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Harry Potter e La Camera dei Segreti (3199 citazioni)
   1) Il peggior compleanno (95 citazioni)
   2) L'avvertimento di Dobby (126 citazioni)
   3) La Tana (183 citazioni)
   4) Alla libreria "Il Ghirigoro" (202 citazioni)
   5) Il Platano Picchiatore (196 citazioni)
   6) Gilderoy Allock (152 citazioni)
   7) Mezzosangue e mezze voci (172 citazioni)
   8) La festa di complemorte (190 citazioni)
   9) La scritta sul muro (211 citazioni)
   10) Il bolide fellone (180 citazioni)
   11) Il Club dei Duellanti (191 citazioni)
   12) La Pozione Polisucco (211 citazioni)
   13) Il diario segretissimo (211 citazioni)
   14) Cornelius Caramell (147 citazioni)
   15) Aragog (160 citazioni)
   16) La Camera dei Segreti (236 citazioni)
   17) L'erede di Serpeverde (192 citazioni)
   18) Un premio per Dobby (144 citazioni)
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Il peggior compleanno


   Non era la prima volta che scoppiava un litigio durante la colazione, al numero 4 di Privet Drive. Il signor Vernon Dursley era stato svegliato all’alba da un fischio acutissimo proveniente dalla camera di suo nipote Harry.
    «Tre volte in una settimana!» tuonò dall’altra parte del tavolo. «Se non riesci a tenere a bada quella civetta, dovrà andarsene!»
    Ancora una volta, Harry provò a spiegare.
    «Si annoia» disse. «Edvige è abituata a volare all’aperto. Se solo potessi lasciarla libera di notte…»
    «Ma mi hai preso per scemo?» ringhiò zio Vernon con un pezzetto di uovo fritto impigliato nei baffoni. «So bene cosa succederebbe a lasciar libero quell’animale».
    E scambiò un’occhiata cupa con la moglie Petunia.
    Harry tentò di replicare, ma le sue parole furono sommerse da un rutto lungo e sonoro di suo cugino Dudley.
    «Voglio ancora bacon».
    «Ce n’è tanto nella padella, tesoruccio» disse zia Petunia, posando uno sguardo tenero sul suo grasso figliolo. «Devi mangiare, finché sei a casa… La mensa di quella scuola non mi convince affatto…»
    «Sciocchezze, Petunia. Io non ho mai avuto fame, quando ero a Snobkin» disse zio Vernon accalorandosi. «Dudley mangia abbastanza; non è vero, figliolo?»
    Dudley, così grasso che il sederone gli debordava da entrambi i lati della sedia, si voltò con un ghigno verso Harry.
    «Passami la padella».
    «Hai dimenticato la parola magica» lo rimbeccò Harry.
    Quelle parole ebbero un effetto incredibile sul resto della famiglia: Dudley boccheggiò e cadde dalla sedia con un tonfo che fece tremare tutta la cucina; la signora Dursley lanciò un gridolino e si mise le mani sulla bocca; il signor Dursley balzò in piedi con le vene delle tempie che gli pulsavano.
    «Intendevo ‘per favore’!» rispose Harry precipitosamente. «Non volevo dire…»
    «COSA TI AVEVO DETTO?» tuonò suo zio spruzzando saliva su tutta la tavola. «IN QUESTA CASA LA PAROLA M… NON LA VOGLIO SENTIRE!»
    «Ma io…»
    «E COME OSI MINACCIARE DUDLEY!» ruggì zio Vernon nello stesso tono, battendo il pugno sul tavolo.
    «Io volevo solo…»
    «TI HO AVVERTITO! NON TOLLERO CHE SI NOMINI LA TUA ANORMALITÀ SOTTO QUESTO TETTO!»
    Lo sguardo di Harry passò dal volto paonazzo dello zio a quello pallido della zia, che cercava di aiutare Dudley a rimettersi in piedi.
