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Harry Potter e i Doni della Morte (6958 citazioni)
   1) L’ascesa del Signore Oscuro (113 citazioni)
   2) In memoriam (70 citazioni)
   3) La partenza dei Dursley (126 citazioni)
   4) I sette Potter (179 citazioni)
   5) Il Guerriero caduto (255 citazioni)
   6) Il demone in pigiama (231 citazioni)
   7) Il testamento i Albus Silente (272 citazioni)
   8) Il matrimonio (213 citazioni)
   9) Un nascondiglio (151 citazioni)
   10) Il racconto di Kreacher (197 citazioni)
   11) La mazzetta (211 citazioni)
   12) La Magia è Potere (220 citazioni)
   13) La Commissione per il Censimento dei nati babbani (184 citazioni)
   14) Il ladro (141 citazioni)
   15) La vendetta del folletto (285 citazioni)
   16) Godric’s Hollow (138 citazioni)
   17) Il Segreto di Bathilda (212 citazioni)
   18) Vita e Menzogne di Albus Silente (82 citazioni)
   19) La cerva d’argento (227 citazioni)
   20) Xenophilius Lovegood (152 citazioni)
   21) La storia dei tre fratelli (182 citazioni)
   22) I Doni della Morte (186 citazioni)
   23) Villa Malfoy (351 citazioni)
   24) Il fabbricante di bacchette (257 citazioni)
   25) Villa Conchiglia (160 citazioni)
   26) La Gringott (188 citazioni)
   27) Il nascondiglio finale (73 citazioni)
   28) Lo specchio mancante (146 citazioni)
   29) Il diadema perduto (169 citazioni)
   30) Il congedo di Severus Piton (197 citazioni)
   31) La battaglia di Hogwarts (288 citazioni)
   32) La bacchetta di Sambuco (182 citazioni)
   33) La storia del Principe (345 citazioni)
   34) Ancora la foresta (119 citazioni)
   35) King’s Cross (170 citazioni)
   36) La falla nel piano (286 citazioni)
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Villa Conchiglia


   La villa di Bill e Fleur si ergeva solitaria su una collina che guardava il mare. Aveva i muri incrostati di conchiglie e imbiancati a calce. Era un luogo bello e solitario. Quando Harry entrava in casa o nel minuscolo giardino, udiva la risacca del mare, come il respiro di un'enorme creatura addormentata. Per la gran parte dei giorni seguenti continuò a trovare scuse per sfuggire alla villetta affollata, avido della vista dalla scogliera sul cielo aperto e sull'immenso mare deserto, e della sensazione del vento freddo e salato sul viso.
   L'enormità della sua decisione di non competere con Voldemort per il possesso della Bacchetta ancora lo spaventava. Non ricordava di aver mai scelto, in vita sua, di non agire. Era pieno di dubbi, dubbi che Ron non poteva fare a meno di tradurre in parole tutte le volte che erano insieme.
   «E se invece Silente voleva che noi capissimo il simbolo in tempo per prendere la Bacchetta?» «E se scoprire il significato del simbolo ti avesse reso 'degno' di prendere i Doni?» «Harry, se quella è davvero la Bacchetta di Sambuco, come cavolo facciamo a battere Tu-Sai-Chi?»
   Harry non aveva risposte: c'erano momenti in cui si chiedeva se era stata pura follia non cercare di impedire a Voldemort di aprire la tomba. Non riusciva nemmeno a spiegare in maniera soddisfacente perché l'avesse deciso: ogni volta che cercava di ricostruire gli argomenti che l'avevano condotto a quella scelta, gli sembravano sempre più deboli.
   Stranamente il sostegno di Hermione lo confondeva tanto quanto i dubbi di Ron. Costretta ad accettare che la Bacchetta di Sambuco esisteva davvero, ripeteva che era un oggetto malvagio e che il modo in cui Voldemort se n'era impossessato era disgustoso, da non prendere nemmeno in considerazione.
