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Le fiabe di Beda il Bardo (289 citazioni)
   0) Introduzione (14 citazioni)
   1) IL MAGO E IL PENTOLONE SALTERINO (40 citazioni)
   2) LA FONTE DELLA BUONA SORTE (58 citazioni)
   3) LO STREGONE DAL CUORE PELOSO (42 citazioni)
   4) BABÀ RABA E IL CEPPO GHIGNANTE (61 citazioni)
   5) LA STORIA DEI TRE FRATELLI (32 citazioni)
   6) Conclusione (15 citazioni)
   7) Note (27 citazioni)
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IL MAGO E IL PENTOLONE SALTERINO


   C'era una volta un vecchio mago gentile che adoperava la magia con generosità e saggezza a beneficio dei suoi vicini. Invece di rivelare la vera origine del suo potere, egli fingeva che le pozioni, gli incantesimi e gli antidoti gli sorgessero già bell'e fatti dal piccolo calderone che chiamava la sua pentola fortunata. Nel raggio di miglia, la gente veniva da lui con i propri problemi e il mago era lieto di dare una rimestata alla pentola e aggiustare ogni cosa.
    Il mago, che era molto amato, visse fino a una notevole età, poi morì, lasciando ogni bene all'unico figlio. Costui era di disposizione molto diversa dal suo gentile padre. Coloro che non sapevano praticare la magia erano, nella sua opinione, privi di alcun valore, e più d'una volta egli aveva litigato col padre per via dell'abitudine di quest'ultimo di dispensare soccorso magico ai vicini.
    Alla morte del padre, il figlio trovò nascosto nella vecchia pentola un pacchettino, che recava il suo nome. Lo aprì, sperando che vi fosse dell'oro, ma invece c'era una pantofola morbida e spessa, troppo piccola per indossarla e senza compagna. Un frammento di pergamena all'interno della pantofola diceva: «Con la viva speranza, figlio mio, che tu non ne abbia mai bisogno».
    Il figlio maledisse la mente rammollita del padre, poi gettò la pantofola nel calderone, deciso a usarlo d'ora in avanti come cestino per la spazzatura.
    Quella stessa notte una contadina bussò alla porta.
    «Mia figlia si è riempita di verruche, signore» disse. «Vostro padre le mischiava uno speciale impiastro in quel vecchio pentolone...»
    «Vattene!» gridò il figlio. «Che m'importa delle verruche della tua mocciosa?»
    E sbatté la porta in faccia alla vecchia.
    Immediatamente si udì un fracasso venire dalla cucina. Il mago accese la bacchetta e aprì la porta; con sommo stupore, vide la pentola del padre: le era spuntato un unico piede di ottone e saltellava sul posto, in mezzo alla stanza, producendo uno spaventevole baccano sulle pietre del pavimento. Il mago le si avvicinò meravigliato, ma fece un balzo all'indietro quando vide che l'intera superficie della pentola era coperta di verruche.
    «Oggetto disgustoso!» urlò, e cercò prima di far Evanescere la pentola, poi di pulirla magicamente, infine di gettarla fuori di casa. Ma nessuno dei suoi incantesimi funzionò ed egli non poté impedire alla pentola di seguirlo saltellando fuori dalla cucina e fino a letto, salendo fragorosamente i gradini di legno della scala.
    Il mago non riuscì a dormire tutta la notte per il rumore della vecchia pentola verrucosa accanto al letto, e la mattina dopo quella riprese a saltellare dietro di lui fino al tavolo della colazione. Clang, clang, clang, faceva la pentola col piede di ottone, e il mago non aveva neanche assaggiato il porridge quando si udì bussare di nuovo alla porta.
    Sulla soglia c'era un vecchio.
    «È la mia vecchia asina, signore» spiegò. «S'è persa, o ce l'hanno rubata, e senza di lei non posso portare la roba al mercato e stasera la mia famiglia avrà fame».
    «E io ho fame adesso!» ruggì il mago, e sbatté la porta in faccia al vecchio.
    Clang, clang, clang, faceva il piede d'ottone della pentola sul pavimento, ma ora al suo chiasso s'erano aggiunti i ragli di un asino e i lamenti di esseri umani affamati, che echeggiavano nelle profondità della pentola.