    «D’accordo» disse Harry, «d’accordo…»
    Zio Vernon tornò a sedersi, ansimando come un rinoceronte sfiatato e guardando Harry di traverso con i suoi occhietti penetranti.
    Da quando Harry era tornato a casa per le vacanze estive zio Vernon lo aveva trattato come una bomba sul punto di esplodere, perché Harry non era un ragazzo normale. Anzi, era la quintessenza dell’anormalità.
    Harry Potter era un mago… un mago fresco di studi, visto che aveva frequentato il primo anno a Hogwarts, la Scuola di Magia e Stregoneria. Ma se i Dursley non erano contenti di riaverlo a casa per le vacanze, la loro scontentezza era niente in confronto a quel che provava Harry.
    Hogwarts gli mancava così tanto che era come avere costantemente mal di stomaco. Gli mancava il castello con i suoi passaggi segreti e i suoi fantasmi, le lezioni (anche se magari non quelle di Piton, il professore di Pozioni), la posta consegnata via gufo, i banchetti nella Sala Grande, i sonni nel suo letto a baldacchino nel dormitorio della torre, le visitine al guardiacaccia Hagrid nella capanna vicino alla foresta proibita, e soprattutto il Quidditch, lo sport più popolare nel mondo dei maghi (sei alti pali alle porte, quattro palle volanti e quattordici giocatori a cavallo di un manico di scopa).
    Tutti i libri di magia, la bacchetta magica, gli abiti, il calderone e il suo superbo manico di scopa Nimbus Duemila erano stati chiusi a doppia mandata da zio Vernon in un armadio nel sottoscala nel momento stesso in cui Harry era arrivato a casa. Che gliene importava ai Dursley se lui perdeva il ruolo nella squadra di Quidditch perché non si era allenato per tutta l’estate? Era forse affar loro se tornava a scuola senza aver fatto i compiti delle vacanze? I Dursley erano quello che i maghi chiamavano Babbani (senza neanche una goccia di sangue di mago nelle vene) e per loro un mago in famiglia rappresentava la vergogna più nera. Zio Vernon aveva addirittura messo un lucchetto alla gabbia di Edvige, la civetta di Harry, per impedirle di portare messaggi a chiunque facesse parte del mondo dei maghi.
    Harry non assomigliava affatto al resto della famiglia. Zio Vernon era grasso e senza collo, con enormi baffi neri; zia Petunia aveva una faccia cavallina ed era tutta pelle e ossa; Dudley era biondo e roseo come un porcello. Harry, al contrario, era piccolo e magro, con brillanti occhi verdi e capelli nerissimi, sempre arruffati. Portava occhiali rotondi e sulla fronte aveva una sottile cicatrice a forma di saetta.
    Era quella cicatrice a rendere Harry cosi fuori dall’ordinario, anche fra i maghi: era l’unico segno del suo misterioso passato, della ragione per cui, undici anni prima, era stato deposto davanti alla porta di casa Dursley.
    All’età di un anno Harry era scampato a una maledizione lanciata dal più grande stregone di tutti i tempi, Voldemort, un nome che la maggior parte delle streghe e dei maghi non osava ancora pronunciare. L’attacco sferrato da Voldemort era costato la vita ai genitori di Harry, ma lui si era salvato, con la sua cicatrice a forma di saetta, e per qualche ragione — nessuno sapeva perché — i poteri di Voldemort erano andati distrutti nel momento stesso in cui non era riuscito a uccidere il ragazzo.
    Harry quindi era stato allevato dalla sorella della defunta madre e da suo marito. Aveva trascorso dieci anni con i Dursley senza mai capire perché gli accadesse di far succedere cose strane senza averne l’intenzione, e credendo alla storia che gli avevano raccontato i Dursley, che cioè quella cicatrice se l’era procurata nell’incidente d’auto in cui erano morti i suoi genitori.