   «Tu non avresti mai potuto farlo, Harry» diceva ogni volta. «Tu non avresti potuto violare la tomba di Silente».
   Ma l'idea del cadavere di Silente spaventava Harry molto meno della possibilità di aver frainteso le sue intenzioni da vivo. Brancolava ancora nel buio; aveva scelto la sua strada ma continuava a guardarsi indietro, chiedendosi se aveva male interpretato i segnali, se non avrebbe dovuto
    prendere l'altra direzione. Ogni tanto la rabbia nei confronti di Silente gli rovinava di nuovo addosso, violenta come le onde che s'infrangevano sulla scogliera: perché non si era spiegato prima di morire?
   «Ma è morto davvero?» tentò Ron tre giorni dopo il loro arrivo alla villa. Harry stava fissando un punto oltre il muro che separava il giardino dalla scogliera, quando Ron e Hermione lo trovarono; avrebbe preferito restare solo, non aveva voglia di essere coinvolto nella loro discussione.
   «Sì, Ron. Per favore, non ricominciare!»
   «Considera i fatti, Hermione» insisté Ron. Harry, in mezzo a loro, continuava a guardare l'orizzonte. «La cerva d'argento. La spada. L'occhio che ha visto Harry nello specchio...»
   «Harry ha ammesso che forse se l'È immaginato! Vero, Harry?» «Può darsi» convenne lui senza guardarla.
   «Ma non credi che sia andata così, vero?» chiese Ron.
   «No» rispose Harry.
   «Ecco!» esclamò Ron in fretta, prima che Hermione potesse ribattere. «Se non era Silente, spiegami come mai Dobby sapeva che eravamo in quel sotterraneo!»
   «Non lo so... ma tu puoi spiegare come ha fatto Silente a mandarlo da noi se giace in una tomba a Hogwarts?»
   «Non so, forse era il suo fantasma!»
   «Silente non tornerebbe mai sotto forma di fantasma» intervenne Harry. C'erano poche cose di cui era sicuro a proposito del Preside, ma questo lo sapeva. «Lui voleva andare avanti».
   «Cosa vuol dire 'andare avanti'?» domandò Ron, ma prima che Harry potesse spiegarsi, una voce alle loro spalle chiamò: «Arrì?»
   Fleur era uscita dalla villa. I suoi lunghi capelli argentei svolazzavano nella brezza.
   «Arrì, Unscì-unscì vorrebbe parlarvi. è nella stonsa più piccola, disce che non vuole che li altri sontano».
   Il suo fastidio per essere stata usata dal folletto come messaggera era evidente; tornò dentro, corrucciata.
   Unci-unci li aspettava, come aveva detto Fleur, nella più piccola delle tre camere da letto, dove dormivano Hermione e Luna. Aveva tirato le tende rosse di cotone contro il cielo nuvoloso e splendente, e la stanza riluceva di un colore infuocato che contrastava con la luce chiara che dominava il resto della villa.
   «Ho preso la mia decisione, Harry Potter» annunciò il folletto. Era sedu to a gambe incrociate su una sedia bassa e si tamburellava sulle braccia con le dita affusolate. «Anche se i folletti della Gringott lo riterranno un vile tradimento, ho scelto di aiutarvi...»
   «Fantastico!» esclamò Harry, con un gran senso di sollievo. «Unci-unci, grazie, siamo davvero...»
   «... dietro» lo interruppe il folletto con fermezza «pagamento». Sorpreso, Harry esitò.
   «Quanto vuoi? Ho dell'oro».
   «Niente oro» rispose Unci-unci. «L'oro ce l'ho già».
   I suoi occhi neri brillavano; i suoi occhi erano privi di bianco. «Voglio la spada. La spada di Godric Grifondoro».
   L'umore di Harry precipitò.
   «Non puoi averla» disse. «Mi dispiace».
