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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Il racconto di Hagrid


   Harry si precipitò a prendere il Mantello dell’Invisibilità e la Mappa del Malandrino dal suo baule; fece così in fretta che lui e Ron erano pronti almeno cinque minuti prima che Hermione scendesse di corsa dal suo dormitorio con guanti, sciarpa e uno dei suoi bitorzoluti berretti da elfo in testa.
    «Ehi, fa freddo fuori!» protestò, sulla difensiva, mentre Ron faceva schioccare impaziente la lingua.
    Sgattaiolarono attraverso il ritratto e si strinsero in fretta sotto il Mantello (Ron era cresciuto tanto che dovette chinarsi per non lasciar fuori i piedi) e poi, senza far rumore e con cautela, scesero le molte rampe di scale, fermandosi di tanto in tanto per controllare sulla mappa la presenza di Gazza e di Mrs Purr. Ebbero fortuna: non videro nessuno a parte Nick-Quasi-Senza-Testa, che fluttuava distratto canticchiando qualcosa che somigliava orribilmente a Perché Weasley è il nostro re. Attraversarono furtivi la Sala d’Ingresso e si ritrovarono sui prati coperti di neve. Con un gran tuffo al cuore, Harry vide piccoli quadrati di luce dorata, e una spirale di fumo che saliva dal comignolo di Hagrid. Prese a camminare a passo svelto, con gli altri due che inciampavano e si urtavano alle sue spalle. Marciarono spediti nella neve alta finché non raggiunsero la porta di legno. Quando Harry alzò il pugno e bussò tre volte, dentro un cane cominciò ad abbaiare freneticamente.
    «Hagrid, siamo noi!» disse Harry nel buco della serratura.
    «Lo sapevo!» rispose una voce burbera.
    I tre si guardarono raggianti sotto il Mantello; dal tono di Hagrid si capiva che era contento. «Sono qua da tre secondi… levati, Thor… levati, morto di sonno d’un cane…»
    Il paletto venne sollevato, la porta si aprì cigolando e la testa di Hagrid apparve nello spiraglio.
    Hermìone urlò.
    «Per la barba di Merlino, parla piano!» la sgridò Hagrid, con un’occhiata fulminante sopra le loro teste. «Ci avete il Mantello, eh? Venite dentro!»
    «Scusa!» disse Hermione, una volta entrati in casa e usciti da sotto il Mantello per farsi vedere. «Io… oh, Hagrid!»
    «Non è niente, niente!» tagliò corto Hagrid, chiudendo la porta alle loro spalle e affrettandosi a tirare tutte le tende; ma Hermione continuò a fissarlo scioccata.
    I capelli di Hagrid erano incrostati di sangue rappreso e l’occhio sinistro era ridotto a una fessura gonfia in una massa di lividi violacei e neri. Aveva tagli sul viso e sulle mani, alcuni ancora sanguinanti, e si muoveva con cautela, il che fece pensare a Harry che potesse avere delle costole rotte. Era evidente che era appena arrivato a casa; un pesante mantello da viaggio nero era buttato sulla spalliera di una sedia, e uno zaino, grande abbastanza da contenere diversi bambini, era appoggiato contro la parete accanto alla porta. Hagrid, che era due volte un uomo normale, zoppicò verso il fuoco e vi appese sopra un bollitore di rame.
    «Che cosa ti è successo?» chiese Harry, mentre Thor saltava e cercava di leccare la faccia a tutti e tre.
    «T’ho detto, niente» rispose Hagrid con fermezza. «Lo volete un tè?»
    «Dài, smettila» disse Ron, «sei in uno stato pietoso!»
    «Vi dico che sto bene» insisté Hagrid. Si raddrizzò e si voltò con un gran sorriso e insieme una smorfia di dolore. «Che mi venga un colpo, sono contento di vedervi… com’è andata “st’estate”?»
    «Hagrid, tu sei stato aggredito!» esclamò Ron.
    «Per l’ultima volta, no!» disse con decisione Hagrid.
