Testo tradotto (italiano) link
”King's Cross" ci ha mostrato che Silente era più di una leggenda magica - era umano.
È importante notare, innanzitutto, che Albus Silente è stato amato da noi e da voi, molto tempo prima di “Harry Potter e i Doni della Morte”.
Era amato nella Pietra Filosofale, quando consolò Harry per la perdita dei suoi genitori; era amato nell'Ordine della Fenice, dove affrontò Lord Voldemort; era amato nel Principe Mezzosangue, in cui egli si sacrificò per il bene maggiore. Si può dire che Albus Silente è tanto amato quanto Harry Potter stesso, forse ancora di più.
Eppure, fino a i “Doni della Morte” non ci siamo resi conto di una cosa: abbiamo mai conosciuto Silente? O lo avevamo appena incontrato? Certo, noi conoscevamo Silente e Harry conosceva Silente: come il gentile, saggio e barbuto preside, come una delle figure più famose del mondo magico, come mago di incredibile potenza e prestigio. Ma lo conosceva? Lo conoscevamo?
Per conoscere veramente qualcuno, devi andare oltre la mistica di quello che è e scoprire chi è veramente: il passato che li ha modellati, le esperienze e le decisioni che hanno fatto sì che diventasse com’è. E questo è esattamente quello che abbiamo nei Doni della Morte, soprattutto nel capitolo 'King's Cross'.
King’s Cross
E 'uno dei capitoli finali de “i Doni della Morte”, un libro definito non solo come la fine della serie Harry Potter - e, in effetti, alla fine di Lord Voldemort - ma dal fatto che Harry scopre che Albus Silente non era l'uomo che credeva fosse.
Perché, con la morte di Silente, sono venute fuori le rivelazioni di un passato torbido, storie di Arti Oscuri e una misteriosa sorella. Come rivelato dal fratello Aberforth, Silente era un uomo diverso. Era giovane, brillante e frustrato; i suoi talenti sono stati trattenuti dalla responsabilità di prendersi cura di sua sorella Ariana, che è stata lasciata traumatizzata dopo un attacco da parte di babbani. Aberforth dipinge amaramente Silente come pomposo e arrogante, il quale credeva che stesse sprecando i suoi talenti. Da qui la sua ammirazione per il suo ‘pari’ Gellert Grindelwald, un mago oscuro con piani per un nuovo ordine di maghi - un mondo in cui i Babbani venivano messi “al loro posto”.
La loro amicizia ha provocato in parte la morte di Ariana, uccisa durante un duello a tre vie tra Albus, Aberforth e Grindelwald.
Queste rivelazioni turbarono Harry; avevano rovinato l’immagine di un uomo che aveva molto ammirato. Ma poi è arrivato “King's Cross". Senza dubbio sapete le circostanze: Harry, dopo aver scoperto che egli stesso era un Horcrux, si è sacrificato a Lord Voldemort. Nella "morte", si è risvegliato in un luogo strano ma familiare (stazione King's Cross) solo per essere accolto da un amico strano e familiare. Non è chiaro, ovviamente, se Silente sia effettivamente reale, se questa stazione di King's Cross sia una specie di purgatorio tra la vita e la morte, o se sia solo una sorta di sogno elaborato. Ma, come dice Silente,
« ”Certamente sta accadendo dentro la tua testa, Harry, ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero? ” »
Reale o no, "King's Cross" permette a Harry di affrontare Silente - o almeno, permette a Harry di venire a contatto con i demoni di Silente. Imbarazzato, e con le lacrime agli occhi, Silente dice a Harry di come fosse stato un giovane egoista, come lui - "intrappolato e sprecato" - si era lasciato sedurre dalla brillantezza di Grindelwald e dal potere dei Doni della Morte.
« «Padrone della Morte, Harry, padrone della Morte! Sono stato migliore
di Voldemort, dopotutto?" »
Nonostante le proteste di Harry, continua ancora a dire che il potere è la sua più grande debolezza, la sua più grande tentazione e che non dovrebbe mai essergli affidato. Egli rivela anche che ha rifiutato più volte il posto del Ministro della Magia, per paura che il potere assoluto lo avrebbe corrotto assolutamente. È una versione di Silente che Harry non ha mai visto prima - vulnerabile, difettoso, umano.
E questo è quello che rende così importante 'King's Cross'. È il capitolo che umanizza Silente, che lo rende meno simile a “un Dio” , che ci permette di conoscerlo veamente per la prima volta. E nonostante i difetti, malgrado Silente non fosse il mago perfetto che Harry credeva di essere, mai prima Silente era sembrato più eroico. Gli uomini e le donne che non sono nati grandi, imparano la grandezza nel tempo, dall'esperienza, dagli errori. Silente guardava le sue azioni, i suoi difetti, e aveva la saggezza di affrontarli e superarli; ha combattuto la più grande nemesi che c'era, lui stesso.