    E poi, esattamente un anno prima, Harry aveva ricevuto una lettera da Hogwarts e aveva scoperto la verità. Harry era andato a occupare il posto che gli spettava nella scuola dei maghi, dove lui e la sua cicatrice erano famosi… ma ora l’anno scolastico era finito e lui era tornato dai Dursley per le vacanze estive, a essere trattato come un cane rognoso.
    I Dursley non si erano neanche ricordati che quel giorno era il suo dodicesimo compleanno. Non che lui ci avesse sperato molto (da loro non aveva mai ricevuto un regalo, per non parlare di una torta), ma ignorarlo del tutto…
    In quel preciso momento, zio Vernon si schiarì la gola con aria sussiegosa e disse: «Allora, come tutti sappiamo, oggi è un giorno molto importante».
    Harry sollevò lo sguardo senza osar credere alle proprie orecchie.
    «Oggi potrei concludere l’affare più grosso della mia carriera» proseguì zio Vernon.
    Harry tornò a concentrarsi sul suo pane tostato. Ma certo, pensò con amarezza, zio Vernon si riferisce a quella stupida cena. Erano due settimane che non parlava d’altro. Un ricco costruttore sarebbe venuto a cena con la moglie e zio Vernon sperava di ottenere da lui un ordine importante (la ditta di zio Vernon produceva trapani).
    «Penso che dovremmo ripassare il programma ancora una volta» disse zio Vernon. «Dovremo essere tutti ai nostri posti per le otto in punto. Petunia, tu sarai…?»
    «In salotto» disse zia Petunia prontamente, «per dare loro il benvenuto».
    «Molto bene. E Dudley?»
    «Io gli aprirò la porta». Dudley sfoderò un sorriso ebete e ottuso. «Prego, signori Mason, volete darmi i soprabiti?»
    «Oh, li lascerai senza fiato!» gridò zia Petunia in estasi.
    «Ottimo, Dudley» disse zio Vernon. Quindi si rivolse a Harry. «E tu?»
    «Io me ne starò in camera mia senza il minimo rumore e facendo come se non esistessi» disse Harry con voce inespressiva.
    «Proprio così» disse zio Vernon acido. «Io li farò accomodare in salotto, gli presenterò te, Petunia, e gli verserò da bere. Alle otto e un quarto…»
    «Io annuncerò che la cena è servita» disse zia Petunia.
    «E tu, Dudley, dirai…»
    «Mi permette di accompagnarla in sala da pranzo, signora Mason?» disse Dudley offrendo il suo braccione a una donna invisibile.
    «Il mio piccolo gentiluomo perfetto!» sospirò zia Petunia.
    «E tu?» chiese malignamente zio Vernon a Harry.
    «Io me ne starò in camera mia senza il minimo rumore e facendo come se non esistessi» ripeté Harry in tono piatto.
    «Precisamente. Ora, durante la cena, dovremmo cercare di fare qualche bel complimento. Petunia, ti viene in mente qualcosa?»
    «Vernon mi dice che lei gioca a golf splendidamente, signor Mason… La prego, signora Mason, dove ha trovato quel bellissimo vestito?»
    «Perfetto… Dudley?»
    «Che ne dici di questo? ‘Signor Mason, a scuola abbiamo fatto un tema su “Eroi del nostro tempo” e io ho parlato di lei’».
    Questo era davvero troppo sia per zia Petunia che per Harry. Lei scoppiò in lacrime e abbracciò il figlio; Harry scoppiò a ridere e si ficcò sotto il tavolo per non farsi vedere.
    «E tu, ragazzo?»
    Harry riemerse, sforzandosi di rimanere impassibile.
    «Io me ne starò in camera mia senza il minimo rumore e facendo come se non esistessi» disse.
