Esplora le Citazioni

<< Tutti i libri


Harry Potter e La Camera dei Segreti (3199 citazioni)
   1) Il peggior compleanno (95 citazioni)
   2) L'avvertimento di Dobby (126 citazioni)
   3) La Tana (183 citazioni)
   4) Alla libreria "Il Ghirigoro" (202 citazioni)
   5) Il Platano Picchiatore (196 citazioni)
   6) Gilderoy Allock (152 citazioni)
   7) Mezzosangue e mezze voci (172 citazioni)
   8) La festa di complemorte (190 citazioni)
   9) La scritta sul muro (211 citazioni)
   10) Il bolide fellone (180 citazioni)
   11) Il Club dei Duellanti (191 citazioni)
   12) La Pozione Polisucco (211 citazioni)
   13) Il diario segretissimo (211 citazioni)
   14) Cornelius Caramell (147 citazioni)
   15) Aragog (160 citazioni)
   16) La Camera dei Segreti (236 citazioni)
   17) L'erede di Serpeverde (192 citazioni)
   18) Un premio per Dobby (144 citazioni)
Ricerca tra le citazioni:

Download

Capitolo PrecedenteCapitolo Successivo

L'avvertimento di Dobby


   Harry riuscì a non cacciare un urlo, ma ci andò molto vicino. La piccola creatura che si trovava sul letto aveva enormi orecchie da pipistrello e due occhi verdi sporgenti, grandi come palle da tennis. Harry capì all’istante che era stato lui, quella mattina, a guardarlo attraverso la siepe del giardino.
    Mentre si squadravano a vicenda, Harry udì la voce di Dudley nell’ingresso.
    «Prego, signori Mason, volete darmi i soprabiti?»
    La creatura scivolò giù dal letto e fece un inchino così profondo da toccare la moquette con la punta del suo naso lungo e sottile. Harry notò che indossava qualcosa di simile a una vecchia federa, con degli strappi da cui uscivano le braccia e le gambe.
    «Ehm… salve» disse nervoso.
    «Harry Potter» disse la creatura con voce così acuta da trapanare i muri. «È tanto tempo che Dobby voleva conoscerla, signore… E un tale onore…»
    «G-grazie» disse Harry sgattaiolando lungo la parete e sprofondando nella sedia davanti alla scrivania, vicino alla gabbia di Edvige. Avrebbe voluto chiedere: ‘Che cosa sei?’, ma pensando che suonasse poco gentile disse invece: «Chi sei?»
    «Dobby, signore. Solo Dobby, l’elfo domestico» disse la creatura.
    «Ma davvero?» disse Harry. «Ehm… non vorrei sembrarti sgarbato, ma… questo per me non è il momento migliore per avere un elfo domestico in camera…»
    Dal salotto risuonò la risata stridula e falsa di zia Petunia. L’elfo chinò il capo.
    «Non che non mi faccia piacere conoscerti» si affrettò a dire Harry, «ma… sei qui per qualche ragione precisa?»
    «Oh, sì, signore» rispose Dobby tutto compunto. «Dobby è venuto a dirle, signore… è difficile, signore… Dobby non sa da che parte cominciare».
    «Accomodati» disse cortesemente Harry indicandogli il letto.
    Con grande orrore di Harry, l’elfo scoppiò in un pianto molto rumoroso.
    «S-sedermi?» gemette la creatura. «Mai… mai e poi mai…»
    Harry credette di sentire le voci di sotto farsi più basse.
    «Mi dispiace» bisbigliò, «non volevo offenderti».
    «Offendere Dobby?» singulto l’elfo. «Mai un mago ha chiesto a Dobby di accomodarsi… da pari a pari…»
    Harry, cercando di zittirlo e confortarlo al tempo stesso, lo spinse sul letto, dove l’elfo si sedette in preda ai singhiozzi, simile a una bambola grossa e brutta. Finalmente riuscì a controllarsi e rimase seduto, fissando Harry con i grandi occhi carichi di lacrimosa adorazione.
    «Devi aver conosciuto dei maghi molto maleducati» disse Harry cercando di fargli tornare un po’ d’allegria.
    Dobby scosse la testa. Poi, all’improvviso, saltò su e prese furiosamente a capocciate la finestra gridando: «Cattivo Dobby! Cattivo Dobby!»
