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Harry Potter e i Doni della Morte (6958 citazioni)
   1) L’ascesa del Signore Oscuro (113 citazioni)
   2) In memoriam (70 citazioni)
   3) La partenza dei Dursley (126 citazioni)
   4) I sette Potter (179 citazioni)
   5) Il Guerriero caduto (255 citazioni)
   6) Il demone in pigiama (231 citazioni)
   7) Il testamento i Albus Silente (272 citazioni)
   8) Il matrimonio (213 citazioni)
   9) Un nascondiglio (151 citazioni)
   10) Il racconto di Kreacher (197 citazioni)
   11) La mazzetta (211 citazioni)
   12) La Magia è Potere (220 citazioni)
   13) La Commissione per il Censimento dei nati babbani (184 citazioni)
   14) Il ladro (141 citazioni)
   15) La vendetta del folletto (285 citazioni)
   16) Godric’s Hollow (138 citazioni)
   17) Il Segreto di Bathilda (212 citazioni)
   18) Vita e Menzogne di Albus Silente (82 citazioni)
   19) La cerva d’argento (227 citazioni)
   20) Xenophilius Lovegood (152 citazioni)
   21) La storia dei tre fratelli (182 citazioni)
   22) I Doni della Morte (186 citazioni)
   23) Villa Malfoy (351 citazioni)
   24) Il fabbricante di bacchette (257 citazioni)
   25) Villa Conchiglia (160 citazioni)
   26) La Gringott (188 citazioni)
   27) Il nascondiglio finale (73 citazioni)
   28) Lo specchio mancante (146 citazioni)
   29) Il diadema perduto (169 citazioni)
   30) Il congedo di Severus Piton (197 citazioni)
   31) La battaglia di Hogwarts (288 citazioni)
   32) La bacchetta di Sambuco (182 citazioni)
   33) La storia del Principe (345 citazioni)
   34) Ancora la foresta (119 citazioni)
   35) King’s Cross (170 citazioni)
   36) La falla nel piano (286 citazioni)
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La bacchetta di Sambuco


   Il mondo era finito, e allora perché la battaglia non era cessata, il castello non era ammutolito per l'orrore e tutti i combattenti non avevano deposto le armi? La mente di Harry era in caduta libera, incontrollabile, incapace di cogliere l'impossibile, perché Fred Weasley non poteva essere morto, l'evidenza di tutti i suoi sensi doveva essere falsa...
   E poi un corpo cadde attraverso lo squarcio nel fianco della scuola, accompagnato da maledizioni scagliate dal buio, che finirono contro la parete dietro le loro teste.
    «Giù!» urlò Harry, mentre altre fatture schizzavano nella notte: lui e Ron afferrarono Hermione e la gettarono a terra, ma Percy era disteso sul corpo di Fred, a proteggerlo, e quando Harry chiamò «Percy, su, dobbiamo muoverci!» scosse il capo.
   «Percy!» Harry vide le lacrime solcare lo strato di fuliggine sul viso di Ron, che afferrò il fratello più grande per le spalle e lo strattonò; ma Percy non si mosse. «Percy, non puoi fare nulla per lui! Dobbiamo...»
   Hermione urlò e Harry, voltatosi, non dovette chiedere perché. Un ragno mostruoso, grande come un'utilitaria, cercava di arrampicarsi attraverso il grosso foro nella parete: uno dei discendenti di Aragog era sceso in campo.
   Ron e Harry gridarono all'unisono; i loro incantesimi colpirono insieme e il mostro fu scaraventato all'indietro, sparendo nella notte con le zampe che si contorcevano orrendamente.
   «Ha portato degli amici!» gridò Harry, guardando dallo squarcio nella parete: altri ragni giganti si arrampicavano, liberati dalla Foresta Proibita nella quale erano evidentemente penetrati i Mangiamorte. Harry scagliò Schiantesimi contro di loro e abbatté il primo della fila, che cadde sui suoi compagni, trascinandoseli dietro. Altre maledizioni volarono sopra la testa di Harry, così vicine che ne sentì la forza spostargli i capelli.
   «Andiamo, ORA!»
   Harry spinse Hermione davanti a sé con Ron, poi si chinò e prese il corpo di Fred sotto le ascelle. Percy capì le sue intenzioni: si alzò dal cadavere del fratello e lo aiutò. Insieme, curvi per evitare le maledizioni che arrivavano dal parco, trascinarono Fred fuori dalla linea del fuoco.