    «Diresti che non è niente se uno di noi si presentasse qui con mezzo chilo di carne tritata al posto della faccia?» chiese Ron.
    «Dovresti andare da Madama Chips, Hagrid» disse Hermione preoccupata, «alcune di quelle ferite sono proprio brutte».
    «Ci penso io, va bene?» replicò Hagrid in tono autoritario.
    Raggiunse l’enorme tavolo di legno al centro della capanna e tolse lo strofinaccio che vi era disteso. Sotto c’era una bistecca cruda, sanguinolenta e verde, un po’ più grande di una gomma d’automobile.
    «Non hai intenzione di mangiarla, vero, Hagrid?» chiese Ron, chinandosi a guardarla meglio. «Sembra velenosa».
    «Per forza, è carne di drago» disse Hagrid. «Ma non l’ho mica presa per mangiare».
    Afferrò la bistecca e se la schiaffò sul lato sinistro della faccia. Sangue verdastro gli sgocciolò sulla barba mentre lui emetteva un piccolo gemito di sollievo.
    «Così va meglio. Fa bene per il bruciore, sapete».
    «Allora, ci dici che cosa ti è successo?» domandò Harry.
    «Non posso, Harry. Top secret. Non ci va di mezzo solo il lavoro mio, se te lo dico».
    «Sono stati i giganti a picchiarti, Hagrid?» sussurrò Hermione.
    La bistecca di drago sfuggì dalle dita di Hagrid e gli scivolò sul petto con un suono umidiccio.
    «Giganti?» sbottò Hagrid, afferrando la carne prima che raggiungesse la cintura e schiaffandosela di nuovo sulla faccia. «E chi ha parlato di giganti? Chi ve l’ha detto? Chi vi ha detto cosa ho… chi vi ha detto dove, eh?»
    «Abbiamo indovinato» si scusò Hermione.
    «Ah, sì?» fece Hagrid, guardandola severamente con l’occhio libero dalla bistecca.
    «Be’, ecco, era… ovvio» disse Ron. Harry annuì.
    Hagrid li guardò storto, poi grugnì, gettò la bistecca sul tavolo e andò a prendere il bollitore che ormai fischiava.
    «Mai conosciuto dei ragazzini come voi tre, sapete sempre più cose che dovete» borbottò, versando acqua bollente in tre delle sue tazze a forma di secchio. «E non è un complimento. Ficcanaso, si dice. Impiccioni».
    Ma la sua barba tremò.
    «Allora, sei stato a cercare i giganti?» chiese Harry con un sorriso, sedendosi.
    Hagrid mise il tè davanti a loro, riprese la bistecca e se la posò di nuovo sulla faccia.
    «Sì, va bene» grugnì. «Ci sono stato».
    «E li hai trovati?» sussurrò Hermione.
    «Be’, mica sono difficili da trovare, a essere onesti» disse Hagrid. «Son belli grossi, sapete».
    «E dove sono?» chiese Ron.
    «Sulle montagne» disse vago Hagrid.
    «E perché i Babbani non…?»
    «Invece sì» disse cupo Hagrid. «È che si dice sempre che sono morti in qualche incidente di montagna, quelli».
    Sistemò la bistecca in modo che coprisse i lividi peggiori.
    «Avanti, Hagrid, raccontaci che cos’hai fatto!» lo supplicò Ron. «Tu ci dici come sei stato aggredito dai giganti e Harry ti racconta dell’attacco dei Dissennatori…»
    Hagrid si strozzò con il tè e contemporaneamente lasciò la bistecca; una gran quantità di saliva, tè e sangue di drago si sparse sul tavolo mentre Hagrid tossiva e sputacchiava, e la bistecca si spiaccicava a terra.
    «Come sarebbe, un attacco dei Dissennatori?» ruggì.
    «Non lo sapevi?» domandò Hermione, con gli occhi sgranati.
    «Io non so niente da quando sono partito. Ero in missione segreta, io, mica volevo che i gufi mi venivano dietro… Dissennatori maledetti! Ma dici sul serio?»