    «No… che cosa stai facendo?» sibilò Harry balzando in piedi e risospingendolo sul letto. Intanto Edvige si era svegliata con un grido particolarmente acuto e aveva iniziato a sbattere furiosamente le ali contro le sbarre della gabbia.
    «Dobby doveva punirsi, signore» disse l’elfo che era diventato strabico a furia di testate. «Dobby ha quasi parlato male della famiglia, signore…»
    «La tua famiglia?»
    «La famiglia di maghi di cui Dobby è al servizio, signore… Dobby è un elfo domestico… costretto a servire per sempre una sola casa e una sola famiglia…»
    «Loro sanno che sei qui?» chiese Harry curioso.
    Dobby rabbrividì.
    «Oh, no, signore, no… Dobby dovrà punirsi molto severamente per essere venuto a trovarla, signore. Dobby dovrà chiudersi le orecchie nello sportello del forno per quel che ha fatto. Se mai loro venissero a saperlo, signore…»
    «Ma non si accorgeranno che ti chiudi le orecchie nello sportello del forno?»
    «Dobby ne dubita, signore. Dobby deve continuamente punirsi per qualcosa, signore. E loro lasciano fare Dobby, signore. A volte gli ricordano di darsi qualche castigo in più…»
    «Ma perché non te ne vai? Perché non scappi?»
    «Un elfo domestico deve ottenerla, la libertà, signore. E la famiglia non darà mai la libertà a Dobby… Dobby servirà la famiglia fino alla morte, signore…»
    Harry lo guardava con tanto d’occhi.
    «E pensare che credevo non ci fosse niente di peggio del dover restare qui per altre quattro settimane» disse. «A sentire te, i Dursley mi sembrano quasi umani. Non c’è nessuno che possa aiutarti? Non posso aiutarti io?»
    Subito dopo Harry desiderò di non aver parlato. Dobby si sciolse di nuovo in gemiti di gratitudine.
    «Ti prego» bisbigliò Harry freneticamente, «ti prego, non far rumore; se i Dursley sentono qualcosa, se si accorgono che sei qui…»
    «Harry Potter chiede se può aiutare Dobby… Dobby ha sentito parlare della sua grandezza, signore, ma della sua bontà Dobby non sapeva niente…»
    Harry, che si sentiva il viso decisamente in fiamme, disse: «Qualsiasi cosa tu abbia sentito dire sulla mia grandezza… sono tutte stupidaggini. Non sono neanche il primo del mio corso, a Hogwarts. Hermione lo è; lei sì che…»
    Ma si interruppe subito, perché pensare a Hermione gli faceva male al cuore.
    «Harry Potter è umile e modesto» disse Dobby reverente, e i suoi occhi rotondi erano raggianti. «Harry Potter non parla del suo trionfo su Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato».
    «Chi, Voldemort?» chiese Harry.
    Dobby si mise le mani sulle orecchie da pipistrello e mugolò: «Ah, non pronunci quel nome, signore! Non pronunci quel nome!»
    «Scusa» si affrettò a dire Harry. «Conosco molte persone a cui non piace… il mio amico Ron, per esempio…»
    Ma si interruppe di nuovo. Anche il pensiero di Ron gli faceva male.
    Dobby si chinò verso Harry, gli occhi spalancati come fari.
    «Dobby ha sentito dire» disse con voce rauca, «che Harry Potter ha incontrato l’Oscuro Signore una seconda volta, appena poche settimane fa… che Harry Potter è riuscito a sfuggirgli di nuovo!»
    Harry annui e subito gli occhi di Dobby si riempirono di lacrime.
    «Ah, signore!» ansimò asciugandosi la faccia con l’angolo della federa lercia che aveva addosso. «Harry Potter è valente e audace! Ha già affrontato coraggiosamente così tanti pericoli! Ma Dobby è venuto per proteggere Harry Potter, per avvertirlo, anche se poi gli toccherà chiudersi le orecchie nello sportello del forno… Harry Potter non deve tornare a Hogwarts».
    Ci fu un silenzio rotto solo dal tintinnio delle posate proveniente dalla sala da pranzo e dal ronzio lontano della voce di zio Vernon.
    «Co-cosa?» balbettò Harry. «Ma io devo tornarci… L’anno scolastico inizia il primo di settembre. E l’unica cosa che mi aiuta ad andare avanti. Tu non sai com’è qui. Io non appartengo a questo posto. Appartengo al vostro mondo… a Hogwarts».