   «Allora» mormorò il folletto «abbiamo un problema».
   «Possiamo darti qualcos'altro» propose Ron, impaziente. «Scommetto che i Lestrange hanno un mucchio di roba, puoi scegliere quello che vuoi quando saremo entrati nella camera blindata».
   Aveva detto la cosa sbagliata. Unci-unci avvampò di rabbia.
   «Non sono un ladro, ragazzo! Non sto cercando di procurarmi tesori ai quali non ho diritto!»
   «La spada è nostra...»
   «Non è vero» ribatté il folletto.
   «Noi siamo Grifondoro ed era di Godric Grifondoro...»
   «E prima di essere di Godric Grifondoro, a chi apparteneva?» chiese il folletto, raddrizzando la schiena.
   «A nessuno» rispose Ron, «È stata fatta per lui, no?»
   «No!» gridò il folletto furioso, puntandogli addosso un lungo dito. «La solita arroganza dei maghi! Quella spada era di Ranci il Primo, e gli fu portata via da Godric Grifondoro! è un tesoro perduto, un capolavoro di arte folletta! Appartiene ai folletti! La spada è il prezzo dei miei servigi, prendere o lasciare!»
   Unci-unci li fissò torvo. Harry guardò gli amici, poi disse: «Dobbiamo discuterne tra noi, Unci-unci, se sei d'accordo. Puoi concederci qualche minuto?»
   Il folletto annuì, inacidito.
   Di sotto, nel soggiorno vuoto, Harry si avvicinò al camino, la fronte aggrottata, cercando di riflettere. Alle sue spalle Ron cominciò: «Sta scherzando. Non possiamo lasciargli quella spada».
    «È vero?» chiese Harry a Hermione. «La spada è stata rubata da Grifondoro?»
   «Non lo so» rispose lei desolata. «La storia magica spesso glissa su quello che i maghi hanno fatto alle altre razze, ma io non conosco nessun resoconto che dica che Grifondoro rubò la spada».
   «Sarà una di quelle storie di folletti» commentò Ron «sui maghi che cercano sempre di fregarli. Dobbiamo ritenerci fortunati perché non ci ha chiesto le nostre bacchette».
   «I folletti hanno buone ragioni per non stimare i maghi, Ron» osservò Hermione. «Sono stati trattati in maniera molto brutale nella storia».
   «Anche i folletti non sono proprio degli agnellini, però» ribatté Ron. «Ne hanno ammazzati tanti dei nostri. Anche loro hanno giocato sporco».
   «Ma discutere con Unci-unci su quale delle due razze sia più disonesta e violenta non lo renderà più incline ad aiutarci, no?»
   Ci fu una pausa, e tutti cercarono di pensare a come aggirare il problema. Harry guardò la tomba di Dobby al di là della finestra. Luna stava sistemando accanto alla lapide un mazzetto di lavanda in un vasetto di marmellata.
   «D'accordo» cominciò Ron, e Harry si voltò a guardarlo, «sentite un po': diciamo a Unci-unci che ci serve la spada finché non entriamo nella camera blindata e poi potrà averla. C'È una copia là dentro, no? Le scambiamo e diamo a lui quella falsa».
   «Ron, lui noterà la differenza meglio di noi!» obiettò Hermione. «È il solo ad aver capito che c'È stato uno scambio!»
   «Sì, ma noi possiamo darcela a gambe prima che lui se ne accorga...»
   Si fece piccolo sotto lo sguardo di Hermione.
   «Questo» commentò lei «È spregevole. Chiedere aiuto e poi fare il doppio gioco. E poi ti meravigli se ai folletti non piacciono i maghi?»
   Le orecchie di Ron erano diventate rosse.
   «D'accordo, d'accordo! è l'unica cosa che mi è venuta in mente! Sentiamo un po' la tua proposta, allora!»