   «Qui» disse Harry, e lo deposero in una nicchia lasciata vuota da un'armatura. Non sopportava di guardare Fred un attimo più del necessario; dopo essersi assicurato che il corpo fosse ben nascosto si lanciò dietro a Ron e Hermione. Malfoy e Goyle erano spariti, ma in fondo al corridoio ricoperto di polvere e di pietre, con i vetri delle finestre polverizzati, vide molte figure correre avanti e indietro: difficile dire se fossero amici o nemici. Voltato l'angolo, Percy lanciò un urlo belluino: «ROOKWOOD!» e si gettò dietro a un uomo alto che inseguiva due studenti.
   «Harry, di qui!» urlò Hermione.
   Aveva spinto Ron dietro un arazzo. Sembrava che lottassero e per un folle istante Harry pensò che si stessero baciando di nuovo; poi vide che Hermione stava trattenendo Ron, per impedirgli di seguire Percy.
   «Ascoltami... ASCOLTA, RON!»
   «Voglio aiutarlo... voglio uccidere i Mangiamorte...»
    Era stravolto, sporco di polvere e fumo, e tremava di rabbia e dolore.
   «Ron, solo noi possiamo far finire tutto questo! Ti prego... Ron... ci serve il serpente, dobbiamo uccidere il serpente!» lo implorava Hermione.
   Ma Harry lo capiva: cercare un altro Horcrux non poteva dare la soddisfazione della vendetta; anche lui voleva lottare, punire chi aveva ucciso Fred, voleva trovare gli altri Weasley, e soprattutto assicurarsi, essere del tutto sicuro che Ginny non fosse... non poteva nemmeno permettere che l'idea prendesse forma...
   «Combatteremo!» continuò Hermione. «Dovremo combattere, per arrivare al serpente! Ma non perdiamo di vista il nostro scopo! Siamo gli unici che possono porre fine a tutto!»
   Anche lei piangeva, asciugandosi le lacrime sulla manica lacera e bruciata, ma respirò profondamente per calmarsi e, senza lasciare la presa su Ron, si rivolse a Harry.
   «Devi scoprire dov'È Voldemort, perché il serpente sarà con lui, no? Fallo, Harry... guardagli dentro!»
   Perché era così facile? Perché la cicatrice bruciava da ore, non aspettando altro che di mostrargli i pensieri di Voldemort? All'ordine di Hermione chiuse gli occhi, e subito le urla e i colpi e tutti i suoni dissonanti della battaglia si fecero soffocati e distanti, come se lui fosse lontano, molto lontano da loro...
   Era in piedi, al centro di una stanza desolata ma stranamente familiare, con la tappezzeria scollata e tutte le finestre sbarrate tranne una. Il fragore dell'assalto arrivava attutito. L'unica finestra aperta mostrava lontani scoppi di luce dove sorgeva il castello, ma dentro era buio, a parte una solitaria lampada a olio.
   Faceva rotolare la Bacchetta tra le dita, guardandola, il pensiero fisso alla Stanza nel castello, la Stanza segreta che lui solo aveva trovato, la Stanza che, come la Camera, bisognava essere abili, astuti e molto curiosi per scoprire... il ragazzo non avrebbe trovato il diadema... anche se il burattino di Silente era andato molto più in là di quanto lui si fosse mai aspettato... troppo in là...
   «Mio Signore» gemette una voce rotta e disperata. Si voltò: Lucius Malfoy era seduto nell'angolo più buio. Era lacero e portava ancora i segni della punizione ricevuta per l'ultima fuga del ragazzo. Aveva un occhio chiuso e gonfio. «Mio Signore... vi prego... mio figlio...»
   «Se tuo figlio è morto, Lucius, non è colpa mia. Non è venuto da me come gli altri Serpeverde. Forse ha deciso di diventare amico di Harry Pot ter?»
   «No... mai» sussurrò Malfoy.
   «Devi solo sperarlo».
   «Non... non temete, mio Signore, che Potter possa morire per mano di altri?» chiese Malfoy con voce tremante. «Non sarebbe... perdonatemi... più prudente per voi sospendere la battaglia, entrare nel castello e cercarlo per-personalmente?»
   «Non fingere, Lucius. Tu desideri che la battaglia abbia fine solo per poter scoprire che cos'È successo a tuo figlio. Non ho bisogno di andare a cercare Potter. Prima che la notte sia finita, Potter verrà da me».
   Voldemort abbassò di nuovo lo sguardo sulla Bacchetta. Lo turbava... e le cose che turbavano Lord Voldemort andavano sistemate...
   «Vammi a prendere Piton».
   «Piton, m-mio Signore?»
   «Piton. Ora. Ho bisogno di lui. Devo chiedergli un... servizio. Vai». Spaventato, inciampando nella penombra, Lucius uscì dalla stanza. Voldemort rimase a rigirarsi la Bacchetta tra le dita, osservandola.