    «No, no, no!» squitti Dobby scuotendo la testa così forte da far sbatacchiare le orecchie di qua e di là. «Harry Potter deve rimanere qui, dove è al sicuro. Lui è troppo grande, troppo buono per essere perduto. Se Harry Potter torna a Hogwarts, correrà un pericolo mortale».
    «Perché?» chiese Harry stupito.
    «C’è un complotto, Harry Potter. Un complotto per far succedere le cose più terribili, quest’anno, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts» sussurrò e prese a tremare all’improvviso. «Dobby lo sa da mesi, signore. Harry Potter non deve mettersi in pericolo. Lui è troppo importante, signore!»
    «Quali cose terribili?» si affrettò a chiedere Harry. «E chi sta complottando?»
    Dobby emise un buffo singhiozzo e picchiò disperatamente la testa contro il muro.
    «Basta così!» gridò Harry afferrando l’elfo per un braccio. «Non puoi dirlo, capisco. Ma perché stai avvertendo proprio me?» Un pensiero improvviso e spiacevole gli attraversò la mente. «Aspetta un po’… è qualcosa che ha a che fare con Vol… scusa… con Tu-Sai-Chi, è vero? Basta che tu faccia di sì o di no con la testa» aggiunse in fretta, perché la testa di Dobby tornò a lanciarsi pericolosamente contro il muro.
    Lentamente, Dobby scosse il capo.
    «No, non Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, signore».
    Gli occhi di Dobby erano spalancati e sembrava cercassero di suggerire qualcosa. Ma Harry era completamente in alto mare.
    «Non ha un fratello, per caso?»
    Dobby scosse il capo, e i suoi occhi erano più spalancati che mai.
    «Be’, non riesco a pensare a nessun altro che possa far succedere cose orribili a Hogwarts» disse Harry. «Voglio dire, prima di tutto c’è Silente… Lo sai chi è Silente, non è vero?»
    Dobby annuì.
    «Albus Silente è il più grande direttore che Hogwarts abbia mai avuto. Dobby lo sa, signore. Dobby ha sentito dire che Silente è grande quanto Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato quando era al culmine della sua forza. Ma, signore» e qui la voce di Dobby divenne un sussurro concitato, «ci sono poteri che Silente non può… poteri che nessun mago per bene…»
    E prima che Harry potesse fermarlo Dobby saltò giù dal letto, afferrò la lampada dalla scrivania e cominciò a darsela in testa con guaiti assordanti.
    Di sotto si fece un improvviso silenzio. Un attimo dopo Harry, con il cuore che gli batteva furiosamente in petto, udi zio Vernon andare nell’ingresso dicendo: «Ancora una volta, Dudley deve aver lasciato la televisione accesa, quel monello!»
    «Svelto! Nell’armadio!» sussurrò Harry spingendoci dentro Dobby, richiudendo lo sportello e infilandosi a letto proprio nel momento in cui la maniglia della porta si abbassava.
    «Che cosa… diavolo… stai… facendo?» disse zio Vernon digrignando i denti e avvicinando orribilmente il viso a quello di Harry. «Mi hai appena rovinato il finale della barzelletta sul golfista giapponese… Ancora un rumore e ti faccio pentire di essere nato!»
    E uscì dalla stanza col passo pesante dei suoi piedi piatti.
    Harry, tutto tremante, fece uscire Dobby dall’armadio.
    «Lo vedi come si vive qui?» disse. «Lo capisci perché devo tornare a Hogwarts? È l’unico posto dove ho… be’, dove penso di avere degli amici».
    «Amici che neanche scrivono a Harry Potter?» disse Dobby maliziosamente.
    «Suppongo che abbiano… aspetta un attimo» disse Harry aggrottando la fronte. «Come fai a sapere, tu, che i miei amici non mi hanno scritto?»
    Dobby si dondolò sui piedi.
    «Harry Potter non deve arrabbiarsi con Dobby… Dobby lo ha fatto per il suo bene…»
    «Hai intercettato le mie lettere?»
    «Dobby ce le ha qui, signore» disse l’elio. Allontanandosi agilmente dalla portata di Harry, tirò fuori dalla federa che aveva indosso un gran fascio di buste. Harry riconobbe la scrittura nitida di Hermione, gli scarabocchi disordinati di Ron e anche due righe buttate giù in fretta che sembravano di Hagrid, il guardiacaccia di Hogwarts.
    Dobby sbirciò Harry con ansia.
