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Le fiabe di Beda il Bardo (289 citazioni)
   0) Introduzione (14 citazioni)
   1) IL MAGO E IL PENTOLONE SALTERINO (40 citazioni)
   2) LA FONTE DELLA BUONA SORTE (58 citazioni)
   3) LO STREGONE DAL CUORE PELOSO (42 citazioni)
   4) BABÀ RABA E IL CEPPO GHIGNANTE (61 citazioni)
   5) LA STORIA DEI TRE FRATELLI (32 citazioni)
   6) Conclusione (15 citazioni)
   7) Note (27 citazioni)
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BABÀ RABA E IL CEPPO GHIGNANTE


   Molto tempo fa, in un lontano paese, c'era un re stolto che voleva essere l'unico a possedere il potere della magia.
    A tale scopo ordinò al capo del suo esercito di formare una Brigata di Cacciatori di Streghe e li dotò di un branco di feroci cani neri. Contemporaneamente, il Re fece proclamare in ogni città e villaggio del regno il seguente editto: «Il Re richiede un Istruttore di Magia».
    Nessun vero mago osò presentarsi volontario, poiché si erano dati tutti alla clandestinità per sfuggire alla Brigata di Cacciatori di Streghe.
    Ma un astuto ciarlatano privo di qualsivoglia potere magico vide un'occasione per arricchirsi e arrivò a palazzo vantandosi di essere un mago di prodigiosa abilità. Il ciarlatano eseguì qualche semplice trucco, col quale convinse il Re dei suoi poteri magici, e fu immediatamente nominato Gran Fattucchiere Capo, nonché Reale Istruttore Privato di Magia.
    Il ciarlatano chiese al Re un enorme sacco d'oro, onde procurarsi bacchette e altri generi di necessità magici. Domandò inoltre svariati grossi rubini, per preparare incantesimi curativi, e un paio di calici d'argento, per la conservazione e la fermentazione delle pozioni. Lo stolto Re gli fornì tutto quanto.
    Il ciarlatano nascose il tesoro in casa propria e tornò a palazzo.
    Non sapeva di essere osservato da una vecchietta che viveva in una baracca ai margini dei giardini della reggia. Si chiamava Baba ed era la lavandaia che si occupava di mantenere le lenzuola del palazzo morbide, profumate e candide. Da dietro le lenzuola stese ad asciugare, Baba vide il ciarlatano strappare due rametti da uno degli alberi del Re e poi sparire dentro il palazzo.
    Il ciarlatano diede uno dei due rametti al Re e lo assicurò che si trattava di una bacchetta di immenso potere.
    «Ma potrà funzionare» aggiunse, «solo quando voi ne sarete degno».
    Ogni mattina il ciarlatano e il Re stolto passeggiavano per i giardini della reggia, dove agitavano le bacchette e urlavano al vento parole prive di senso. Il ciarlatano badava a eseguire qualche altro trucco, di modo che il Re restasse convinto dell'abilità del suo Fattucchiere Capo e del potere della bacchetta che gli era costata tanto oro.
    Una mattina, il ciarlatano e il Re stolto stavano agitando i loro rametti, saltellando in cerchio e cantando rime insensate, quando una fragorosa risata raggiunse le orecchie del Re. Baba la lavandaia li stava guardando dalla finestra della sua baracca, e rideva così forte che presto non ebbe più la forza di reggersi in piedi e sparì alla vista.
    «Devo essere molto ridicolo, se una vecchia lavandaia ride tanto a vedermi!» disse il Re. Smise di saltellare e agitare il rametto e aggrottò la fronte. «Sono stanco di tutti questi esercizi! Quando sarò pronto a eseguire veri incantesimi di fronte ai miei sudditi, Fattucchiere?»
    Il ciarlatano cercò di consolare l'allievo, promettendogli che presto sarebbe stato capace di compiere stupefacenti imprese di magia, ma la risata di Baba aveva punto l'orgoglio del Re stolto più di quanto il ciarlatano immaginasse.
    «Domani» disse il Re, «inviteremo la corte ad ammirare il suo Re nell'esecuzione di magie!»
    Il ciarlatano capi che era giunto il momento di prendere il tesoro e darsela a gambe.