   «Non c'È altro modo, Nagini» mormorò, e alzò lo sguardo: l'enorme serpente era sospeso in aria e si muoveva sinuoso dentro lo spazio incantato e protetto creato da Voldemort, una sfera luminosa, trasparente, a metà tra una gabbia scintillante e un terrario.
   Con un sussulto Harry uscì dalla visione e aprì gli occhi; immediatamente le sue orecchie furono aggredite dalle urla e dagli strilli, dai colpi e dalle esplosioni della battaglia.
   «È nella Stamberga Strillante. Il serpente è con lui, è avvolto da una specie di protezione magica. Ha appena mandato Lucius Malfoy a prendere Piton».
   «Voldemort è nella Stamberga Strillante?» chiese Hermione, sdegnata. «Non... non sta neanche combattendo?»
   «Non pensa di dover combattere» spiegò Harry. «Crede che sarò io ad andare da lui».
   «Ma perché?»
   «Sa che cerco gli Horcrux e ha Nagini accanto a sé: è chiaro che devo andare da lui se voglio avvicinarmi a quella bestia...»
   «Bene» fece Ron, raddrizzando le spalle. «Quindi non puoi andare, perché è quello che vuole, quello che si aspetta. Tu resti qui a proteggere Hermione e io vado a uccidere...»
   Harry lo interruppe.
    «Voi due state qui, vado io, col Mantello, e torno appena...»
   «No» intervenne Hermione, «È molto più sensato se prendo io il Mantello e...»
   «Non pensarci neanche» sibilò Ron.
   «Ron, sono in grado quanto te...» ma Hermione non concluse la frase, perché l'arazzo in cima alla scala fu lacerato.
   «POTTER!»
   Comparvero due Mangiamorte mascherati, ma ancora prima che alzassero le bacchette, Hermione gridò: «Glisseo!»
   I gradini sotto i loro piedi si appiattirono a formare uno scivolo e lei, Ron e Harry volarono giù, senza poter controllare la velocità, ma così rapidi che gli Schiantesimi dei Mangiamorte passarono al di sopra delle loro teste. Attraversarono l'arazzo in fondo e rotolarono a terra, andando a urtare la parete opposta.
   «Duro!» gridò Hermione, puntando la bacchetta contro l'arazzo, che si trasformò in pietra: con due sonori, spaventosi tonfi i Mangiamorte si accasciarono dall'altra parte.
   «Indietro!» urlò Ron, e lui, Harry e Hermione si schiacciarono contro una porta al passaggio di una mandria di banchi di scuola al galoppo, guidata dalla professoressa McGranitt. Non li vide nemmeno: aveva i capelli sciolti e un taglio alla guancia. Voltò l'angolo gridando: «CARICA!»
   «Harry, mettiti il Mantello» disse Hermione. «Non pensare a noi...»
   Ma lui lo gettò addosso a tutti e tre; per quanto grandi fossero, dubitava che qualcuno avrebbe notato i loro piedi tra la polvere che appesantiva l'aria, le pietre che cadevano, il bagliore degli incantesimi.
   Scesero di corsa un'altra scala e finirono in un corridoio affollato di duellanti. I ritratti ai due lati erano stipati di figure che urlavano consigli e incoraggiamenti, mentre i Mangiamorte, mascherati e no, lottavano contro studenti e insegnanti. Dean si era procurato una bacchetta, perché era alle prese con Dolohov, mentre Calì fronteggiava Travers. Harry, Ron e Hermione alzarono subito le bacchette, pronti ad aiutarli, ma i duelli erano così rapidi che rischiavano di colpire un amico. Rimasero all'erta, aspettando l'occasione per intervenire, quando sentirono un altissimo wiiiiiiiiiii! Harry alzò lo sguardo e vide Pix sfrecciare in alto scagliando baccelli di Pugnacio: i Mangiamorte si ritrovarono con la testa in un groviglio di tuberi verdi che si contorcevano come grassi vermi.
   «Argh!»
   Una manciata di tuberi atterrò sul Mantello sopra la testa di Ron; le vi scide radici rimasero assurdamente sospese a mezz'aria, mentre Ron cercava di scrollarsele di dosso.
   «Là c'È qualcuno di invisibile!» urlò un Mangiamorte mascherato.
   Dean approfittò di quell'attimo di distrazione per Schiantarlo; Dolohov cercò di reagire e Calì lo bloccò con un Incantesimo Petrificus.
   «VIA!» urlò Harry: si strinsero il Mantello addosso e sfrecciarono a testa bassa nella mischia, scivolando nelle pozze di succo di Pugnacio, diretti al ballatoio della scalinata di marmo che scendeva nella Sala d'Ingresso.
