolo di pergamena fra le mani, pronto a prendere appunti.
    Quella sera i ritratti degli antichi Presidi non stavano sonnecchiando. Erano tutti vigili e seri, lo sguardo fisso su quanto accadeva sotto di loro. Quando Harry entrò, alcuni si spostarono nei quadri vicini, scambiandosi bisbigli ansiosi.
    Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, Harry si divincolò dalla stretta della Umbridge. Cornelius Caramell lo fissò con aria di maligna soddisfazione.
    «Bene» disse. «Bene, bene, bene…»
    Harry lo ricambiò con la sua occhiata più velenosa. Si sentiva il cuore in gola, ma il cervello stranamente freddo e lucido.
    «Cercava di raggiungere la Torre di Grifondoro» disse la Umbridge. Nella sua voce vibrava un’eccitazione indecente, la stessa gioia perversa che Harry le aveva visto mentre guardava la professoressa Cooman sciogliersi in lacrime nella Sala d’Ingresso. «È stato il giovane Malfoy a fermarlo».
    «Malfoy, eh?» si compiacque Caramell. «Devo ricordarmi di dirlo a Lucius. Bene, Potter… suppongo che tu sappia perché sei qui, vero?»
    Harry era pronto a rispondere con un “sì” di sfida: aveva già aperto la bocca e la parola gli era già quasi uscita dalle labbra quando vide il volto di Silente. Non guardava esattamente lui — teneva gli occhi fissi su un punto appena sopra le sue spalle — ma lo vide chiaramente scuotere il capo di una frazione di centimetro.
    Senza esitare, cambiò idea a metà parola.
    «Sss…no».
    «Prego?» chiese Caramell.
    «No» disse Harry deciso.
    «Non sai perché sei qui?»
    «No, non lo so».
    Lo sguardo incredulo di Caramell si spostò da lui alla professoressa Umbridge; Harry ne approfittò per lanciare di soppiatto un’altra occhiata a Silente, e lo vide rivolgere al tappeto un impercettibile cenno d’assenso e l’ombra di una strizzata d’occhio.
    «Dunque non sai» riprese Caramell, la voce traboccante sarcasmo, «perché la professoressa Umbridge ti ha portato in questo ufficio? Non ti rendi conto di aver infranto le regole della scuola?»
    «Regole della scuola?» ripeté Harry. «No di certo».
    «O meglio» si corresse rabbioso Caramell, «i Decreti del Ministero?»
    «Non che io sappia» ribatté Harry affabile.
    Il cuore continuava a battergli molto in fretta. Valeva quasi la pena di mentire così spudoratamente per vedere alzarsi la pressione di Caramell, ma non capiva come questo potesse aiutarlo a cavarsela: se qualcuno aveva spifferato alla Umbridge dell’ES, tanto valeva che lui, suo organizzatore e capo, facesse i bagagli sui due piedi.
    «Insomma, è una novità per te» riprese Caramell con voce fremente di collera, «apprendere che in questa scuola è stata scoperta un’organizzazione illegale?»
    «Davvero?» disse Harry, ostentando un’aria stupita pochissimo convincente.
    «Ritengo, Ministro» intervenne melliflua la Umbridge, ancora accanto a lui, «che potremmo compiere maggiori progressi se mi fosse permesso convocare la nostra informatrice».
    «Sì, sì, permesso accordato». Mentre la Umbridge usciva svelta dall’ufficio, Caramell lanciò un’occhiata maligna a Silente. «Non c’è nulla di meglio di un buon testimone, eh, Silente?»
    «Assolutamente nulla, Cornelius» concordò Silente in tono grave, inclinando la testa di lato.
    Dopo un’attesa di vari minuti, durante i quali tutti evitarono di guardarsi, Harry sentì aprirsi la porta. La Umbridge gli passò accanto, tenendo una mano sulla spalla della ricciuta amica di Cho, Marietta, che si nascondeva la faccia tra le mani.