    «E ci mancherebbe altro!» disse zio Vernon con forza. «I Mason non sanno niente di te né sapranno mai. Quando la cena sarà finita, tu, Petunia, riaccompagnerai la signora Mason in salotto per il caffè e io porterò la conversazione sui trapani. Con un po’ di fortuna, avrò in mano il contratto firmato e controfirmato prima del telegiornale delle dieci. Domani a quest’ora staremo trattando l’acquisto di una casa a Maiorca».
    La notizia non eccitò minimamente Harry. Non pensava che sarebbe andato più a genio ai Dursley a Maiorca che a Privet Drive.
    «Bene… Io vado in centro a ritirare gli smoking per Dudley e per me. Quanto a te» ringhiò a Harry, «vedi di non stare tra i piedi di tua zia mentre fa le pulizie».
    Harry usci dalla stanza passando per la porta sul retro. Era una luminosa giornata di sole. Attraversò il prato e si lasciò cadere sulla panchina del giardino, canticchiando tra sé: «Tanti auguri a me… tanti auguri a me…»
    Niente cartoline, niente regali e, per giunta, avrebbe trascorso la serata a far finta di non esistere. Il suo sguardo sconsolato si posò sulla siepe. Non si era mai sentito cosi solo. Più di qualsiasi altra cosa avesse lasciato a Hogwarts, più ancora del Quidditch, Harry aveva nostalgia dei suoi migliori amici, Ron Weasley e Hermione Granger. Ma loro non sembravano sentire la sua mancanza. Nessuno dei due gli aveva scritto per tutta l’estate, anche se Ron aveva detto che lo avrebbe invitato a passare qualche giorno da lui.
    Migliaia di volte Harry era stato sul punto di aprire con la magia la gabbia di Edvige e di mandarla da Ron e da Hermione con una lettera, ma non valeva la pena rischiare. Ai maghi minorenni non era permesso di fare incantesimi fuori della scuola. Questo ai Dursley non lo aveva detto; sapeva che solo il terrore di venire trasformati in scarafaggi li aveva trattenuti dal chiudere anche lui nell’armadio del sottoscala insieme alla bacchetta magica e al manico di scopa. Durante le ultime due settimane Harry si era divertito a farfugliare tra sé parole senza senso e guardare Dudley catapultarsi fuori dalla stanza a tutta la velocità permessa dalle sue gambe grasse. Ma il lungo silenzio di Ron e di Hermione aveva fatto sentire Harry così tagliato fuori dal mondo della magia che anche tormentare Dudley aveva perso il suo fascino… e ora Ron e Hermione avevano dimenticato il suo compleanno.
    Che cosa non avrebbe dato per ricevere un messaggio da Hogwarts! Da un mago o da una strega qualsiasi! Sarebbe stato contento perfino di vedere il suo più acerrimo nemico, Draco Malfoy, solo per assicurarsi di non essersi sognato tutto…
    Non che l’anno trascorso a Hogwarts fosse stato tutto rose e fiori. Alla fine dell’ultimo trimestre Harry si era trovato faccia a faccia nientemeno che con Voldemort in persona. Voldemort poteva anche essere un relitto di ciò che era stato, ma era ancora terrificante, scaltro, determinato a riconquistare il potere. Ancora una volta Harry era riuscito a sfuggire alle sue grinfie, ma per un pelo, e anche adesso, a distanza di molte settimane, il ragazzo continuava a svegliarsi di notte coperto di sudore freddo chiedendosi dove fosse Voldemort in quel momento, senza riuscire a dimenticare quel volto livido, quegli occhi folli e sbarrati…
    D’un tratto Harry si drizzò a sedere sulla panchina del giardino. Aveva continuato a fissare distrattamente la siepe… e quella ricambiava il suo sguardo. Tra le foglie erano apparsi due enormi occhi verdi.
    Harry balzò in piedi e in quello stesso momento una voce beffarda lo raggiunse dall’altra parte del prato.
    «Io lo so che giorno è oggi» cantilenò Dudley caracollando verso di lui.
    I grandi occhi ammiccarono e scomparvero.