    «Sì. Sono apparsi a Little Whinging e hanno attaccato me e mio cugino, e allora il Ministero della Magia mi ha espulso…»
    «COSA?»
    «…e sono dovuto andare a un’udienza. Ma prima racconta dei giganti».
    «Ti hanno espulso?»
    «Raccontaci la tua estate e io ti racconto la mia».
    Hagrid lo guardò torvo con l’unico occhio aperto. Harry gli restituì uno sguardo di innocente determinazione.
    «Oh, va be’» disse Hagrid rassegnato.
    Si chinò e strappò la bistecca di bocca a Thor.
    «Oh, Hagrid, non farlo, non è igie…» cominciò Hermione, ma Hagrid si era già rimesso la bistecca sull’occhio gonfio.
    Bevve un’altra corroborante sorsata di tè e poi disse: «Allora, siamo partiti alla fine delle lezioni…»
    «Quindi Madame Maxime è venuta con te?» intervenne Hermione.
    «Proprio così» disse Hagrid, e un’espressione raddolcita apparve sui pochi centimetri di faccia non oscurati dalla barba o dalla bistecca verde. «Sì, solo noi due. E vi dico una cosa, non ha paura della vita selvaggia, Olympe. Certo, è una bella donna, elegante, e sapendo dov’è che stavamo andando mi chiedevo: chissà se le va di arrampicarsi sui macigni e dormire nelle caverne, ma non si è lamentata una volta che è una».
    «Sapevate dove stavate andando?» chiese Harry. «Sapevate dove trovare i giganti?»
    «Be’, Silente lo sapeva e ce l’ha detto a noi» disse Hagrid.
    «Sono nascosti?» domandò Ron. «È un segreto?»
    «Non proprio» rispose Hagrid, scuotendo la testa arruffata. «È solo che ai maghi non ce ne importa niente di dove sono, basta che stanno molto, molto lontano. Ma è difficile arrivare dove sono, per gli umani, perciò ci servivano le istruzioni di Silente. Ci abbiamo messo quasi un mese…»
    «Un mese?» disse Ron, come se non avesse mai sentito parlare di un viaggio così assurdamente lungo. «Ma… perché non avete preso una Passaporta o qualcosa del genere?»
    Comparve una strana espressione nell’occhio scoperto di Hagrid mentre guardava Ron: quasi compassionevole.
    «Siamo sorvegliati, Ron» rispose in tono burbero.
    «Cosa vuoi dire?»
    «Non capisci» disse Hagrid. «Il Ministero tiene d’occhio Silente e tutti quelli che secondo loro sono con lui, e…»
    «Questo lo sappiamo» si affrettò a interromperlo Harry, che voleva sentire il resto della storia, «sappiamo che il Ministero sorveglia Silente…»
    «E quindi non avete potuto usare la magia?» domandò Ron, sbalordito. «Avete dovuto comportarvi da Babbani per tutto il viaggio?»
    «Non proprio tutto» ammise riluttante Hagrid. «Dovevamo solo stare un po’ attenti, perché a me e a Olympe un po’ ci si nota…»
    Ron fece un suono soffocato, tra una risata e uno sbuffo, e bevve precipitosamente un sorso di tè.
    «…insomma, non è che siamo tanto difficili da seguire. Abbiamo fatto finta di andare in vacanza insieme, così siamo entrati in Francia e abbiamo fatto come per andare alla scuola di Olympe, perché lo sapevamo, eh, che quelli del Ministero ci stavano dietro. Dovevamo andare piano, perché io non dovrei usare la magia e il Ministero voleva solo una scusa per saltarci addosso. Ma siamo riusciti a seminare quello scemo che ci pedinava dalle parti di Dii-john…»
    «Oooh, Digione?» intervenne Hermione eccitata. «Ci sono stata in vacanza! Avete visitato…?»
    Ma a un’occhiata di Ron ammutolì.
    «Dopo abbiamo fatto un po’ di magia e non è stato un brutto viaggio. Abbiamo beccato un paio di troll matti al confine polacco e ho avuto una piccola discussione con un vampiro in un pub di Minsk, ma a parte quello, è andata di velluto.