   «Dobbiamo offrirgli qualcos'altro, qualcosa di altrettanto prezioso». «Geniale. Vado a prendere un'altra delle nostre antiche spade fatte dai folletti, così gliela puoi incartare».
   Il silenzio ridiscese tra loro. Harry era sicuro che il folletto avrebbe accettato solo la spada, anche se avessero avuto qualcosa di altrettanto prezioso da offrirgli. Ma la spada era la loro unica, indispensabile arma contro gli Horcrux.
    Chiuse gli occhi per qualche istante e ascoltò il rumore del mare. L'idea che Grifondoro potesse aver rubato la spada era sgradevole; si era sempre sentito fiero di essere un Grifondoro; Grifondoro era stato il difensore dei Mezzosangue, il mago che aveva combattuto i Serpeverde amanti dei Purosangue...
   «Forse mente» disse, riaprendo gli occhi. «Unci-unci. Forse Grifondoro non ha rubato quella spada. Come facciamo a sapere che la versione del folletto è quella giusta?»
   «Che differenza fa?» chiese Hermione.
   «Cambia quello che provo io» rispose Harry.
   Prese un profondo respiro.
   «Gli diremo che può avere la spada dopo che ci avrà aiutato a entrare nella camera blindata... ma faremo attenzione a evitare di dirgli di preciso quando potrà averla».
   Un gran sorriso si allargò sul volto di Ron. Hermione invece sembrava allarmata.
   «Harry, non possiamo...»
   «Gliela daremo» continuò Harry «dopo che l'avremo usata su tutti gli Horcrux. Mi assicurerò che alla fine torni da lui. Manterrò la parola».
   «Ma potrebbero volerci anni!» esclamò Hermione.
   Harry incrociò il suo sguardo con un misto di sfida e vergogna. Ricordò le parole incise all'ingresso di Nurmengard: 'Per il Bene Superiore'. Respinse quel pensiero. Che alternative avevano?
   «Non mi piace» disse Hermione.
   «Non piace molto nemmeno a me» ammise Harry.
   «Be', io penso che sia un'idea geniale» controbatté Ron, rialzandosi.
   «Andiamo a dirglielo».
   Di ritorno nella camera, Harry fece la sua offerta, attento a formularla in modo da non specificare un tempo preciso per la consegna della spada. Mentre lui parlava, Hermione fissava cupa il pavimento, con grande irritazione di Harry che temeva che potesse tradirli. Ma Unci-unci aveva occhi solo per lui.
   «Ho la tua parola, Harry Potter, che mi darai la spada di Grifondoro se vi aiuto?»
   «Sì» rispose Harry.
   «Allora è fatta» concluse il folletto, e gli tese la mano.
   Harry la prese e la strinse. Si chiese se quegli occhi neri riuscissero a riconoscere l'ansia nei suoi. Poi Unci-unci lo lasciò andare, batté le mani e
    disse: «Allora cominciamo!»
   Fu di nuovo come progettare di entrare al Ministero. Si misero al lavoro nella stanza da letto, che per far contento Unci-unci veniva tenuta nella penombra.
   «Sono stato nella camera blindata dei Lestrange solo una volta» raccontò loro il folletto, «quando mi fu detto di rinchiudervi la spada falsa. è una delle più antiche. Le famiglie magiche più vecchie depositano i loro tesori nel livello più profondo, dove le camere sono più grandi e meglio protette...»
   Rimasero chiusi per ore di fila nella stanza poco più grande di un armadio. Lentamente i giorni divennero settimane. C'era un problema dietro l'altro da superare, non ultimo il fatto che la loro scorta di Pozione Polisucco si era notevolmente ridotta.
   «Ce n'È solo per uno di noi» avvertì Hermione, inclinando la pozione densa come melma contro la luce della lampada.
   «Basterà» rispose Harry, che stava studiando la mappa dei corridoi sotterranei più profondi disegnata da Unci-unci.