    «Non abbia paura, cara, non ce n’è bisogno» la incoraggiò mielata, dandole dei colpetti rassicuranti sulla schiena. «Andrà tutto bene. Ha fatto la cosa giusta. Il Ministro è molto contento di lei. Dirà a sua madre quanto è stata brava. Sua madre» spiegò, lanciando un’occhiata a Caramell, «è la signora Edgecombe dell’Ufficio del Trasporto Magico, Autorità della Metropolvere… ci aiuta a sorvegliare i camini di Hogwarts».
    «Bene, bene» disse calorosamente Caramell. «Tale madre, tale figlia, eh? Su, cara, guardami, non essere timida, sentiamo cos’hai da dire… Per tutti i gargoyle galoppanti!»
    Marietta quasi non fece in tempo ad abbassare le mani e alzare la testa che Caramell indietreggiò sgomento, evitando per un pelo di finire nel fuoco, e prese a calpestare imprecando l’orlo bruciacchiato del mantello. Con un gemito, Marietta si tirò il colletto della veste fin sopra gli occhi, ma tutti fecero in tempo a vederle la faccia orribilmente sfigurata da una serie di fitte pustole purpuree che le si allargavano sul naso e sulle guance formando la parola spia.
    «Non si preoccupi per qualche brufolo, cara» la esortò impaziente la Umbridge. «Abbassi quel colletto e racconti al Ministro…»
    Per tutta risposta, Marietta gemette di nuovo e scosse freneticamente la testa.
    «E va bene, sciocca ragazza, glielo dirò io» scattò la Umbridge.
    «Le cose stanno così, signor Ministro» cominciò, stampandosi sul viso il solito sorriso nauseante. «Questa sera dopo cena, la signorina Edgecombe è venuta nel mio ufficio e ha detto di volermi confidare qualcosa. Se fossi andata in una stanza appartata al settimo piano, nota come Stanza delle Necessità, vi avrei trovato qualcosa di molto interessante. L’ho interrogata più a fondo, e alla fine lei ha ammesso che lassù si sarebbe svolta una specie di riunione. Purtroppo a questo punto è entrata in azione una fattura» e accennò stizzita alla faccia sempre nascosta di Marietta, «e non appena la ragazza si è vista allo specchio è rimasta troppo sconvolta per aggiungere altro».
    «Bene bene» ripeté Caramell, fissando Marietta con quella che secondo lui era un’espressione gentile e paterna. «Sei stata molto coraggiosa, mia cara, a raccontare tutto alla professoressa Umbridge. Hai fatto bene. Adesso, da brava, perché non mi dici che cosa succedeva durante queste riunioni? Qual era il loro scopo? Chi vi partecipava?»
    Marietta scosse di nuovo il capo in silenzio, gli occhi sgranati e impauriti.
    «Non c’è una controfattura?» chiese impaziente Caramell alla Umbridge, accennando alla faccia di Marietta. «In modo che possa parlare liberamente?»
    «Non sono ancora riuscita a trovarla» ammise imbronciata la Umbridge, e Harry provò un impeto di orgoglio per l’abilità di Hermione. «Comunque non importa se non vuole parlare. Da questo punto in poi, posso andare avanti io.
    «Come ricorderà, Ministro, in ottobre le avevo spedito un rapporto per riferirle di un incontro fra Potter e alcuni suoi amici alla Testa di Porco a Hogsmeade…»
    «Che prove ha di questo incontro?» la interruppe la professoressa McGranitt.
    «Ho la testimonianza di Willy Widdershins, Minerva, che in quel momento si trovava per caso al bar. Era bendato da capo a piedi, è vero, ma sentiva perfettamente» rispose compiaciuta la Umbridge. «Ha ascoltato ogni parola pronunciata da Potter e si è precipitato a scuola per riferirmele…»
    «Ecco perché non è stato punito per la faccenda dei gabinetti rigurgitanti!» esclamò la professoressa McGranitt inarcando le sopracciglia. «È davvero interessante scoprire il funzionamento del nostro sistema giudiziario!»