    «Ahimè, Vostra Maestà, ciò è impossibile! Ho scordato di avvertire la Vostra Signoria che domani devo intraprendere un lungo viaggio...»
    «Se lasci la reggia senza il mio permesso, Fattucchiere, la mia Brigata di Cacciatori di Streghe ti scaglierà contro i suoi cani! Domani mattina mi assisterai nell'esecuzione di magie davanti ai signori e alle signore della mia corte, e se qualcuno riderà di me, sarai decapitato!»
    Il Re tornò dentro il palazzo, lasciando il ciarlatano solo e spaventato. Tutta la sua astuzia non sarebbe bastata a salvarlo, adesso, perché non poteva fuggire né aiutare il Re a eseguire magie che nessuno dei due conosceva.
    Cercando uno sfogo alla sua paura e alla sua rabbia, il ciarlatano si avvicinò alla finestra di Baba la lavandaia. Guardò dentro e vide la vecchietta seduta a un tavolo, intenta a pulire una bacchetta. In un angolo dietro di lei, le lenzuola del Re si stavano lavando da sole in un catino di legno.
    Il ciarlatano comprese immediatamente che Baba era una vera strega e che, dato che era stata causa del suo terribile problema, poteva anche risolverlo.
    «Vecchia!» ruggì il ciarlatano. «La tua risata mi è costata cara! Se rifiuti di aiutarmi, ti denuncerò come strega, e sarai tu a essere dilaniata dai cani del Re!»
    La vecchia Baba sorrise al ciarlatano e gli promise che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per aiutarlo.
    Il ciarlatano le diede istruzione di nascondersi in un cespuglio durante l'esibizione del Re e di eseguire a sua insaputa gli incantesimi che il Re avrebbe tentato. Baba si disse d'accordo, ma fece una domanda.
    «Cosa farò, mio signore, se il Re vorrà eseguire un incantesimo che Baba non conosce?»
    Il ciarlatano fece spallucce.
    «La tua magia è senz'altro superiore all'immaginazione di quello stolto» rispose, e tornò al castello molto compiaciuto della propria intelligenza.
    Il mattino seguente tutti i nobili del regno si erano radunati nei giardini del palazzo. Il Re salì su un palco davanti a loro, affiancato dal ciarlatano.
    «Per prima cosa, farò sparire il cappello di questa dama!» annunciò il Re, puntando il rametto verso una nobildonna.
    Da dietro il cespuglio, Baba puntò la bacchetta verso il cappello e lo fece sparire. Grandi furono lo stupore e l'ammirazione della folla, e sonoro l'applauso che tributò al Re esultante.
    «Adesso, farò volare quel cavallo!» gridò il Re, puntando il rametto verso la propria cavalcatura.
    Da dietro il cespuglio, Baba puntò la bacchetta verso il cavallo e lo fece salire in alto nel cielo.
    La folla era ancora più fremente e attonita, e ruggì il proprio apprezzamento per la magia del suo Re.
    «E ora...» disse il Re, guardandosi attorno alla ricerca di un'idea; e il Capitano della sua Brigata di Cacciatori di Streghe si fece avanti.
    «Vostra Maestà» disse il Capitano, «questa stessa mattina, Sciabola è morto per aver mangiato un fungo velenoso! Riportatelo in vita, Vostra Maestà, con la vostra bacchetta!»
    E il Capitano issò sul palco il corpo senza vita del più grande dei cani cacciatori di streghe.
    Lo stolto Re levò il rametto e lo puntò verso il cane morto. Ma dietro al cespuglio Baba sorrise e non si prese nemmeno la briga di alzare la bacchetta, poiché nessuna magia può resuscitare i morti.
    Quando il cane non si mosse, la folla cominciò prima a mormorare, poi a ridere. Sospettavano che i primi due incantesimi del Re fossero solo dei trucchi.
    «Perché non funziona?» urlò il Re al ciarlatano, che ricorse all'unico espediente che gli restava.
    «Guardate, Maestà, guardate!» gridò, indicando il cespuglio dietro al quale si nascondeva Baba. «La vedo benissimo, una strega malvagia che blocca la vostra magia con i suoi perversi incantesimi! Prendetela, qualcuno la prenda!»