   «Sono Draco Malfoy, Draco, sono uno dei vostri!»
   Draco era sul pianerottolo e stava supplicando un altro Mangiamorte mascherato. Passando, Harry Schiantò il Mangiamorte: Malfoy si voltò con un sorriso verso il suo salvatore e Ron gli sferrò un pugno da sotto il Mantello. Malfoy cadde all'indietro sopra il Mangiamorte, la bocca sanguinante, stupefatto.
   «È la seconda volta che ti salviamo la vita stanotte, bastardo doppiogiochista!» urlò Ron.
   C'erano altri duelli lungo le scale e nell'ingresso, e Mangiamorte ovunque: Yaxley, vicino al portone, contro Vitious, e lì accanto uno mascherato contro Kingsley. Gli studenti correvano ovunque; alcuni sorreggevano o trascinavano gli amici feriti. Harry scagliò uno Schiantesimo contro il Mangiamorte mascherato, lo mancò e rischiò di colpire Neville, emerso dal nulla con una bracciata di Tentacula Velenosa, che si abbarbicò allegramente al Mangiamorte più vicino e cominciò ad avvilupparlo.
   Harry, Ron e Hermione si lanciarono giù per la scalinata di marmo: udirono un rumore di vetro rotto alla loro sinistra e la clessidra di Serpeverde, che registrava i punti della Casa, riversò ovunque i suoi smeraldi, facendo scivolare chi vi correva sopra. Due corpi caddero dalla balconata e una macchia grigia che Harry prese per un animale attraversò l'ingresso a quattro zampe per affondare i denti in uno dei caduti.
   «No!» strillò Hermione, e con un fragoroso colpo di bacchetta spedì Fenrir Greyback lontano dal corpo di Lavanda Brown, che si muoveva appena. Lui urtò contro la balaustra di marmo e cercò di rimettersi in piedi. Poi, con un abbacinante lampo bianco e uno schianto, una sfera di cristallo gli cadde sulla testa, abbattendolo al suolo, immobile.
   «Ne ho ancora!» urlò la professoressa Cooman da sopra la balaustra. «Chi ne vuole? Ecco...»
   Con un movimento simile a un servizio di tennis prese un'altra enorme sfera di cristallo dalla borsa e, agitando la bacchetta, la spedì dall'altra par te dell'ingresso, a infrangere una finestra. In quell'istante, il pesante portone di legno si spalancò ed entrarono altri ragni giganti.
   Urla di orrore lacerarono l'aria; i duellanti si dispersero, i Mangiamorte come gli Hogwartiani, e schizzi di luce rossa e verde volarono in mezzo ai mostri, che tremarono e s'impennarono, più terrificanti che mai.
   «Come facciamo a uscire?» urlò Ron sopra le grida, ma prima che Harry o Hermione potessero rispondere furono scaraventati di lato: Hagrid stava scendendo le scale a passi pesanti, brandendo il suo ombrello rosa a fiori.
   «Non fateci del male, non fateci del male, poverini!» tuonava. «HAGRID, NO!»
   Harry dimenticò ogni cosa: scattò fuori dal Mantello e corse piegato in due per evitare le maledizioni che illuminavano l'intera Sala.
   «HAGRID, TORNA INDIETRO!»
   Non era neanche a metà strada quando vide Hagrid sparire tra i ragni, che in un fragoroso zampettio e un disgustoso brulichio si ritirarono sotto l'assalto degli incantesimi. Hagrid era sepolto tra loro.
   «HAGRID!»
   Harry udì qualcuno gridare il suo nome, che fosse amico o nemico non gli interessava: sfrecciò giù per i gradini nel parco buio, dove i ragni sciamavano via con la loro preda. Di Hagrid non si vedeva più traccia.
   «HAGRID!»
   Gli parve di distinguere un enorme braccio agitarsi nel groviglio di ragni, ma quando stava per lanciarsi all'inseguimento fu ostacolato da un piede monumentale, che gli calò davanti dal buio, facendo tremare il suolo. Guardò in su: un gigante torreggiava su di lui, alto sette metri, la testa nascosta nelle tenebre. La luce che veniva dal portone del castello riusciva a illuminare solo gli stinchi pelosi, grossi come alberi. Con un solo brutale, fluido movimento, infilò un enorme pugno in una finestra dei piani alti e il vetro piovve su Harry, costringendolo a cercare riparo dentro la soglia.
   «Oh, no...!» strillò Hermione, raggiungendo Harry con Ron e guardando il gigante che cercava di abbrancare la gente attraverso la finestra.
   «No!» fece Ron, afferrando la mano di Hermione che stava alzando la bacchetta. «Se lo Schianti farà crollare mezzo castello...»