    «E poi siamo arrivati e abbiamo cominciato a camminare su per le montagne, a cercare tracce di quelli là…
    «Una volta nelle vicinanze, basta con la magia. Un po’ perché a loro non ci piacciono i maghi e non volevamo farci saltare la mosca al naso troppo presto, un po’ perché Silente ci aveva avvisato che Voi-Sapete-Chi stava cercando anche lui i giganti. Ha detto che di sicuro ci aveva già mandato un messaggero, a quelli. Ha detto anche di stare molto attenti a non attirare l’attenzione, che magari c’erano dei Mangiamorte in giro».
    Hagrid si interruppe per bere un lungo sorso di tè.
    «Vai avanti!» lo incalzò Harry.
    «Trovati!» disse Hagrid con fierezza. «Ci siamo affacciati su un burrone una notte ed eccoli là, sotto di noi. Piccoli fuochi e ombre enormi… era come guardare pezzi di montagne che si muovono…»
    «Quanto sono alti?» chiese Ron sottovoce.
    «Sette metri, più o meno» rispose Hagrid in tono noncurante. «Qualcuno dei più alti arriva quasi a otto».
    «E quanti ce n’erano?» domandò Harry.
    «Settanta, ottanta, credo» rispose Hagrid.
    «Soltanto?» chiese Hermione.
    «Sì» disse mestamente Hagrid, «solo ottanta; una volta ce n’era un mucchio, credo cento tribù in tutto il mondo, una roba così. Ma sono anni che si estinguono. I maghi ne hanno ammazzati un po’, certo, ma poi si sono fatti fuori tra di loro, e adesso sono sempre meno, sempre meno. Non sono fatti per vivere ammucchiati insieme in quel modo. Silente dice che è colpa nostra, che siamo stati noi maghi a costringerli ad andar via a vivere lontanissimo da noi, e loro non hanno potuto fare altro che stare tutti insieme per difendersi».
    «Allora» disse Harry, «li avete visti e poi?»
    «Be’, abbiamo aspettato la mattina, mica volevamo spuntargli sotto il naso col buio, per il nostro bene» continuò Hagrid. «Ma alle tre del mattino sono crollati a dormire lì dov’erano seduti. Noi non abbiamo osato dormire. Primo, volevamo stare svegli se uno di loro si svegliava e veniva dalla nostra parte, secondo, russavano da farti diventare scemo. Verso l’alba hanno fatto venire giù una valanga.
    «A ogni modo, quando si è fatto giorno siamo andati giù a trovarli».
    «Cosa?» Ron era sbalordito. «Siete entrati in un accampamento di giganti?»
    «Be’, Silente ci ha detto come si fa» spiegò Hagrid. «Bisogna offrire dei doni al Gurg, mostrare rispetto…»
    «Offrire dei doni a chi?» domandò Harry.
    «Al Gurg… vuol dire il capo».
    «Come avete fatto a capire qual era il Gurg?» domandò Ron.
    Hagrid grugnì, divertito.
    «Mica difficile» disse. «Era il più grosso, il più brutto e il più pigro. Se ne stava lì seduto a farsi portare il cibo dagli altri. Capre morte e roba del genere. Karkus, si chiamava. Sarà stato almeno sette metri e mezzo, e pesava come due elefanti maschi. Pelle come un rinoceronte eccetera».
    «E tu sei andato da lui?» esalò Hermione.
    «Eh, sì… siamo scesi da lui, nella valle dove stava. Era tra due monti piuttosto alti, vicino a un lago, e Karkus era steso sulla riva e urlava agli altri di portare da mangiare a lui e a sua moglie. Olympe e io siamo scesi giù dalla montagna…»
    «Ma non hanno cercato di uccidervi appena vi hanno visto?» domandò Ron incredulo.