    «Un lampante caso di corruzione!» ruggì il ritratto del corpulento mago dal naso rosso dietro la scrivania di Silente. «Ai miei tempi il Ministero non veniva a patti con criminali da quattro soldi, mai e poi mai!»
    «Grazie, Fortebraccio, basta così» disse Silente a voce bassa.
    «Scopo della riunione» proseguì la professoressa Umbridge, «era persuadere i convenuti a aderire a un’associazione illegale, al fine di apprendere incantesimi e maledizioni che il Ministero ha ritenuto inadatti a studenti così giovani…»
    «Penso che a questo proposito scoprirà di essersi sbagliata, Dolores» disse pacato Silente, scrutandola al di sopra degli occhialetti a mezzaluna appollaiati a metà del naso storto.
    Harry lo fissò. Non riusciva a capire come il Preside potesse sperare di tirarlo fuori dai guai; se Willy Widdershins aveva davvero sentito tutto quello che era stato detto alla Testa di Porco, per lui non c’era scampo.
    «Oho!» esclamò Caramell, oscillando di nuovo sulla punta dei piedi. «Sì, sentiamo la tua ultima trovata per salvare il collo a Potter! Avanti, Silente, va’ avanti… Willy Widdershins ha mentito, no? O forse quello alla Testa di Porco era il gemello di Potter? O magari è la solita spiegazione semplice semplice che coinvolge un viaggio nel tempo, un morto che torna in vita e un paio di Dissennatori invisibili?»
    Percy Weasley scoppiò a ridere.
    «Questa è buona, Ministro, davvero buona!»
    Harry soffocò l’impulso di prenderlo a calci. Poi, stupefatto, vide Silente sorridere affabile.
    «Non intendo negare — e nemmeno, ne sono sicuro, lo negherà Harry — che quel giorno si trovava alla Testa di Porco allo scopo di reclutare studenti per formare un gruppo di Difesa contro le Arti Oscure. Mi limito a farti notare che Dolores sbaglia affermando che un gruppo del genere fosse all’epoca illegale. Se ben ricordi, il Decreto Ministeriale che bandiva tutte le associazioni di studenti è entrato in vigore solo due giorni dopo quell’incontro, perciò al momento Harry non stava infrangendo un bel niente».
    Percy aveva tutta l’aria di avere appena ricevuto un ceffone in piena faccia. Caramell si bloccò a bocca aperta a metà di un balzello.
    Fu la Umbridge a riprendersi per prima.
    «È vero, Preside» disse con un sorriso dolciastro, «ma ormai sono passati quasi sei mesi dall’entrata in vigore del Decreto Didattico Numero Ventiquattro. Se la prima riunione non era illegale, tutte le successive lo sono state senz’altro».
    «In effetti» disse Silente, fissandola con cortese interesse al di sopra delle dita congiunte, «lo sarebbero state, se fossero proseguite dopo l’entrata in vigore del Decreto. Ha qualche prova che così sia stato?»
    Mentre Silente parlava, Harry sentì un fruscio alle proprie spalle ed ebbe l’impressione che Kingsley bisbigliasse qualcosa. E avrebbe anche giurato di sentirsi sfiorare da un tocco delicato, come uno spiffero o un frullo d’ali, ma quando abbassò lo sguardo non vide nulla.
    «Prova?» ripeté la Umbridge, col solito disgustoso sorriso da rospo. «Non ha sentito, Silente? Perché crede che la signorina Edgecombe sia qui?»
    «Può aggiornarci sulle riunioni tenute negli ultimi sei mesi?» chiese Silente, inarcando le sopracciglia. «Avevo l’impressione che avesse parlato semplicemente di una riunione in corso questa sera».