   «HAGGER!»
   Dall'angolo del castello spuntò Grop; Harry si rese conto solo adesso che in effetti era un gigante di taglia ridotta. Il mostro gargantuesco che cercava di schiacciare la gente ai piani di sopra voltò la testa e ruggì. Avanzò a passi pesanti verso il suo simile più piccolo, facendo vibrare i gradini di
    pietra. Grop spalancò la bocca storta, mettendo in mostra denti gialli e grandi come mezzi mattoni, poi si scagliarono l'uno contro l'altro con la ferocia di due leoni.
   «VIA!» urlò Harry; la notte si riempì delle urla tremende e dei colpi dei giganti che combattevano. Harry afferrò la mano di Hermione e si precipitò giù per gli scalini, con Ron alle calcagna. Non aveva perso la speranza di trovare Hagrid e salvarlo; corsero così veloci che erano già a metà strada verso la Foresta quando si bloccarono di nuovo.
   L'aria attorno a loro era immobile: il respiro di Harry si fermò, come solidificato nel petto. Nell'ombra si muovevano forme, figure mulinanti di un nero fittissimo, che avanzavano come una vasta ondata verso il castello, i volti incappucciati, il respiro ansimante...
   Ron e Hermione si strinsero contro Harry, mentre il fragore della battaglia alle loro spalle si attutiva all'improvviso, si spegneva, perché un silenzio che solo i Dissennatori potevano portare cadeva denso nella notte...
   «Dai, Harry!» mormorò la voce di Hermione, molto lontana. «I Patroni, Harry!»
   Alzò la bacchetta, ma una sorda disperazione si era impadronita di lui: Fred non c'era più, Hagrid stava morendo, o forse era già morto; chissà quanti altri erano caduti che ancora lui non sapeva; era come se l'anima avesse già abbandonato il suo corpo...
   «HARRY, MUOVITI!» urlò Hermione.
   Un centinaio di Dissennatori planavano verso di loro, attirati dalla disperazione di Harry, che era come la promessa di un banchetto...
   Vide il terrier argenteo di Ron comparire nell'aria, baluginare e spegnersi; poi la lontra di Hermione contorcersi e svanire. La bacchetta gli tremava in mano, e accolse quasi con gioia l'oblio imminente, la promessa del nulla, dell'assenza di sensazioni...
   Una lepre d'argento, un cinghiale e una volpe passarono a mezz'aria e li superarono: davanti alle tre creature i Dissennatori indietreggiarono. Tre persone sbucarono dall'oscurità, con le bacchette tese, tenendo saldi i propri Patroni: Luna, Ernie e Seamus.
   «Forza» lo incoraggiò Luna, come se fosse ancora nella Stanza delle Necessità e quello fosse solo un allenamento dell'Esercito di Silente. «Forza, Harry... pensa a qualcosa di allegro...»
   «Qualcosa di allegro?» ripeté lui, la voce spezzata.
   «Siamo ancora qui» sussurrò lei, «stiamo ancora combattendo. Su, dai...»
    Una scintilla d'argento, una luce guizzante e poi, con lo sforzo più grande che gli fosse mai costato, il cervo sbucò dalla punta della sua bacchetta. Trottò in avanti, i Dissennatori si dispersero rapidi e subito la notte tornò mite, ma il frastuono della battaglia riprese a echeggiare nelle sue orecchie.
   «Grazie, grazie infinite» balbettò Ron con voce malferma, «ci avete salvato...»
   Con un ruggito e un tremito da terremoto, un altro gigante arrivò barcollando dalla Foresta: brandiva una mazza più alta di chiunque di loro.
   «ATTENTI!» urlò Harry, ma non ce n'era bisogno: corsero tutti via, e appena in tempo, perché l'enorme piede della creatura si abbatté esattamente nel punto in cui si trovavano un attimo prima. Harry si guardò intorno: Ron e Hermione erano ancora con lui, ma gli altri tre erano spariti di nuovo nella battaglia.
   «Scappiamo!» gridò Ron. Il gigante roteava la mazza e i suoi muggiti echeggiavano per tutto il parco, dove lampi di luce rossa e verde continuavano a squarciare l'oscurità.
   «Al Platano Picchiatore» disse Harry. «Andiamo».
   In qualche modo chiuse tutto quanto nella mente, lo stipò in un piccolo spazio dentro il quale al momento non poteva guardare: il pensiero di Fred e Hagrid, il suo terrore per le persone che amava, dentro e fuori il castello, avrebbero aspettato, perché loro adesso dovevano correre, dovevano raggiungere il serpente e Voldemort; come aveva detto Hermione, era l'unica maniera per farla finita...