   Gli altri abitanti di Villa Conchiglia non poterono fare a meno di notare che se Harry, Ron e Hermione si facevano vivi solo alle ore dei pasti ci doveva essere sotto qualcosa. Nessuno faceva domande, ma Harry a tavola sentiva spesso lo sguardo di Bill su di loro, pensieroso, preoccupato.
   Più tempo passavano insieme, più Harry si rendeva conto che il folletto non gli piaceva granché. Unci-unci si era rivelato inaspettatamente avido di sangue, rideva all'idea di provocare dolore in creature inferiori e l'eventualità di dover aggredire altri maghi per arrivare alla camera blindata dei Lestrange sembrava rallegrarlo. Harry capì che il suo disgusto era condiviso dagli amici, ma non ne parlarono: avevano bisogno di Unci-unci.
   Il folletto mangiava malvolentieri con tutti loro. Anche dopo che le sue gambe furono guarite, continuò a pretendere che gli portassero vassoi di cibo in camera, come all'ancora convalescente Olivander, finché Bill (in seguito a una scenata di Fleur) non andò di sopra a dirgli che così non si poteva continuare. Dopodiché Unci-unci si sedette alla tavola sovraffollata, ma si rifiutò di mangiare lo stesso cibo, insistendo per avere pezzi di carne cruda, radici e funghi.
   Harry si sentiva responsabile: dopotutto era stato lui a chiedere che il folletto restasse a Villa Conchiglia per poterlo interrogare; ed era colpa sua se l'intera famiglia Weasley era entrata in clandestinità, se Bill, Fred, George e il signor Weasley non potevano più lavorare.
    «Mi dispiace» disse a Fleur una tempestosa sera di aprile, aiutandola a preparare la cena. «Non era mia intenzione che ti toccasse tutto questo».
   Lei aveva appena messo al lavoro alcuni coltelli, che stavano affettando bistecche per Unci-unci e Bill, che dopo l'aggressione di Greyback aveva sviluppato una predilezione per la carne cruda. La sua espressione tesa si addolcì.
   «Arrì, hai salvato la vita della mia sorella, io non dimontico».
   Non era del tutto vero, ma Harry preferì non ricordarle che Gabrielle non era mai stata davvero in pericolo.
   «E comunque» riprese Fleur puntando la bacchetta verso una pentola di salsa sul fornello, che cominciò subito a sobbollire, «il signor OlivondÈr parte stasera, va da zia MuriÈl. Tutto sarà più somplisce. Il foletto» e s'incupì un po' nel nominarlo «può traslocàr di sotto, e tu, Ron e Dean potete prondere quella stonsa».
   «Non ci dà fastidio dormire in salotto» ribatté Harry, sapendo che Unciunci non avrebbe gradito di dover dormire sul divano; tenerlo di buonumore era fondamentale per i loro piani. «Non preoccuparti per noi». E quando lei tentò di protestare aggiunse: «E poi io, Ron e Hermione ce ne andremo presto. Non abbiamo bisogno di restare qui ancora a lungo».
   «Ma che disci?» chiese lei, guardandolo accigliata, la bacchetta puntata sul piatto di spezzatino sospeso in aria. «Ma scerto che dovete restàr, qui siete al sicuro!»
   Ricordava un po' la signora Weasley, e Harry fu sollevato che qualcuno aprisse la porta del giardino. Erano Luna e Dean, i capelli umidi di pioggia e le braccia cariche di legna.
   «... orecchie piccolissime» stava spiegando Luna, «tipo un ippopotamo, dice papà, solo che sono viola e pelose. E se vuoi chiamarli devi cantare a bocca chiusa; amano i valzer, niente di troppo veloce...»
   A disagio, Dean si strinse nelle spalle e andò dietro a Luna in sala da pranzo, dove Ron e Hermione stavano apparecchiando per la cena. Cogliendo al volo l'occasione di sfuggire alle domande di Fleur, Harry afferrò due caraffe di succo di zucca e li seguì.