E alla fine questo è ciò che lo ha reso così notevole: perché per diventare un grande mago, Silente doveva sapere che cosa significava essere un cattivo. Chi meglio poteva insegnare la prossima generazione di maghi? Chi meglio affrontare Lord Voldemort? Chi meglio mandare Harry verso la sua strada via dalla stazione di King's Cross, con un ultimo pezzo di saggezza:
« «Non provare pietà per i morti, Harry. Prova pietà per i vivi e soprattutto per coloro che vivono senza amore. »
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Testo originale (inglese) link
‘King's Cross’ showed us that Dumbledore was more than just a magical legend — he was human.
It's important to note, first of all, that Albus Dumbledore was loved — by us, and by you — long before Harry Potter and the Deathly Hallows.
He was loved in Philosopher's Stone, when he comforted Harry about the loss of his parents; he was loved in Order of the Phoenix, where he faced off against Lord Voldemort; he was loved in Half-Blood Prince, in which he sacrificed himself for the greater good. If anything, Albus Dumbledore is as much loved as Harry Potter himself — maybe even more so.
And yet, it wasn’t until Deathly Hallows that we realised: did we ever really know Dumbledore? Or had we merely met him? Sure, we knew Dumbledore as well as Harry knew Dumbledore: as a kind, wise, lovely bearded headmaster; as one of the wizarding world's most famous figures; as a wizard of incredible power and prestige. But know him?
To truly know someone, you have to go beyond the mystique of what they are, and find out who they were: the past that shaped them, the experiences and decisions that informed who they have become. And that is exactly what we got in Deathly Hallows — especially the chapter ‘King's Cross’.
King’s Cross
It’s one of the final chapters in Deathly Hallows, a book defined not only by the end of the Harry Potter series — and indeed, the end of Lord Voldemort — but by Harry discovering that Albus Dumbledore was not the man that he thought he was.
For with Dumbledore's death came revelations of a murky past; stories of Dark Arts and a mysterious sister. As revealed by his brother Aberforth, Dumbledore used to be a different man. He was young, brilliant and frustrated; his talents were held back by the responsibility of caring for his sister Ariana, who was left traumatised after a Muggle attack. Aberforth bitterly paints Dumbledore as pompous and arrogant, as thinking he was above the task, that it was a waste of his talents. Hence his seduction by 'equal' Gellert Grindelwald, a Dark wizard with plans for a new wizarding order — a world where Muggles were taught their place. Their friendship partly resulted in the death of Ariana, killed during a three-way duel between Albus, Aberforth and Grindelwald.
These revelations troubled Harry; they tainted his perception of a man he long admired. But then ‘King's Cross’ happened. You no doubt know the circumstances: Harry, having found out that he himself was a Horcrux, has sacrificed himself to Lord Voldemort. In 'death', he has woken in a strange but familiar place (King's Cross station) only to be greeted by a strange and familiar friend. It's unclear, of course, whether Dumbledore is actually real, whether this King's Cross station is some kind of purgatory between life and death, or whether it's just some sort of elaborate dream. But as Dumbledore says, ‘Of course it is happening inside your head, Harry, but why on earth should that mean that it is not real?'
Real or not, ‘King's Cross’ allows Harry to confront Dumbledore — or, at the very least, allows Harry to come to terms with Dumbledore's demons. Ashamed, and with tears in his eyes, Dumbledore tells Harry how he had been a selfish young fool; how he — 'trapped and wasted' — had let himself be seduced by the brilliance of Grindelwald and the power of the Deathly Hallows.
'Master of death, Harry, master of Death! Was I better, ultimately, than Voldemort?' Despite Harry's protestations, he goes even further to say that power is his greatest weakness, his greatest temptation, and that he should never be trusted with it; he even reveals that he turned down the post of Minister for Magic several times, for fear that absolute power would corrupt him absolutely. It's a version of Dumbledore that Harry has never seen before — vulnerable, flawed, human.
And that's what's so important about ‘King's Cross’. It's the chapter that humanises Dumbledore, that grounds him from the heights of gods, that lets us truly know him for the first time. And despite the faults, despite Dumbledore perhaps not being the perfect wizard Harry thought he was, never before has Dumbledore seemed more heroic. For men and women are not born great. They learn greatness over time — from experience, from mistakes. Dumbledore looked at his deeds, at his flaws, and he had the wisdom to confront and overcome them; he fought the greatest nemesis there was — himself.
And in the end, that's what made him so remarkable: for in order to become a great wizard, Dumbledore had to know what it meant to be a bad one. Who better to teach the next generation of wizards? Who better to face Lord Voldemort? Who better to send Harry on his way from King's Cross station, with one last piece of wisdom: ‘Do not pity the dead, Harry. Pity the living, and, above all, those who live without love.'