    Baba fuggì, e la Brigata di Cacciatori di Streghe si gettò al suo inseguimento, sciogliendo i cani che latravano assetati del sangue di Baba. Ma, raggiunta una bassa siepe, la piccola strega sparì alla vista e quando il Re, il ciarlatano e tutti i cortigiani furono dall'altro lato della siepe, videro che la muta dei cani stava abbaiando e raspando attorno a un albero vecchio e ricurvo.
    «Si è trasformata in un albero!» esclamò il ciarlatano e, temendo che Baba si mutasse di nuovo in donna e lo denunciasse, aggiunse: «Abbattetela, Vostra Maestà, così si trattano le streghe malvagie!»
    Fu immediatamente portata un'ascia e il vecchio albero venne abbattuto tra l'esultanza dei cortigiani e del ciarlatano.
    Ma quando fecero per tornare al palazzo, il suono di una risata li arrestò.
    «Sciocchi!» gridò la voce di Baba dal ceppo che si erano lasciati alle spalle.
    «Non si possono uccidere le streghe né i maghi tagliandoli a metà! Prendete l'ascia, se non mi credete, e tagliate in due il Gran Fattucchiere!»
    Il Capitano della Brigata di Cacciatori di Streghe non vedeva l'ora di fare l'esperimento, ma quando levò l'ascia il ciarlatano cadde in ginocchio, chiedendo pietà e confessando tutte le sue malefatte. Mentre lo portavano verso le segrete, il ceppo dell'albero sghignazzò più forte che mai.
    «Tagliando una strega a metà, avete scatenato una spaventosa maledizione sul vostro regno!» disse al Re, terrorizzato. «D'ora in poi, ogni capello che torcerete ai miei colleghi maghi e streghe ricadrà come un colpo d'ascia sulle vostre reni, finché non desidererete d'esser morto!»
    A questo anche il Re cadde in ginocchio e promise al ceppo che avrebbe immediatamente proclamato un editto per proteggere le streghe e i maghi del regno e avrebbe loro consentito di praticare la magia.
    «Molto bene» disse il ceppo, «ma non avete ancora fatto ammenda con Baba!»
    «Tutto, tutto quel che vorrai!» esclamò il Re stolto, torcendosi le mani davanti al ceppo.
    «Erigerete un monumento a Baba sopra a questo ceppo, in memoria sempiterna di una povera lavandaia e della vostra stoltezza!» dichiarò il ceppo.
    Il Re promise immediatamente di ingaggiare il più famoso scultore del regno e di commissionargli una statua d'oro puro. Poi il Re svergognato e tutti i nobili tornarono al palazzo, lasciando il ceppo a sghignazzare.
    Quando i giardini furono deserti, da un buco tra le radici del ceppo uscì un vecchio coniglio robusto e baffuto, che stringeva una bacchetta tra i denti. Baba Raba saltellò fuori dai giardini e andò molto lontano, la statua d'oro della lavandaia sorse sul ceppo d'albero e da allora in quel regno mai più una strega o un mago furono perseguitati.
    Il commento di Albus Silente su
Baba Raba e il Ceppo Ghignante

    La storia di Baba Raba e il Ceppo Ghignante è, per molti versi, la più 'realistica' delle fiabe di Beda, nel senso che la magia descritta risponde, quasi in tutto, alle leggi magiche conosciute.
    È attraverso questa storia che molti di noi hanno scoperto per la prima volta che la magia non può resuscitare i morti. È stata una grande delusione e una grande sorpresa, perché da bambini credevamo che i nostri genitori fossero in grado di riportare in vita i nostri topini o gattini morti con un semplice cenno della bacchetta. Benché circa sei secoli siano trascorsi da quando Beda scrisse questa storia, e nonostante abbiamo trovato innumerevoli modi per mantenere un'illusione della presenza dei nostri cari,[13] nessun mago è mai riuscito a riunire corpo e anima dopo che la morte è avvenuta. Come scrive l'eminente filosofo mago Bertrand de Pensées-Profondes nel suo famoso trattato Uno studio delle possibilità di invertire gli effetti contingenti e metafisici della morte naturale, con particolare riguardo alla reintegrazione di essenza e materia: «Lasciate perdere. Non succederà mai».