    «A qualcuno di loro ci è venuto in mente». Hagrid alzò le spalle. «Ma noi abbiamo fatto come aveva detto Silente, cioè tenere alto il regalo e guardare solo il Gurg senza badare agli altri. E così abbiamo fatto. E tutti gli altri sono stati zitti muti e sono rimasti a guardare che passavamo e siamo arrivati proprio ai piedi di Karkus, abbiamo fatto un bell’inchino e gli abbiamo messo il regalo davanti».
    «Che cosa si regala a un gigante?» chiese Ron, curioso. «Cibo?»
    «Nooo, un gigante si può prendere tutto il cibo che vuole» rispose Hagrid. «Gli abbiamo portato la magia. Ai giganti ci piace la magia, solo che non ci piace quando la usiamo contro di loro. Insomma, il primo giorno ci abbiamo portato un ramo di Fuoco Gubraithiano».
    Hermione sussurrò «Caspita!» ma Harry e Ron aggrottarono la fronte, perplessi.
    «Un ramo di…?»
    «Fuoco Eterno» spiegò Hermione irritata, «lo dovreste sapere ormai. Il professor Vitious l’ha citato almeno due volte in classe!»
    «A ogni modo» continuò Hagrid prima che Ron potesse replicare, «Silente ha stregato questo ramo per farlo bruciare per sempre, che non è una cosa che tutti i maghi sanno fare, e così io lo metto per terra nella neve ai piedi di Karkus e gli faccio: “Un dono per il Gurg da Albus Silente, che manda i suoi rispettosi saluti”».
    «E che cos’ha detto Karkus?» chiese Harry, affascinato.
    «Niente» rispose Hagrid. «Non parlava la nostra lingua».
    «Stai scherzando!»
    «Non importa» disse Hagrid imperturbabile. «Silente ci aveva detto che poteva succedere. Karkus capisce abbastanza per gridare a due giganti che parlano la nostra lingua di venire a tradurre».
    «E il regalo gli è piaciuto?» domandò Ron.
    «Oh sì, sono diventati matti quando hanno capito cos’è che era». Hagrid voltò la bistecca sull’occhio dal lato più freddo. «Ci è piaciuto un sacco. Perciò ci dico: “Albus Silente chiede al Gurg di parlare con il suo messaggero quando ritorna domani con un altro dono”».
    «Perché non gli hai parlato quel giorno stesso?» domandò Hermione.
    «Silente aveva detto di andarci molto piano» rispose Hagrid, «di farci vedere che mantenevamo le promesse. Torneremo domani con un altro regalo, e poi torniamo davvero con un altro regalo… fa una buona impressione, no? E a loro ci dà il tempo di provare il primo regalo e vedere che è buono, e ci fa venire voglia di un altro. In ogni caso, i giganti come Karkus, se ci dici troppe cose quelli ti ammazzano solo per farla più facile. Perciò ci siamo levati di torno e abbiamo trovato una bella caverna dove passare la notte, e il giorno dopo siamo tornati. Stavolta Karkus ci aspettava tutto contento».
    «E gli avete parlato?»
    «Oh, sì. Prima ci abbiamo dato un bell’elmo da battaglia, sai, fatto dai goblin, indistruttibile… ci siamo seduti e abbiamo parlato».
    «Lui che cos’ha detto?»
    «Non tanto» disse Hagrid. «Stava molto a sentire. Ma c’era qualche segno buono. Aveva sentito parlare di Silente, che era contrario a uccidere i giganti rimasti in Inghilterra. Insomma, sembrava interessato. E qualcuno degli altri, soprattutto quelli che ci capivano, si sono messi intorno e ascoltavano. Siamo andati via tutti speranzosi, quel giorno, e abbiamo promesso che tornavamo il giorno dopo con un altro regalo. Ma quella notte è andato tutto storto».
    «In che senso?» chiese Ron.
    «Be’, ve l’ho detto, non sono fatti per vivere insieme, i giganti» disse Hagrid, malinconico. «Non in gruppi così grossi. Non ci possono fare niente, si ammazzano tra di loro ogni mese. Gli uomini si combattono, le donne si combattono; i resti delle vecchie tribù si combattono, e poi ci sono le risse per il mangiare e per i posti migliori per dormire. A vedere come la loro razza sta per finire uno crede che magari ormai si lasciano in pace, ma invece…»
    Hagrid sospirò.