    «Signorina Edgecombe, mia cara» si affrettò a dire la Umbridge, «ci racconti da quanto tempo vanno avanti questi incontri. Le basterà annuire o scuotere la testa… sono sicura che i suoi brufoli non ne risentiranno. Allora… si sono svolti regolarmente negli ultimi sei mesi?»
    Harry provò un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco. Era finita, erano andati a sbattere contro una prova che nemmeno Silente sarebbe stato in grado di confutare.
    «Basta che lei annuisca o scuota la testa, cara» stava tubando la Umbridge. «Da brava, coraggio, vedrà che non succederà niente».
    Tutti nella stanza fissavano Marietta, anche se soltanto i suoi occhi erano visibili fra il colletto rialzato e la frangia di capelli ricci. Forse era un effetto della luce danzante del fuoco nel camino, ma i suoi occhi apparivano stranamente vitrei. E poi — lasciando Harry a bocca aperta — Marietta fece un cenno di diniego.
    Lo sguardo della Umbridge guizzò da Caramell alla ragazza.
    «Temo che lei non abbia capito la domanda, vero, cara? Le ho chiesto se negli ultimi sei mesi ha partecipato a queste riunioni. C’è andata, non è vero?»
    Di nuovo Marietta scosse il capo.
    «Che cosa vuole dire scuotendo il capo, cara?» insisté indispettita la Umbridge.
    «A me sembra chiaro» intervenne brusca la professoressa McGranitt. «Vuol dire che negli ultimi sei mesi non ci sono state riunioni segrete. Giusto, signorina Edgecombe?»
    Marietta annuì.
    «Ma stanotte c’era!» sbottò furiosa la Umbridge. «Me l’ha detto lei, signorina Edgecombe! C’era una riunione nella Stanza delle Necessità! E il capo era Potter, giusto? È stato Potter a organizzarla! Potter… Perché scuote il capo, ragazza?»
    «Di solito» la informò gelida la McGranitt, «se una persona scuote il capo vuole dire “no”. Perciò, a meno che la signorina Edgecombe stia usando un linguaggio dei segni ignoto agli umani…»
    La professoressa Umbridge agguantò Marietta per le spalle, la costrinse a voltarsi e prese a scrollarla con violenza. In un secondo, Silente era in piedi con la bacchetta alzata; Kingsley si fece avanti e la Umbridge si allontanò di scatto da Marietta, agitando le mani come se si fosse scottata.
    «Non le permetto di maltrattare i miei studenti, Dolores» disse Silente, e per la prima volta parve in collera.
    «Farà meglio a calmarsi, Madama Umbridge» la invitò Kingsley con la sua lenta voce profonda. «Non vorrà mettersi nei guai».
    Marietta era rimasta immobile esattamente dove la Umbridge l’aveva lasciata. Non sembrava turbata da quell’aggressione improvvisa, né sollevata per la sua fine: aveva lo sguardo fisso davanti a sé e continuava a tenere il colletto sollevato fino agli occhi stranamente vacui.
    Un sospetto improvviso, connesso al bisbiglio di Kingsley e alla sensazione che qualcosa gli fosse passato accanto, si affacciò nella mente di Harry.
    «Dolores» disse Caramell, con l’aria di chi vuole chiarire la faccenda una volta per tutte, «la riunione di stasera… quella che sappiamo per certo esserci stata…»
    «Sì». La Umbridge riacquistò faticosamente il controllo. «Sì… Non appena la signorina Edgecombe mi ha avvertito, sono salita subito al settimo piano insieme ad alcuni studenti fidati, in modo da sorprendere i partecipanti in flagrante. Però qualcuno deve averli avvertiti, perché al nostro arrivo stavano fuggendo da tutte le parti. Comunque non importa. Ho i loro nomi. La signorina Parkinson è andata nella Stanza delle Necessità per vedere se vi avessero lasciato qualcosa: ci servivano prove, e le abbiamo trovate».