    «Harry Potter non deve arrabbiarsi… Dobby sperava… se Harry Potter pensava di essere stato dimenticato dagli amici… forse Harry Potter non avrebbe più voluto tornare a scuola, signore…»
    Ma Harry non lo ascoltava. Cercò di afferrare le lettere, ma con un salto Dobby si portò fuori tiro.
    «Harry Potter le avrà, signore, se darà a Dobby la sua parola d’onore che non tornerà a Hogwarts. Ah, signore, è un rischio che non deve affrontare! Dica che non ci tornerà, signore!»
    «No!» disse Harry infuriato. «Dammi le lettere dei miei amici!»
    «Allora Harry Potter non lascia a Dobby altra scelta» disse l’elfo tristemente.
    Prima che Harry potesse fare un gesto, Dobby era volato verso la porta della camera, l’aveva spalancata e si era fiondato giù per le scale.
    Con la bocca secca, lo stomaco stretto, Harry si precipitò dietro di lui, cercando di non far rumore. Saltò a pie’ pari gli ultimi sei gradini, atterrò come un gatto sul tappeto dell’ingresso e si guardò intorno in cerca dell’elfo. Dal salotto, udiva la voce di zio Vernon che diceva: «…signor Mason, racconti a Petunia quella buffissima storiella degli idraulici americani… lei muore dalla voglia di sentirla…»
    Harry corse in cucina e il cuore gli si fermò.
    Il capolavoro di pasticceria di zia Petunia, la montagna di panna cosparsa di violette di zucchero, stava galleggiando in aria, vicino al soffitto. In cima a un armadio, nell’angolo, stava accovacciato Dobby.
    «No!» supplicò Harry con voce rauca. «Te ne prego… mi ammazzeranno…»
    «Harry Potter deve dire che non tornerà a scuola…»
    «Dobby… ti prego…»
    «Lo dica, signore…»
    «Non posso!»
    Dobby gli lanciò un’occhiata tragica.
    «Allora Dobby deve farlo, signore, per il bene di Harry Potter».
    Il dolce cadde a terra con uno schianto da infarto. La panna imbrattò finestre e muri e il piatto andò in frantumi. Con uno schiocco come una frustata Dobby svanì nel nulla.
    Si udirono delle grida provenire dalla sala da pranzo. Zio Vernon irruppe in cucina dove trovò Harry, impalato, coperto da capo a piedi di panna e violette.
    All’inizio sembrò che riuscisse a trovare una buona scusa per quel disastro («È soltanto nostro nipote… un ragazzo molto disturbato… vedere estranei lo mette a disagio, per questo lo abbiamo tenuto di sopra…»). Rispedì i Mason, sconvolti, nella sala da pranzo, promise a Harry che quando gli ospiti fossero andati via lo avrebbe scorticato vivo e gli allungò uno straccio. Zia Petunia ripescò un gelato dal freezer e Harry, ancora tremante, cominciò a darsi da fare per pulire la cucina.
    Zio Vernon avrebbe ancora potuto concludere il suo affare se non fosse stato per il gufo.
    Zia Petunia stava facendo girare un cestino di cioccolatini digestivi alla menta, quando un immenso gufo entrò dalla finestra, lasciò cadere una lettera sulla testa della signora Mason e volò via. La signora Mason gridò come un’ossessa e fuggì dalla casa urlando qualcosa sui matti. Il signor Mason rimase il tempo necessario a spiegare ai Dursley che sua moglie aveva un terrore mortale degli uccelli di ogni forma e dimensione e a chiedere se avevano pensato di essere divertenti.
    In cucina Harry si aggrappava allo straccio per farsi forza, mentre zio Vernon avanzava verso di lui con i piccoli occhi porcini accesi di una luce diabolica.
    «Leggila!» sibilò con tono malevolo, brandendo la lettera consegnata dal gufo. «Avanti, leggila!»
    Harry la prese. Non conteneva auguri di buon compleanno.
   
    Caro signor Potter,
    Abbiamo avuto notizia che nel luogo dove lei risiede, questa sera, alle nove e dodici minuti, è stato praticato un Incantesimo di Librazione.
    Come lei sa, i maghi minorenni non sono autorizzati a compiere incantesimi fuori della scuola e un altro episodio del genere da parte sua potrà portare alla sua espulsione da detta scuola (Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, 1875, Comma C).