    «Quella notte è scoppiata una lite giù nella valle, l’abbiamo visto dalla nostra caverna. È andata avanti per ore, un rumore da non crederci. E quando il sole è sorto la mattina dopo la neve era rossa e la sua testa era in fondo al lago».
    «La testa di chi?» chiese Hermione, trattenendo il respiro.
    «Quella di Karkus» rispose Hagrid in tono grave. «Cera un nuovo Gurg, Golgomath». Sospirò. «Be’, non avevamo previsto che ci poteva essere un nuovo Gurg due giorni dopo che avevamo fatto amicizia col vecchio, e avevamo come l’impressione che Golgomath non era così felice di sentirci, ma dovevamo provare».
    «Siete andati a parlargli?» chiese Ron incredulo. «Dopo che l’avevate visto staccare la testa a un altro gigante?»
    «Certo» disse Hagrid. «Non avevamo mica fatto tutta quella strada per mollare dopo due giorni! Siamo scesi giù con l’altro regalo che volevamo dare a Karkus.
    «Ma ho capito che non serviva a niente ancora prima di parlare. Lui era seduto lì con l’elmo di Karkus e ci guardava male. È enorme, uno dei più grossi. Capelli neri, denti neri e una collana di ossa. Certe sembravano umane. Insomma. Io ci provo, prendo una grande pelle di drago e dico “Un dono per il Gurg dei giganti…” nemmeno finisco e mi ritrovo appeso per i piedi: due dei suoi amici mi avevano preso».
    Hermione si portò le mani alla bocca.
    «E come ne sei uscito?» domandò Harry.
    «È stata Olympe» disse Hagrid. «Ha preso la bacchetta e ha fatto gli incantesimi più veloci che ho mai visto. Una roba meravigliosa. Ha colpito i due che mi tenevano con l’Incantesimo Conjunctivitus e quelli mi hanno mollato di botto… ma eravamo nei guai, perché avevamo usato la magia contro di loro, e i giganti odiano questo. Ce la siamo squagliata. Non potevamo più tornarci, in quel campo».
    «Accidenti, Hagrid» sussurrò Ron.
    «Allora come mai ci hai messo tanto a tornare a casa se siete rimasti lì solo tre giorni?» domandò Hermione.
    «Non ce ne siamo andati dopo tre giorni!» s’indignò Hagrid. «Silente ci aveva dato un compito!»
    «Ma hai appena detto che non potevate più tornare al campo!»
    «No, di giorno no. Ci abbiamo pensato un po’ su. Abbiamo passato due giorni nella caverna, a guardare giù. E quello che abbiamo visto non era niente di buono».
    «Ha strappato altre teste?» chiese Hermione, disgustata.
    «No» disse Hagrid. «Magari».
    «Che cosa vuoi dire?»
    «Voglio dire che abbiamo scoperto che non ce l’aveva con tutti i maghi… solo con noi».
    «Mangiamorte?» suggerì subito Harry.
    «Sì» rispose cupo Hagrid. «Un paio andavano a trovarlo tutti i giorni e gli portavano dei regali, e a loro non li appendeva a testa in giù».
    «Come fai a sapere che erano Mangiamorte?» chiese Ron.
    «Perché ne ho riconosciuto uno» ruggì Hagrid. «Macnair, ve lo ricordate? Quello che hanno mandato a uccidere Fierobecco? È un fissato. Ci piace uccidere, come a Golgomath; per forza che andavano tanto d’accordo».
    «E quindi Macnair ha convinto i giganti ad allearsi con Tu-Sai-Chi?»
    «Ferma gli Ippogrifi, non ho ancora finito!» esclamò Hagrid indignato. Considerato che all’inizio non voleva raccontare nulla, sembrava che se la godesse un mondo. «Io e Olympe abbiamo parlato e abbiamo deciso che solo perché il Gurg preferiva Tu-Sai-Chi non voleva dire che tutti gli altri erano d’accordo. Dovevamo convincere gli altri, quelli che non avevano voluto Golgomath».