    Inorridito, Harry la vide estrarre dalla tasca la lista di nomi che avevano affisso alla parete della Stanza delle Necessità e consegnarla a Caramell.
    «Mi è bastato vedere il nome di Potter sulla lista per capire di che cosa si trattava» concluse la Umbridge a voce bassa.
    «Eccellente». Caramell sorrise. «Davvero eccellente, Dolores. E… per tutti i tuoni…»
    Lanciò un’occhiata a Silente, fermo accanto a Marietta, con la bacchetta ancora in mano.
    «Visto che nome hanno scelto?» sussurrò Caramell. «Esercito di Silente».
    Silente tese una mano e prese a sua volta la pergamena. Fissò le parole tracciate da Hermione pochi mesi prima, e per un momento parve ammutolito. Ma quasi subito rialzò lo sguardo sorridendo.
    «E così il gioco è finito» disse. «Gradisci una confessione scritta, Caramell, o ti basta una dichiarazione di fronte a questi testimoni?»
    Harry vide la McGranitt e Kingsley scambiarsi un’occhiata ansiosa, impaurita. Non capiva che cosa stava succedendo e a quel che pareva non lo capiva nemmeno Caramell.
    «Confessione?» ripeté lentamente il Ministro. «Ma cosa… non capisco…»
    «Esercito di Silente, Caramell» ripeté Silente senza smettere di sorridere, sventolandogli la lista sotto il naso. «Non Esercito di Potter. Esercito di Silente».
    «Ma… ma…»
    Un lampo d’improvvisa comprensione brillò sul volto di Caramell. Arretrò di scatto, inorridito, lanciò un grido e balzò di nuovo lontano dal fuoco.
    «Tu?» bisbigliò, rimettendosi a calpestare il mantello bruciacchiato.
    «Proprio così» annuì amabile Silente.
    «L’hai organizzata tu?»
    «Proprio così» ripeté Silente.
    «Hai reclutato questi studenti per il tuo… esercito?»
    «Quella di stasera era la prima riunione» disse Silente. «Per scoprire fino a che punto erano interessati a unirsi a me. Ma, a quanto sembra, ho commesso un errore invitando la signorina Edgecombe».
    Marietta annuì. Caramell la fissò. Tornò a fissare Silente. E poi gonfiò il petto.
    «Tu hai complottato contro di me!» esclamò.
    «Proprio» ripeté ancora una volta Silente.
    «NO!» urlò Harry.
    Kingsley gli lanciò uno sguardo di avvertimento e la McGranitt lo fulminò con gli occhi, ma Harry aveva capito che cosa aveva intenzione di fare Silente e non poteva permetterglielo.
    «No… professore…!»
    «Sta’ calmo, Harry, o temo che dovrai uscire dal mio ufficio» lo zittì Silente.
    «Sì, Potter, chiudi il becco!» latrò Caramell, che continuava a fissare Silente con una specie di inorridita esultanza. «Bene, bene, bene… ero venuto qui pensando di espellere Potter, e invece…»
    «Invece arresti me» concluse Silente sorridendo. «È come perdere uno zellino e trovare un galeone, vero?»
    «Weasley!» gridò Caramell, chiaramente fuori di sé dalla gioia. «Hai scritto tutto, ogni parola… la confessione… hai preso nota di tutto?»
    «Sì, signore, credo di sì, signore!» annuì zelante Percy, che aveva preso appunti con tanta frenesia da macchiarsi il naso d’inchiostro.
    «Quando parlava dell’esercito che voleva organizzare contro il Ministero… il complotto per rovesciarmi…?»
    «Sì signore, ce l’ho, sì!» rispose Percy, scorrendo festoso gli appunti.
    «Benissimo» disse raggiante Caramell. «Fanne una copia, Weasley, e mandala al La Gazzetta del Profeta. Se usiamo un gufo espresso dovremmo farcela per l’edizione del mattino!» Percy sfrecciò fuori dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle, e Caramell tornò a voltarsi verso Silente. «Quanto a te, adesso sarai scortato al Ministero per la formalizzazione dell’accusa, e poi ad Azkaban in attesa del giudizio!»