   «... e se vieni a casa nostra ti faccio vedere il corno, papà mi ha scritto ma non l'ho ancora visto, perché i Mangiamorte mi hanno portato via dall'Espresso per Hogwarts e non sono tornata a casa a Natale» continuò Luna accendendo il fuoco insieme a Dean.
   «Luna, te l'abbiamo già detto» esclamò Hermione. «Quel corno è esploso. Era di Erumpent, non di Ricciocorno Schiattoso...»
    «No, era per certo di Ricciocorno» ribatté Luna serena, «me l'ha detto papà. Ormai si sarà già riformato, si autoriparano, sai».
   Hermione scosse il capo e continuò a disporre le forchette. Apparve Bill, che accompagnava il signor Olivander giù per le scale. Il fabbricante di bacchette sembrava ancora molto debole e si aggrappava al braccio di Bill, che con l'altra mano trasportava una grossa valigia.
   «Mi mancherà, signor Olivander» disse Luna avvicinandosi al vecchio.
   «E tu a me, mia cara» rispose Olivander dandole un buffetto sulla spalla. «Mi sei stata di ineffabile conforto in quel terribile luogo».
   «Allora, au revoir, signor OlivondÈr» lo salutò Fleur, baciandolo su tutte e due le guance. «Potrebbe essere così jontile da portare un pachetto a zia MuriÈl da parte mia? Non le ho mai restituito la tiara».
   «Sarà un onore» replicò Olivander con un piccolo inchino, «È il minimo che possa fare in cambio della vostra generosa ospitalità».
   Fleur prese una scatola di velluto consunto e la aprì per mostrarla a Olivander. La tiara scintillava alla luce della lampada bassa.
   «Pietre di luna e diamanti» osservò Unci-unci, che era entrato nella stanza senza che Harry se ne accorgesse. «Fatta dai folletti, direi».
   «E pagata dai maghi» ribatté Bill con calma. Il folletto gli scoccò uno sguardo insieme furtivo e minaccioso.
   Un forte vento batteva contro le finestre della villetta quando Bill e Olivander partirono nel buio. Gli altri si strinsero attorno alla tavola: gomito a gomito, quasi senza lo spazio sufficiente a muoversi, cominciarono a mangiare. Il fuoco scoppiettava nel caminetto accanto a loro. Fleur, osservò Harry, giocherellava col cibo e continuava a guardare la finestra; Bill fu di ritorno alla fine della prima portata, i lunghi capelli scompigliati dal vento.
   «Tutto a posto» annunciò. «Olivander è sistemato, mamma e papà vi salutano, Ginny vi manda tutto il suo affetto. Fred e George stanno facendo impazzire zia Muriel, gestiscono un Servizio Ordini via Gufo da una delle sue stanze sul retro. è stata contenta di riavere la sua tiara, però. Ha detto che credeva che l'avessimo rubata».
   «Ah, è charmante, tua zia» commentò Fleur seccata, agitando la bacchetta per radunare i piatti sporchi in una pila a mezz'aria. Li prese e uscì a grandi passi.
   «Anche papà ha fatto una tiara» intervenne Luna. «Be', è più una corona, veramente».
   Ron intercettò lo sguardo di Harry e sorrise; Harry sapeva che gli era venuto in mente il ridicolo copricapo che avevano visto a casa di Xenophi lius.
   «Sì, sta cercando di ricreare il diadema perduto di Corvonero. Pensa di avere ormai individuato gli elementi principali. Aggiungere le ali di Celestino è stato fondamentale...»
   Un colpo alla porta. Tutti si voltarono. Fleur arrivò di corsa dalla cucina, spaventata; Bill balzò in piedi, la bacchetta puntata contro la porta: Harry, Ron e Hermione lo imitarono. In silenzio, Unci-unci si nascose sotto il tavolo.