   Scattò, pensando quasi che così sarebbe riuscito a distanziare la morte stessa, ignorando i fiotti di luce che volavano nel buio, il rumore del lago che ruggiva come il mare, e il fruscio della Foresta Proibita anche se la notte era senza vento; attraverso una terra che sembrava anch'essa ribellarsi, corse più veloce di quanto avesse mai fatto in vita sua, e fu lui ad avvistare per primo l'enorme albero, il Platano che proteggeva il segreto sotto le proprie radici con i rami pronti a schioccare come fruste.
   Ansimante, Harry rallentò, tenendosi a distanza dai rami violenti del Platano, scrutando nel buio il suo grosso tronco, cercando di individuare l'unico nodo nella corteccia che avrebbe immobilizzato il vecchio albero. Ron e Hermione lo raggiunsero; lei era così sfinita che non riusciva a parlare.
   «Come... come facciamo a entrare?» chiese Ron con il respiro affannoso. «Vedo... il punto... se solo avessimo... Grattastinchi...»
   «Grattastinchi?» sibilò Hermione, piegata in due, con le mani al petto. «Sei un mago o cosa?»
    «Ah... già... è vero...»
   Ron si guardò in giro, poi puntò la bacchetta verso un bastoncino per terra e disse: «Wingardium Leviosa!» Il rametto volò in alto, roteò nell'aria come se fosse stato colpito da una raffica di vento, poi schizzò contro il tronco attraverso i minacciosi rami rotanti del Platano. Colpì un punto vicino alle radici e subito l'albero cessò di contorcersi.
   «Perfetto!» ansimò Hermione.
   «Aspettate».
   Per un attimo, nel rumore sordo della battaglia, Harry esitò. Voldemort voleva questo, voleva che lui andasse... stava portando Ron e Hermione in una trappola?
   Ma poi la realtà gli piombò addosso, crudele e banale: l'unica soluzione era uccidere il serpente, il serpente era con Voldemort, e Voldemort era alla fine di quel tunnel...
   «Harry, ti seguiamo, dai, entra!» lo esortò Ron, spingendolo avanti.
   Harry si infilò nel cunicolo di terra nascosto tra le radici dell'albero. Dovette schiacciarsi molto più dell'ultima volta. Il passaggio aveva il soffitto basso: quattro anni prima l'avevano percorso piegati in due, adesso potevano solo strisciare. Harry avanzò per primo, con la bacchetta illuminata; si aspettava di trovare ostacoli da un momento all'altro, e invece niente. Procedettero in silenzio. Lo sguardo di Harry era fisso sul raggio oscillante della bacchetta che teneva in pugno.
   Infine il cunicolo cominciò a salire e Harry vide una lama di luce. Hermione gli strattonò una caviglia.
   «Il Mantello!» sussurrò.
   Lui tastò alle proprie spalle e lei gli infilò nella mano libera il fagotto di tessuto scivoloso. Vi si avvolse con difficoltà, mormorò «Nox» per spegnere la bacchetta e avanzò carponi, più piano che poteva, tutti i sensi all'erta, temendo a ogni secondo che passava di essere scoperto, di sentire una fredda voce chiara, di vedere un lampo di luce verde.
   Poi udì delle voci dalla stanza che era proprio davanti a loro, appena soffocate perché lo sbocco del tunnel era stato bloccato da quella che sembrava una vecchia cassa. Trattenendo il respiro, Harry si avvicinò all'apertura e spiò dal piccolo spazio rimasto tra la cassa e la parete.
   La stanza era poco illuminata, ma vide Nagini muoversi come una biscia sott'acqua, al sicuro nella sua luminosa bolla incantata, sospesa a mezz'aria. Vide il bordo di un tavolo e una mano bianca dalle lunghe dita che giocherellava con una bacchetta. Poi Piton parlò e il cuore di Harry mancò
    un colpo: era a pochi centimetri da lui.
   «... mio Signore, la resistenza sta crollando...»
   «... e il tuo aiuto non serve» ribatté Voldemort con la sua voce nitida e acuta. «Per quanto tu sia un abile mago, Piton, non credo che tu possa fare molta differenza, ormai. Ci siamo quasi... quasi».
   «Lasciatemi cercare il ragazzo. Consentitemi di portarvi Potter. So che posso trovarlo, mio Signore. Vi prego».
   Piton passò davanti alla fessura e Harry si ritrasse, lo sguardo fisso su Nagini, chiedendosi se esisteva un incantesimo in grado di penetrare la protezione che la circondava, ma non gli venne in mente nulla. Bastava fallire una volta e l'avrebbero scoperto...