    «Come avete fatto a capire quali erano?» domandò Ron.
    «Be’, erano quelli che avevano preso le mazzate, no?» spiegò Hagrid, paziente. «Quelli con un po’ di sale in zucca si tenevano alla larga da Golgomath, stavano nascosti nelle caverne intorno al burrone, come noi. Così abbiamo deciso di fare un giro di notte nelle caverne per vedere se riuscivamo a convincere qualcuno».
    «Siete andati in giro per caverne a cercare giganti?» chiese Ron, ammirato.
    «Be’, non erano i giganti che ci preoccupavano» rispose Hagrid, «ma i Mangiamorte. Silente ci aveva detto di non mischiarci con loro se potevamo evitarlo, e il problema era che lo sapevano che noi eravamo lì… figurati se Golgomath non gliel’aveva detto. Di notte, quando i giganti dormivano e noi volevamo strisciare nelle caverne, Macnair e quell’altro giravano per le montagne a cercarci. È stata dura impedire a Olympe di saltarci addosso» disse Hagrid, con gli angoli della bocca che gli sollevavano la barba incolta, «aveva una gran voglia di attaccarli… è forte, quando si arrabbia, Olympe… una tosta, sapete… dev’essere perché è francese…»
    Hagrid guardò il fuoco con lo sguardo annebbiato. Harry gli concesse trenta secondi di fantasticherie prima di schiarirsi sonoramente la voce.
    «E poi che cosa è successo? Siete riusciti ad avvicinarvi agli altri giganti?»
    «Cosa? Ah… Ah, sì, certo. La terza notte dopo la morte di Karkus siamo usciti dalla nostra caverna e siamo tornati giù nella valle, con gli occhi bene aperti per i Mangiamorte. Abbiamo girato un paio di caverne, niente… e poi, tipo alla sesta, abbiamo trovato tre giganti nascosti».
    «Doveva essere bella piena» osservò Ron.
    «Non c’entrava nemmeno uno Kneazle» confermò Hagrid.
    «E non vi hanno attaccato?» domandò Hermione.
    «Lo facevano sicuro, se potevano» disse Hagrid, «ma erano feriti di brutto, tutti e tre; la banda di Golgomath li aveva pestati fino a farli svenire; loro si erano svegliati ed erano strisciati nel primo nascondiglio. A ogni modo, uno di loro capiva un po’ la nostra lingua e ha tradotto e non l’hanno presa troppo male. Perciò siamo tornati a trovare i feriti… mi sa che a un certo punto ne avevamo convinti sei o sette».
    «Sei o sette?» Ron s’infervorò. «Be’, niente male… verranno qui a combattere Tu-Sai-Chi insieme a noi?»
    Ma Hermione intervenne: «Che cosa vuol dire “a un certo punto”, Hagrid?»
    Hagrid le rivolse uno sguardo triste.
    «Quelli di Golgomath hanno attaccato le caverne. I sopravvissuti non hanno più voluto avere a che fare con noi, dopo».
    «E quindi… quindi non verrà nessun gigante?» disse Ron, deluso.
    «No» sospirò Hagrid, rigirando la bistecca sul viso, «ma abbiamo fatto quello che dovevamo, ci abbiamo portato il messaggio di Silente e alcuni l’hanno sentito e speriamo che se lo ricordano. Forse, dico forse, quelli che non vogliono restare con Golgomath se ne andranno dalle montagne, e magari si ricorderanno che Silente è stato gentile con loro… può darsi che vengono».
    La neve stava coprendo la finestra. Harry si rese conto di avere le ginocchia zuppe: Thor sbavava, con la testa nel suo grembo.
    «Hagrid» sussurrò Hermione dopo un po’.
    «Mmm?»
    «Hai… c’era traccia di… hai saputo qualcosa di tua… tua… madre mentre eri là?»
    L’occhio scoperto di Hagrid si posò su Hermione, che parve piuttosto spaventata.