    «Ah, sì» disse gentilmente Silente. «Sì, penso che ci sia un piccolo intralcio…,»
    «Intralcio?» La voce di Caramell vibrava ancora di gioia. «Non vedo intralci, Silente!»
    «Invece» insisté Silente in tono di scusa, «io temo proprio di vederne uno».
    «Davvero?»
    «Mi pare che tu nutra l’illusione che vi seguirò — com’è che si dice? — senza opporre resistenza. Ma temo che non sia questo il caso, Cornelius. Non ho alcuna intenzione di finire ad Azkaban. Potrei evadere, naturalmente, ma sarebbe un tale spreco di tempo e, in tutta sincerità, ci sono diverse altre occupazioni alle quali preferirei dedicarmi».
    La faccia della Umbridge stava diventando sempre più rossa, come se qualcuno le stesse riempiendo la testa di acqua bollente. Caramell fissava Silente con l’aria sciocca di chi ha appena ricevuto un colpo inatteso e ancora non riesce a capire cos’è successo. Emise un suono strozzato e si voltò a guardare Kingsley e l’uomo con i corti capelli grigi, il solo nella stanza a essere rimasto in silenzio fino ad allora. Quest’ultimo gli rivolse un cenno rassicurante e fece un passo avanti. Harry vide la sua mano muoversi quasi distrattamente verso una tasca.
    «Non sia ridicolo, Dawlish» gli disse Silente in tono gentile. «Sono sicuro che lei è un ottimo Auror — a quanto ricordo, ha preso “Eccezionale” in tutti i suoi M.A.G.O. — ma se tentasse di… ehm… usare la forza, sarei costretto a farle del male».
    Il mago chiamato Dawlish sbatté le palpebre con aria decisamente stupida, e guardò di nuovo Caramell come aspettando l’imbeccata.
    «Insomma» sbuffò Caramell, tornando a gonfiarsi, «vorresti affrontare Dawlish, Shacklebolt, Dolores e me tutto da solo, Silente?»
    «Per la barba di Merlino, no» rispose sorridendo Silente. «A meno che non siate così sciocchi da costringermi a farlo».
    «Non sarà solo!» sbottò la professoressa McGranitt, infilando una mano sotto il mantello.
    «Sì, invece, Minerva!» la bloccò Silente. «Hogwarts ha bisogno di lei!»
    «Basta con questa buffonata!» latrò Caramell, estraendo la propria bacchetta. «Dawlish! Shacklebolt! Prendetelo!»
    Un lampo argenteo attraversò la stanza, risuonò un botto simile a uno sparo e il pavimento tremò; una mano afferrò Harry per la collottola e lo costrinse a gettarsi a terra, mentre esplodeva una seconda saetta argentea; parecchi ritratti urlarono, Fanny stridette e l’aria si riempì di polvere. Tossendo, Harry vide una figura scura accasciarsi a terra davanti a lui, sentì uno strillo e un tonfo, qualcuno gridò «No!», un vetro andò in frantumi, e poi un trepestio frenetico, un grugnito… infine silenzio.
    Harry voltò a fatica la testa per vedere chi stava tentando di strangolarlo, e riconobbe la professoressa McGranitt: aveva trascinato lui e Marietta lontano dal pericolo. Il polverone fluttuava ancora nell’aria tutt’attorno. Mentre cercava di riprendere fiato, Harry vide avvicinarsi una figura molto alta.
    «Tutto bene?» chiese Silente.
    «Sì!» rispose la professoressa McGranitt, alzandosi e sollevando quasi di peso Harry e Marietta.