   Voldemort si alzò. Harry lo vide bene, gli occhi rossi, il volto piatto da serpente, il pallore che riluceva appena nella semioscurità.
   «Ho un problema, Severus» mormorò Voldemort.
   «Mio Signore?»
   Voldemort alzò la Bacchetta di Sambuco, reggendola con delicatezza e precisione, come la bacchetta di un direttore d'orchestra.
   «Perché con me non funziona, Severus?»
   Nel silenzio, a Harry parve di sentire il serpente sibilare: o era il sospiro di Voldemort che indugiava nell'aria?
   «Mio... mio Signore» rispose Piton, senza espressione. «Non capisco.
   Voi... voi avete compiuto magie straordinarie con quella bacchetta».
   «No» obiettò Voldemort. «Ho compiuto le mie magie consuete. Io sono straordinario, ma questa bacchetta... no. Non ha mostrato le meraviglie che prometteva. Non avverto alcuna differenza tra questa bacchetta e quella che mi procurai da Olivander tanti anni fa».
   Il tono di Voldemort era meditabondo, tranquillo, ma la cicatrice di
   Harry cominciò a pulsare: il dolore gli attraversò la fronte e sentì quel senso controllato di furia crescere dentro Voldemort.
   «Nessuna differenza» ribadì Voldemort.
   Piton non parlò. Harry non lo vedeva in volto: si chiese se percepisse il pericolo, se stesse cercando le parole giuste per rassicurare il suo padrone.
   Voldemort cominciò a muoversi per la stanza: Harry lo perse di vista per qualche secondo, mentre passeggiava avanti e indietro, parlando con la stessa voce misurata, e il dolore e la rabbia crescevano in lui.
   «Ho riflettuto a lungo e a fondo, Severus... sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?»
   Per un attimo Harry vide il profilo di Piton: i suoi occhi erano fissi sul
    serpente acciambellato nella gabbia incantata.
   «No, mio Signore, ma vi supplico di lasciarmi tornare laggiù. Permettetemi di trovare Potter».
   «Parli come Lucius. Nessuno di voi capisce Potter quanto me. Non serve cercarlo. Potter verrà da me. Conosco la sua debolezza, vedi, il suo grande difetto. Non sopporterà di vedere gli altri cadere attorno a lui, sapendo di esserne la causa. Vorrà porvi fine a ogni costo. Verrà».
   «Ma, mio Signore, potrebbe venire ucciso per errore da qualcun altro...»
   «Ho dato istruzioni molto precise ai miei Mangiamorte. Catturare Potter. Uccidere i suoi amici più ne abbattono, meglio è ma non lui.
   «Ma è di te che desideravo parlare, Severus, non di Harry Potter. Mi sei stato molto prezioso. Molto prezioso».
   «Il mio Signore sa che io desidero solo servirlo. Ma lasciatemi andare a cercare il ragazzo. Lasciate che ve lo porti. So che posso...»
   «Ho detto di no!» esclamò Voldemort voltandosi di nuovo, e Harry scorse il luccichio rosso nei suoi occhi, e il fruscio del suo mantello fu come quello di un serpente; avvertì l'impazienza del Signore Oscuro nella cicatrice ardente. «La mia preoccupazione al momento, Severus, è che cosa accadrà quando finalmente incontrerò il ragazzo!»
   «Mio Signore, non ci può essere questione...»
   «... ma una questione c'È, Severus. C'È».
   Voldemort si arrestò e Harry lo vide con chiarezza: faceva scivolare tra le dita la Bacchetta di Sambuco e scrutava Piton.
   «Perché entrambe le bacchette che ho usato hanno fallito quando le ho puntate contro Harry Potter?»
   «Io... io non sono in grado di rispondere, mio Signore».
   «Non sei in grado?»
   La fitta di rabbia fu come un chiodo piantato nella testa di Harry: s'infilò il pugno in bocca per non urlare dal dolore. Chiuse gli occhi e di colpo fu Voldemort, che fissava il volto pallido di Piton.
   «La mia bacchetta di tasso ha sempre fatto tutto quello che le ho chiesto, Severus, tranne uccidere Harry Potter. Due volte ha fallito. Sotto tortura, Olivander mi ha parlato dei nuclei gemelli, mi ha detto di cercarne un'altra. L'ho fatto, ma quando la bacchetta di Lucius ha incrociato quella di Potter, si è spezzata».
   «Io... non so spiegarlo, mio Signore».
   Piton non guardava Voldemort. I suoi occhi scuri erano ancora fissi sul serpente avvolto nella sua bolla protettiva.
    «Ho cercato una terza bacchetta, Severus. La Bacchetta di Sambuco, la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte. L'ho presa al suo precedente proprietario. L'ho presa dalla tomba di Silente».