    La fiaba di Baba Raba, inoltre, ci offre una delle prime apparizioni letterarie di un Animagus, poiché Baba la lavandaia possiede la rara abilità magica di trasformarsi in animale a proprio piacimento.
    Gli Animagi costituiscono una minima percentuale della popolazione magica. Arrivare a una perfetta e spontanea trasformazione da umano in animale e viceversa richiede molto studio e molto esercizio, e molti maghi ritengono che il loro tempo possa essere meglio impiegato in altri ambiti. Certamente, le applicazioni di un simile talento sono limitate, a meno che si abbia un gran bisogno di travestirsi o nascondersi. È per questo motivo che il Ministero della Magia ha voluto istituire un registro degli Animagi, poiché non ci sono dubbi che questo tipo di magia sia di grande utilità soprattutto a chi operi in attività clandestine, segrete o addirittura criminali.[14]
    Che sia esistita una lavandaia capace di trasformarsi in un coniglio è dubbio; tuttavia, alcuni storici della magia hanno avanzato l'ipotesi che Beda si sia ispirato alla famosa fattucchiera francese Lisette de Lapin, condannata per stregoneria a Parigi nel 1422. Con grande meraviglia dei suoi carcerieri Babbani, che furono accusati di averla aiutata a scappare, Lisette sparì dalla propria cella la notte prima dell'esecuzione. Non è mai stato provato che Lisette fosse un Animagus e che sia riuscita a passare attraverso le sbarre della finestra della cella, ma poco tempo dopo un grosso coniglio bianco fu visto attraversare la Manica a bordo di un calderone sul quale era issata una vela, e in seguito un simile coniglio divenne un fidato consigliere alla corte di Enrico VI.[15]
    Il re della storia di Beda è uno stolto Babbano che al tempo stesso brama e teme la magia. Pensa di poter diventare un mago semplicemente imparando formule e agitando una bacchetta.[16] Ignora del tutto la vera natura della magia e dei maghi, perciò crede agli assurdi suggerimenti sia del ciarlatano che di Baba. È infatti tipico di un certo pensiero Babbano accettare, per ignoranza, ogni genere di cose impossibili sulla magia, tra cui l'idea che Baba si sia tramutata in un albero e possa ancora pensare e parlare. (Val la pena notare a questo punto, però, che Beda da un canto usa l'espediente dell'albero parlante per mostrarci quanto sia ignorante il re Babbano, dall'altro ci chiede di credere che Baba possa parlare dopo essersi trasformata in coniglio. Potrebbe trattarsi di una licenza poetica, ma io ritengo più probabile che Beda abbia solo sentito parlare degli Animagi e non ne abbia mai conosciuto uno, perché questa è l'unica incongruenza della fiaba con le leggi della magia. Gli Animagi non conservano l'abilità umana della parola nella loro forma animale, anche se conservano il pensiero e le capacità di ragionamento degli umani. Questa, come sa qualsiasi scolaretto, è la differenza fondamentale tra un Animagus e chi si Trasfigura in un animale. Quest'ultimo diventa in tutto e per tutto un animale, con la conseguenza di non sapere niente di magia e nemmeno di essere mai stato un mago, e di aver bisogno pertanto di qualcuno che lo ri-Trasfiguri nella sua forma originale).
    Ritengo invece possibile che nel far fingere alla propria eroina di trasformarsi in un albero e nella sua minaccia al Re di un dolore simile a un colpo d'ascia nelle reni, Beda si sia ispirato a vere tradizioni e pratiche magiche. Gli alberi da bacchetta sono sempre stati ferocemente protetti dai fabbricanti che li hanno in cura, e chi abbatta simili alberi per rubarli rischia non solo la ritorsione degli Asticelli[17] che vi fanno abitualmente il nido, ma anche gli effetti degli incantesimi protettivi imposti dai loro proprietari. All'epoca di Beda, la Maledizione Cruciatus[18] non era ancora stata dichiarata illegale dal Ministero della Magia e poteva produrre esattamente la sensazione di cui Baba minaccia il Re.
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