    «Basta. Stai zitto!» strillò il mago, ma tutti i suoi poteri non servirono a far tacere il pentolone verrucoso, che gli saltellò dietro per tutto il giorno, ragliando e gemendo e sfracassando, dovunque egli andasse e qualsiasi cosa egli facesse.
    Quella sera bussarono per la terza volta alla porta, e sulla soglia c'era una ragazza che singhiozzava come se le si stesse spezzando il cuore.
    «Mio figlio è malato grave» disse. «Per piacere, aiutateci. Vostro padre mi ha raccomandato di venire se avevamo...»
    Ma il mago le sbatté la porta in faccia.
    Allora l'insopportabile pentola si riempì fino all'orlo di acqua salata e sparse lacrime per il pavimento, senza perciò smettere di saltellare, ragliare, gemere e produrre nuove verruche.
    Anche se per il resto della settimana non vennero altri abitanti del villaggio alla casa del mago, la pentola lo teneva informato delle loro molte sventure. Nel volgere di pochi giorni, non si trattava più solo di ragli e gemiti e lacrime e saltelli e verruche, ma anche di asfissie e vomiti e pianti di bambino, di uggiolii di cane, di rigurgiti di formaggio andato a male e latte inacidito e di un'invasione di lumache voraci.
    Il mago non poteva dormire né mangiare con la pentola accanto, ma quella non ne voleva sapere di andarsene ed egli non aveva modo di farla tacere né di indurla a fermarsi.
    Alla fine, il mago non resse più.
    «Portatemi tutti i vostri problemi, tutti i vostri guai e le vostre disgrazie!» urlò, correndo nella notte con la pentola che gli saltellava dietro lungo la strada per il villaggio. «Venite! Lasciate che io vi curi, vi sistemi e vi consoli! Ho la pentola di mio padre e vi guarirò!»
    E con l'abominevole pentola sempre alle calcagna, corse per la strada e gettò incantesimi in ogni direzione.
    In una casa le verruche della bambina svanirono nel sonno; l'asina perduta fu recuperata con un Incantesimo di Appello da un lontano roveto e atterrò dolcemente nella propria stalla; il bambino malato fu cosparso di dittamo e si svegliò, sano e roseo. In ogni casa colpita dalla malattia e dal dolore, il mago fece del suo meglio e gradualmente la pentola che aveva accanto smise di gemere e vomitare e tornò calma, lucente e pulita.
    «Allora, Pentolone?» chiese il mago tremante, al sorgere del sole.
    La pentola fece un ruttino, col quale rigurgitò la pantofola che il mago le aveva gettato dentro, e gli permise di infilargliela al piede di ottone. Insieme, tornarono verso la casa del mago, il passo della pentola finalmente attutito. Da quel giorno, il mago aiutò gli abitanti del villaggio così come aveva fatto suo padre, per evitare che la pentola scalciasse via la pantofola e ricominciasse a saltellare.
    Il commento di Albus Silente su
Il Mago e il Pentolone Salterino

    Un vecchio mago gentile decide di insegnare al figlio senza cuore una lezione, facendogli assaggiare l'infelicità dei Babbani locali. La coscienza del giovane mago si risveglia ed egli accetta di mettere la propria magia al servizio dei vicini non maghi. Una fiaba semplice e confortante, si potrebbe pensare: nel qual caso si farebbe la figura di ingenui citrulli. Una storia pro-Babbana che mostra la superiorità nelle arti magiche di un padre filo-Babbano rispetto al figlio anti-Babbano? È a dir poco sorprendente che anche solo una copia della versione originale sia sopravvissuta alle fiamme, cui tanto spesso simili storie erano destinate.
    Non si può dire che Beda fosse al passo con i suoi tempi nel predicare amore fraterno verso i Babbani. All'inizio del quindicesimo secolo la persecuzione di streghe e maghi si stava diffondendo per tutta Europa. Molti rappresentanti della comunità magica ritenevano, e a ragione, che praticare un sortilegio sul maiale ammalato del vicino Babbano equivalesse a raccogliere la legna della propria pira.[1] «Che i Babbani se la cavino senza di noi!» fu il motto che accompagnò il progressivo allontanamento dei maghi dai fratelli Babbani, tendenza culminata con l'istituzione dello Statuto Internazionale della Segretezza Magica del 1689, allorché i maghi decisero di entrare volontariamente in clandestinità.