    «Cosa?» disse Harry senza distogliere lo sguardo dal punto in cui li aveva visti.
    «Io lo so che giorno è oggi» ripeté Dudley che ormai lo aveva raggiunto.
    «Ma bravo» disse Harry. «Hai imparato i giorni della settimana?»
    «Oggi è il tuo compleanno» sibilò Dudley. «Come mai non hai ricevuto nessuna cartolina? Non ti sei fatto neanche un amico in quel posto di svitati?»
    «Meglio che tu non ti faccia sentire da tua madre a parlare della mia scuola» disse Harry in tono glaciale.
    Dudley si tirò su i pantaloni che gli calavano sotto il sederone.
    «Perché fissi la siepe?» chiese sospettoso.
    «Sto cercando l’incantesimo migliore per appiccarle il fuoco» disse Harry.
    Dudley indietreggiò all’istante, incespicando, con il panico stampato in faccia.
    «T-tu non puoi… Papà t-ti ha d-detto che non d-devi fare magie… ha d-detto che t-ti b-butta fuori di casa… e tu non hai un posto dove andare… non hai amici che ti accolgano…»
    «Nomen omen!» disse Harry con voce stentorea. «Hocus pocus… Arty Morty…»
    «MAMMA!» urlò Dudley incespicando nei propri piedi mentre si precipitava verso casa. «MAMMA! Harry sta facendo quella cosa lì!»
    Harry pagò caro quell’attimo di divertimento. Visto che né Dudley né la siepe avevano riportato alcun danno, zia Petunia capì che in realtà lui non aveva fatto nessuna magia; tuttavia Harry dovette chinarsi per schivare il colpo di una padella insaponata sulla testa. Poi zia Petunia lo mise al lavoro, con l’avvertimento che non avrebbe mangiato fin quando non avesse finito.
    Mentre Dudley ciondolava in giro mangiando gelati, Harry pulì i vetri, lavò l’auto, falciò il prato e rassettò le aiuole, potò e annaffiò le rose e ridipinse la panchina del giardino. Il sole sfolgorante gli bruciava la nuca. Harry sapeva che non avrebbe dovuto cadere nel tranello di Dudley, ma lui aveva detto esattamente quel che Harry rimuginava dentro di sé… forse era vero che non aveva neanche un amico a Hogwarts…
    ‘Come vorrei che vedessero il famoso Harry Potter adesso!’ pensava furibondo mentre spargeva concime sulle aiuole, tutto sudato e con la schiena dolorante.
    Erano le sette e mezzo di sera quando finalmente, esausto, udì zia Petunia che lo chiamava.
    «Vieni qui! E bada a mettere i piedi sul giornale!»
    Harry fu felice di raggiungere la penombra della cucina tirata a lucido. In cima al frigorifero troneggiava il dolce preparato per la cena: un’immensa montagna di panna montata guarnita di violette di zucchero. Un arrosto di maiale stava sfrigolando in forno.
    «Mangia, svelto! I Mason saranno qui tra poco!» lo incalzò zia Petunia indicando due fette di pane e un pezzo di formaggio sul tavolo di cucina. Lei indossava già un abito da cocktail rosa salmone.
    Harry si lavò le mani e trangugiò il suo misero pasto. Appena ebbe ingoiato l’ultimo boccone zia Petunia fece sparire il suo piatto. «E ora fila di sopra!»
    Passando davanti alla porta del salotto Harry intravide zio Vernon e Dudley in cravatta a farfalla e smoking. Era appena arrivato al pianerottolo quando il campanello suonò e la faccia furibonda di zio Vernon apparve in fondo alle scale.
    «Ricorda, ragazzo, un solo rumore e…»
    Harry raggiunse la sua camera da letto in punta di piedi, vi scivolò dentro, chiuse la porta e si voltò per buttarsi sul letto.
    Peccato che il suo letto fosse già occupato.
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