    La preghiamo inoltre di ricordare che qualsiasi attività magica che rischi di essere notata dalla comunità dei non-maghi (Babbani) è un reato grave ai sensi dell’articolo 13 dello Statuto di Segretezza della Confederazione Internazionale dei Maghi.
    Buone vacanze!
    Cordialmente,
    Mafalda Hopkirk Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magìche Ministero della Magia
    Harry alzò gli occhi dalla lettera e deglutì.
    «Non ci avevi detto che non ti era consentito usare la magia fuori della scuola» disse zio Vernon con un lampo di furore negli occhi. «Hai dimenticato di dirlo… ti è passato di mente, immagino…»
    E intanto si chinava sul ragazzo come un enorme mastino, con tutti i denti scoperti. «Bene, c’è una novità, ragazzo… Ora ti chiudo di sopra… non tornerai mai più in quella scuola… mai… e se cercherai di liberarti con qualche magia… saranno loro a espellerti!»
    E con una risata isterica trascinò Harry al piano di sopra.
    Zìo Vernon fu spietato quanto le sue parole. Il mattino seguente chiamò un uomo perché mettesse le sbarre alla finestra della camera di Harry. Lui personalmente installò alla porta una gattaiola appena sufficiente a far passare piccole quantità di cibo tre volte al giorno. Poteva uscire solo per andare in bagno, di sera e di mattina. Per il resto, il ragazzo rimaneva chiuso a chiave in camera ventiquattr’ore su ventiquattro.
    Tre giorni dopo i Dursley non davano segno di allentare la guardia e Harry non vedeva via di uscita da quella situazione. Se ne stava steso a letto guardando il sole sparire dietro le sbarre della finestra e si chiedeva sconsolato cos’altro gli sarebbe accaduto.
    A che scopo uscire dalla stanza con un incantesimo se poi a Hogwarts lo avrebbero espulso per averlo fatto? Ma la vita a Privet Drive non era mai stata così insopportabile. Ora che i Dursley sapevano che non sarebbero stati trasformati in scarafaggi, lui aveva perso la sua unica arma. Dobby poteva anche averlo salvato da eventi orribili a Hogwarts, ma per come stavano andando le cose probabilmente lui sarebbe morto comunque: di fame.
    La gattaiola cigolò e apparve la mano di zia Petunia, che introdusse nella stanza una ciotola di minestra in scatola. Harry, che aveva mal di stomaco per la fame, saltò dal letto e l’afferrò. La zuppa era gelata, ma lui ne trangugiò la metà in un sol sorso. Poi si avvicinò alla gabbia di Edvige e versò nella sua mangiatoia vuota le verdure mollicce che galleggiavano sul fondo della ciotola. Lei arruffò tutte le penne e gli lanciò un’occhiata di profondo disgusto.
    «Non serve a niente fare la schizzinosa, questo è tutto quel che passa il convento» disse tristemente Harry.
    Rimise la ciotola vuota vicino alla gattaiola e tornò a stendersi sul letto, ancora più affamato di prima.
    Ammettendo di essere ancora vivo di lì a quattro settimane, che cosa sarebbe successo se non fosse tornato a Hogwarts? Forse avrebbero mandato qualcuno a cercarlo? Sarebbero riusciti a convincere i Dursley a lasciarlo andare?
    Il buio invadeva la stanza. Sfinito, con lo stomaco che brontolava, la mente che si arrovellava intorno alle stesse domande senza risposta, Harry cadde in un sonno agitato.
    Sognò di essere in mostra, in uno zoo, dentro una gabbia con su un cartello: ‘Mago Minorenne’. La gente lo guardava stralunata, mentre lui, debole e affamato, se ne stava rannicchiato su un pagliericcio. Tra la folla vedeva la faccia di Dobby, gridava per chiedergli aiuto, ma Dobby rispondeva: «Qui Harry Potter è al sicuro, signore!» e svaniva. Allora apparivano i Dursley, e Dudley picchiava contro le sbarre della gabbia ridendogli in faccia.
    «Smettila» bofonchiava Harry, mentre quel rumore secco gli rimbombava nella testa dolorante. «Lasciami in pace… smettila… sto cercando di dormire…»
    Aprì gli occhi. La luna splendeva attraverso l’inferriata. Ed effettivamente c’era qualcuno che lo fissava attonito da dietro le sbarre: qualcuno con il viso coperto di lentiggini, i capelli rossi e un lungo naso.
    Fuori della sua finestra c’era Ron Weasley.
Capitolo PrecedenteCapitolo Successivo