   Questa volta Piton guardò Voldemort, e il suo viso era come una maschera mortuaria. Era bianco come il marmo e così immobile che quando parlò fu una sorpresa scoprire che c'era qualcuno di vivo dietro quegli occhi vuoti.
   «Mio Signore... lasciatemi andare dal ragazzo...»
   «Per tutta questa lunga notte, vicino ormai alla vittoria, sono rimasto qui» proseguì Voldemort, la voce poco più di un sussurro, «a riflettere, a chiedermi perché la Bacchetta di Sambuco si rifiuta di essere ciò che dovrebbe, di comportarsi come la leggenda dice che deve fare nelle mani del suo legittimo proprietario... e credo di avere la risposta».
   Piton non parlò.
   «Forse la conosci già? Sei un uomo intelligente, dopotutto, Severus. Sei stato un servitore bravo e fedele, e mi dolgo di ciò che deve accadere».
   «Mio Signore...»
   «La Bacchetta di Sambuco non può servirmi in modo adeguato, Severus, perché non sono io il suo vero padrone. La Bacchetta di Sambuco appartiene al mago che ha ucciso il suo ultimo proprietario. Tu hai ucciso Albus Silente. Finché tu vivi, Severus, la Bacchetta di Sambuco non può essere davvero mia».
   «Mio Signore!» protestò Piton, alzando la bacchetta.
   «Non può essere altrimenti» concluse Voldemort. «Devo dominare la Bacchetta, Severus. Se domino la Bacchetta, finalmente dominerò Potter».
   Sferzò l'aria con la Bacchetta di Sambuco. Non accadde nulla a Piton, che per un attimo parve pensare di essere stato risparmiato; ma poi le intenzioni di Voldemort divennero chiare. La sfera del serpente rotolò nell'aria, e prima che Piton potesse far altro che urlare, gli aveva racchiuso testa e spalle, e Voldemort parlò in Serpentese.
   «Uccidi».
   Si levò un grido terribile. Harry vide il volto di Piton perdere quel poco colore che aveva e gli occhi neri dilatarsi. Le zanne del serpente gli perforavano il collo e lui non riusciva a liberarsi dalla gabbia incantata; le ginocchia gli cedettero e cadde a terra.
   «Mi spiace» commentò Voldemort, gelido.
   Si voltò; non c'era tristezza in lui, nessun rimorso. Era tempo di lasciare quella stamberga e prendere in mano la situazione, con una bacchetta che
    ora avrebbe eseguito ogni suo ordine. La puntò verso la gabbia luminosa che teneva il serpente, facendola fluttuare in alto, via da Piton, che cadde disteso su un fianco, con il sangue che gli sgorgava dal collo. Voldemort uscì dalla stanza senza guardarsi indietro e l'enorme serpente lo seguì galleggiando nella sua sfera protettiva.
   Nel tunnel, tornato in sé, Harry aprì gli occhi: si era morso a sangue le nocche per non urlare. Guardò dalla fessura tra la cassa e la parete e vide un piede avvolto in uno stivale nero tremare sul pavimento.
   «Harry!» bisbigliò Hermione, ma lui aveva già puntato la bacchetta contro la cassa che gli bloccava la vista. La cassa si sollevò di un centimetro e si spostò silenziosamente di lato. Più piano che poté, Harry entrò nella stanza.
   Non sapeva perché lo faceva, perché si stava avvicinando a Piton morente: non sapeva che cosa provava quando guardò il suo volto bianco e le dita che cercavano di tamponare la ferita insanguinata nel collo. Harry si tolse il Mantello dell'Invisibilità e guardò l'uomo che odiava: gli occhi neri dilatati si posarono su di lui e Piton cercò di parlare. Harry si chinò. Piton lo afferrò per il bavero e lo tirò a sé.
   Un terribile gorgoglio, un rantolo uscì dalla sua gola.
   «Prendi... Prendi...»
   Qualcosa di diverso dal sangue colava da Piton. Era azzurro-argento, né liquido né gassoso, e usciva dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi; Harry capì che cos'era, ma non sapeva che fare...
   Hermione gli ficcò tra le mani una fiala, apparsa dal nulla. Con la bacchetta, Harry vi spinse dentro la sostanza argentea. Quando la fiala fu piena fino all'orlo, e in Piton sembrava che non ci fosse più sangue, la sua presa sui vestiti di Harry si allentò.
   «Guar...da...mi» sussurrò.
   Gli occhi verdi incontrarono i neri, ma dopo un attimo qualcosa nel profondo di questi ultimi svanì, lasciandoli fissi e vuoti. La mano che stringeva Harry crollò a terra e Piton non si mosse più.
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