   «Chi È?» gridò Bill.
   «Sono io, Remus Lupin!» rispose una voce sopra l'ululato del vento. Harry sentì un brivido di paura: che cos'era successo? «Sono un lupo mannaro, marito di Ninfadora Tonks, e tu, il Custode Segreto di Villa Conchiglia, mi hai rivelato l'indirizzo e mi hai detto di venire in caso di emergenza!»
   «Lupin» borbottò Bill, corse alla porta e la spalancò.
   Lupin inciampò sulla soglia. Era pallido, avvolto in un mantello da viaggio, i capelli grigi spettinati. Raddrizzò le spalle, si guardò intorno per accertarsi di chi era presente, poi gridò: «È un maschio! L'abbiamo chiamato Ted, come il padre di Dora!»
   Hermione strillò.
   «Co...? Tonks... Tonks ha avuto il bambino?»
   «Sì, sì, è nato!» urlò Lupin. Tutto attorno alla tavola si levarono grida di gioia e sospiri di sollievo: Hermione e Fleur cinguettarono «Congratulazioni!» e Ron esclamò «Cavoli, un maschietto!» come se non avesse mai sentito niente di simile.
   «Sì... sì... un maschietto» ripeté Lupin, che pareva stordito dalla felicità. Fece il giro del tavolo e abbracciò Harry; la scenata nel seminterrato di Grimmauld Place sembrava non essere mai accaduta.
   «Vuoi essere il suo padrino?» chiese, liberando Harry dalla stretta. «I-io?» balbettò lui.
   «Tu, sì, certo... Dora è d'accordo, nessuno può essere meglio...» «Io... sì... accidenti...»
   Harry era sopraffatto, attonito, felice. Bill stava correndo a prendere il vino e Fleur cercava di convincere Lupin a restare per un brindisi.
   «Non posso fermarmi a lungo, devo tornare». Lupin fece un gran sorriso a tutti: sembrava ringiovanito di anni. «Grazie, grazie, Bill».
   Bill riempì i calici; si alzarono in piedi e li levarono in un brindisi.
   «A Teddy Remus Lupin» esclamò Lupin, «che sarà un grande mago!»
    «E a chi somilia, il picolino?» chiese Fleur.
   «Secondo me a Ninfadora, ma lei dice che assomiglia a me. Ha pochi capelli. Appena nato sembravano neri, ma giuro che sono diventati rossi un'ora dopo. Probabilmente al mio ritorno saranno già biondi. Andromeda dice che i capelli di Tonks hanno cominciato a cambiare colore il giorno che è nata». Vuotò il calice. «Oh, d'accordo, solo un altro» aggiunse raggiante quando Bill fece per riempirglielo.
   Il vento scuoteva la casa e il fuoco scoppiettava: ben presto Bill stappò un'altra bottiglia. La notizia portata da Lupin aveva fatto dimenticare a tutti lo stato d'assedio nel quale si trovavano: l'annuncio di una nuova vita li aveva resi euforici. Solo il folletto sembrava insensibile all'improvvisa atmosfera festosa e dopo un po' sgattaiolò su nella camera da letto che ormai occupava da solo. Harry era convinto di essere stato l'unico a notarlo finché non vide che anche lo sguardo di Bill seguiva il folletto su per le scale.
   «No... no... devo proprio andare» si risolse infine Lupin, rifiutando un altro calice di vino. Si alzò e si avvolse nel mantello da viaggio. «Arrivederci, arrivederci... cercherò di portarvi delle foto tra qualche giorno... saranno tutti felici di sapere che vi ho visti...»
   Si allacciò il mantello e salutò tutti, abbracciando le donne e stringendo la mano agli uomini; poi, senza smettere di sorridere, sparì nella notte tempestosa.
   «Padrino, Harry!» esclamò Bill entrando con lui in cucina, entrambi carichi di stoviglie sporche. «Un vero onore! Congratulazioni!»