    Il grottesco Pentolone Salterino, tuttavia, aveva fatto presa sull'immaginazione dei bambini. La soluzione fu di sbarazzarsi della morale pro-Babbana e tenere il calderone con le sue verruche, perciò verso la metà del sedicesimo secolo tra le famiglie magiche circolava una variante della favola. Nella nuova versione, il Pentolone Salterino protegge un mago innocente dai vicini armati di torce e forconi, catturandoli e inghiottendoli. Alla fine della storia, quando ormai il Pentolone ha consumato la maggioranza dei vicini, il mago ottiene dai paesani che rimangono la promessa che sarà lasciato a praticare la magia in pace. In cambio, ordina al Pentolone di restituire le vittime, che vengono diligentemente rigurgitate, leggermente acciaccate. Ancora oggi, alcuni genitori maghi (generalmente anti-Babbani) raccontano questa seconda versione ai propri figli i quali, se mai leggono l'originale, ne rimangono assai stupiti.
    Come ho accennato, tuttavia, il suo spirito pro-Babbano non fu l'unica ragione di risentimento verso Il Mago e il Pentolone Salterino. Con la crescente ferocia della caccia alle streghe, le famiglie magiche cominciarono a condurre doppie vite, usando incantesimi di dissimulazione per proteggersi. Nel diciassettesimo secolo qualsiasi mago che fraternizzasse con Babbani era sospetto, se non addirittura emarginato dalla propria comunità. Tra i molti insulti rivolti ai maghi filo-Babbani (alcuni coloriti epiteti, quali 'Sguazzafango', 'Leccacacca' e 'Ciucciafeccia' risalgono a questo periodo), c'era l'accusa di possedere poteri magici deboli o inferiori.
    Alcuni maghi influenti dell'epoca, come Brutus Malfoy, direttore di Stregoneria in guerra, un periodico anti-Babbano, perpetuarono il luogo comune che un filo-Babbano avesse più o meno gli stessi poteri di un Magonò.[2] Nel 1675, Brutus scrisse:
    Di questo possiamo star certi: che qualsivoglia mago dimostri gradimento della società dei Babbani sia di modesto intelletto, di magia tanto fiacca e meschina ch'egli può sentirsi superiore soltanto se si circonda d'ignobili Babbani.
Nulla è più sicuro segno di debole magia che una predilezione per la compagnia non magica.

    Nel corso del tempo questo pregiudizio venne meno, a fronte della prova schiacciante che alcuni dei migliori maghi del mondo[3] erano, come si suol dire, filo-Babbani.
    L'ultima obiezione al Mago e il Pentolone Salterino resta ancora oggi viva in certi ambienti e trova probabilmente la sua massima espressione in Beatrix Bloxam (1794-1910), autrice delle nefande Fiabe del funghetto. La Bloxam riteneva che Le Fiabe di Beda il Bardo fossero diseducative per quella che lei chiamava «l'insana ossessione per i più orridi argomenti, quali la morte, la malattia, lo spargimento di sangue, la magia nera, i personaggi immorali e le deiezioni ed eruzioni corporee del peggior tipo». La Bloxam riscrisse svariate storie, tra cui alcune di Beda, secondo i propri ideali, e cioè «onde riempire le menti pure dei nostri angioletti di pensieri sani e lieti, preservare il loro dolce riposo dai brutti sogni e proteggere il prezioso fiore della loro innocenza».
    Così recita l'ultimo paragrafo del Mago e il Pentolone Salterino nella versione di Beatrix Bloxam:
    E allora la piccola pentolina d'oro danzò per la gioia - hoppitti, hoppiti, hop! - sui piedini di rosa! Gigetta Cosetta aveva curato tutte le bambole dal male al pancino, e la pentolina era così felice che si colmò di dolcetti per Gigetta Cosetta e le sue bamboline!
«Ma mi raccomando di lavarti i dentini!» gridò la pentola.
E Gigetta Cosetta baciò e abbracciò la pentolina saltellosa e promise di aiutare sempre le bambole e di non fare mai più la vecchia cicciosa lagnosa.

    La storia di Beatrix Bloxam ha sempre ottenuto la stessa reazione da generazioni di bambini magici: irrefrenabili conati di vomito, seguiti dall'immediata richiesta di portar via il libro e ridurlo in poltiglia.
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