    La polvere finì di depositarsi, mostrando le disastrose condizioni dell’ufficio: la scrivania era stata rovesciata, e così pure i tavoli dalle lunghe gambe sottili; gli strumenti d’argento erano in pezzi; Caramell, la Umbridge, Kingsley e Dawlish erano a terra, privi di sensi. Fanny la Fenice si librava in ampi cerchi sopra di loro, cantando sommessamente.
    «Purtroppo ho dovuto colpire anche Kingsley, o sarebbe parso troppo sospetto» sussurrò Silente. «Ha agito con grande prontezza, modificando la memoria della signorina Edgecombe mentre gli altri erano distratti… lo ringrazi da parte mia, Minerva.
    «Allora… si sveglieranno prestissimo, e sarà meglio che non sappiano che abbiamo avuto il tempo di comunicare… dovrete comportarvi come se fosse passato appena un istante, come se fossero semplicemente caduti, non ricorderanno…»
    «Dove andrà, Silente?» bisbigliò la professoressa McGranitt. «In Grimmauld Place?»
    «Oh, no» rispose Silente con un sorriso cupo, «non ho intenzione di nascondermi. Vi prometto che presto Caramell si augurerà di non avermi mai allontanato da Hogwarts».
    «Professore…» mormorò Harry.
    Non sapeva da che parte cominciare: da quanto gli dispiaceva di aver organizzato l’ES e provocato tanti guai, o da come si sentiva in colpa perché lui era costretto ad andarsene? Ma Silente lo interruppe senza lasciargli il tempo di aggiungere altro.
    «Ascolta, Harry» disse in fretta. «Devi studiare Occlumanzia col massimo impegno, hai capito? Fa’ tutto quello che ti dice il professor Piton ed esercitati tutte le sere prima di dormire, in modo da chiudere la mente ai brutti sogni… capirai fin troppo presto il perché… ma devi promettermi…»
    Il mago di nome Dawlish si stava riprendendo. Silente afferrò Harry per un polso.
    «Ricorda… chiudi la mente…»
    Non appena le dita di Silente gli presero il polso, un dolore lancinante attraversò la cicatrice sulla fronte di Harry, e di nuovo il ragazzo provò un desiderio terribile di colpire Silente con uno scatto serpentino, di morderlo, di fargli del male…
    «…capirai…» sussurrò Silente.
    Fanny fece il giro dell’ufficio e si librò bassa sopra di lui. Silente lasciò andare Harry e levò una mano per afferrare la lunga coda dorata della fenice. Un attimo dopo erano entrambi scomparsi in un lampo di fuoco.
    «Dov’è?» strepitò Caramell, sollevandosi a fatica. «Dov’è?»
    «Non lo so!» gridò Kingsley, balzando in piedi.
    «Non può essersi Smaterializzato!» gracidò la Umbridge. «È impossibile dentro la scuola…»
    «Le scale!» esclamò Dawlish. Si slanciò verso la porta, la spalancò d’impeto e sparì, seguito da Kingsley e dalla Umbridge. Caramell esitò, poi si alzò lentamente in piedi, spolverandosi alla meglio la veste. Seguì un lungo silenzio impacciato.
    «Be’, Minerva» disse alla fine in tono maligno, raddrizzandosi una manica strappata, «temo che questa sia la fine del suo amico Silente».
    «Lo crede davvero?» replicò sprezzante la professoressa McGranitt.
    Caramell parve non sentirla. Stava perlustrando con lo sguardo l’ufficio sottosopra. Alcuni ritratti gli sibilarono contro, e un paio gli rivolsero addirittura gestacci insolenti.
    «Farebbe meglio a mettere a letto questi due» disse Caramell, riportando lo sguardo sulla professoressa McGranitt e accennando a Harry e Marietta.
    Senza una parola, la professoressa McGranitt scortò Harry e Marietta fuori dalla stanza. Mentre la porta si chiudeva alle loro spalle, Harry sentì la voce di Phineas Nigellus.
    «Sa, Ministro, sono in disaccordo con Silente sotto molti punti di vista… però non si può negare che abbia stile».
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