   Mentre Harry posava i calici vuoti, Bill chiuse la porta, escludendo le voci ancora eccitate degli altri, che continuavano a festeggiare anche senza Lupin.
   «Volevo scambiare due parole in privato con te, Harry. Non è stato facile trovare l'occasione con la casa così affollata».
   Bill esitò.
   «Harry, tu stai tramando qualcosa con Unci-unci».
   Era un'affermazione, non una domanda, e Harry non si diede la pena di negare. Si limitò a guardare Bill, in attesa.
   «Conosco i folletti» proseguì questi. «Lavoro alla Gringott da quando ho lasciato Hogwarts. Per quanto sia possibile per maghi e folletti fare amicizia, ho amici folletti... o almeno, folletti che conosco bene e che stimo». Di nuovo, esitò. «Harry, cosa vuoi da Unci-unci e cosa gli hai promesso in cambio?»
   «Non posso dirtelo» rispose Harry. «Mi spiace, Bill».
    La porta della cucina si aprì e apparve Fleur, carica di altri calici vuoti. «Aspetta» le chiese Bill. «Solo un momento».
   Lei indietreggiò e richiuse la porta.
   «Allora ti dirò solo una cosa» riprese Bill. «Se hai stretto un accordo con
   Unci-unci, e soprattutto se l'accordo riguarda un tesoro, devi essere straordinariamente cauto. I concetti di proprietà, pagamento e ricompensa dei folletti non sono come quelli umani».
   Harry sentì una morsa di disagio, come se una piccola serpe si fosse ridestata dentro di lui.
   «Cosa vuoi dire?» chiese.
   «Stiamo parlando di una razza diversa» spiegò Bill. «I rapporti tra maghi e folletti sono tesi da secoli... ma tutte queste cose le sai, le hai studiate in Storia della Magia. C'È stata colpa da entrambi i lati, non oserei mai affermare che i maghi sono innocenti. Tuttavia alcuni folletti nutrono la convinzione, e quelli della Gringott sono forse i più inclini a crederci, che non ci si possa fidare dei maghi in materia di oro e tesori, che noi non abbiamo rispetto per le proprietà dei folletti».
   «Io rispetto...» cominciò Harry, ma Bill scosse il capo.
   «Tu non capisci, Harry, nessuno potrebbe capire se non ha vissuto tra loro. Per un folletto, il padrone vero e legittimo di un qualunque oggetto è l'artefice, non l'acquirente. Secondo loro, tutti gli oggetti fatti dai folletti sono di loro proprietà, a pieno diritto».
   «Ma se una cosa è stata comprata...»
   «... la considerano noleggiata da chi ha sborsato il denaro. è l'idea che oggetti di fattura folletta si tramandino di mago in mago che non riescono ad accettare. Hai visto la faccia di Unci-unci quando la tiara gli è passata sotto il naso. Disapprova. Credo che sia convinto, come i più animosi della sua specie, che andasse restituita ai folletti alla morte dell'acquirente originario. La nostra abitudine di tenerci gli oggetti fabbricati dai folletti, di trasmetterceli senza ulteriori pagamenti, per loro è poco meno di un furto».
   Harry avvertì un che di minaccioso; si chiese se Bill sospettava più di quanto lasciava credere.
   «Ti sto solo dicendo» continuò Bill, posando la mano sulla maniglia, «di stare molto attento alle promesse che fai a un folletto, Harry. Sarebbe meno pericoloso rubare alla Gringott che venir meno a una promessa fatta a un folletto».
   «Bene» rispose Harry, quando Bill aprì la porta, «d'accordo. Grazie. Lo terrò presente».
    Mentre seguiva Bill nel salotto, lo attraversò un pensiero assurdo, senza dubbio generato dal vino che aveva bevuto. Sembrava destinato a diventare per Teddy Lupin un padrino sconsiderato quanto Sirius Black lo era stato per lui.
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