    «Scusa… io… lascia stare…»
    «Morta» grugnì Hagrid. «Anni fa. Me l’hanno detto».
    «Oh… mi dispiace» disse Hermione con voce flebile. Hagrid si strinse nelle enormi spalle.
    «Fa niente» tagliò corto. «Non me la ricordo tanto. Non era una gran madre».
    Cadde di nuovo il silenzio. Hermione lanciò un’occhiata nervosa a Harry e Ron, sperando che parlassero.
    «Ma non ci hai ancora spiegato come ti sei ridotto così, Hagrid» disse Ron, indicando il volto insanguinato del guardiacaccia.
    «O perché sei arrivato così in ritardo» aggiunse Harry. «Sirius ha detto che Madame Maxime è tornata a casa secoli fa…»
    «Chi ti ha aggredito?» chiese Ron.
    «Io non sono stato aggredito!» esclamò Hagrid con enfasi. «Io…»
    Ma il resto delle sue parole fu sommerso da un’improvvisa serie di colpi alla porta. Hermione trasalì; la tazza le scivolò di mano e si frantumò a terra; Thor abbaiò. Tutti e quattro guardarono la finestra accanto alla porta. L’ombra di una persona bassa e tarchiata ondeggiava sulla tenda leggera.
    «È lei!» sussurrò Ron.
    «Qui sotto!» disse in fretta Harry; afferrò il Mantello dell’Invisibilità, lo fece roteare addosso a sé e a Hermione mentre Ron faceva il giro del tavolo per tuffarsi sotto il manto anche lui. Rannicchiati insieme, indietreggiarono in un angolo. Thor abbaiava furiosamente, rivolto alla porta. Hagrid aveva l’aria del tutto confusa.
    «Hagrid, nascondi le nostre tazze!»
    Hagrid afferrò le tazze di Harry e Ron e le ficcò sotto il cuscino della cuccia di Thor. Il cane balzò verso la maniglia; Hagrid lo allontanò con il piede e aprì.
    La professoressa Umbridge era sulla soglia. Indossava il mantello di tweed verde e un cappello della stessa stoffa, con i paraorecchie. A labbra strette, fece un passo indietro per vedere Hagrid in faccia: gli arrivava a stento all’ombelico.
    «Allora» scandì a voce alta, come se stesse parlando con un sordo. «Lei è Hagrid, vero?»
    Senza aspettare la risposta, entrò nella stanza e guardò dappertutto con i suoi occhi sporgenti.
    «Va’ via» sbottò, agitando la borsetta in direzione di Thor, che balzava tentando di leccarle la faccia.
    «Ehm… mica per essere sgarbato» chiese Hagrid fissandola, «ma lei chi diavolo è?»
    «Mi chiamo Dolores Umbridge».
    I suoi occhi esaminavano la capanna. Due volte indugiarono nel punto in cui si trovava Harry, stretto a panino fra Ron e Hermione.
    «Dolores Umbridge?» ripeté Hagrid, ancora più confuso. «Credevo che stava al Ministero… non lavora mica con Caramell?»
    «Ero Sottosegretario Anziano del Ministro, sì» disse la Umbridge, che camminava per la capanna registrando ogni dettaglio, dallo zaino appoggiato alla parete al mantello da viaggio abbandonato. «Ora sono docente di Difesa contro le Arti Oscure…»
    «Che coraggio» disse Hagrid, «non sono mica più tanti quelli che farebbero quel lavoro».
    «…e Inquisitore Supremo di Hogwarts» concluse la Umbridge, senza dare segno di averlo sentito.
    «E che roba è?» domandò Hagrid, accigliandosi.
    «Precisamente quello che stavo per chiedere io» disse la Umbridge, indicando i frammenti della tazza di Hermione, per terra.
    «Oh» disse Hagrid, con un pericoloso sguardo verso l’angolo dov’erano nascosti Harry, Ron e Hermione, «ah, quello… è stato Thor. Ha rotto una tazza. Perciò ho usato quella».
    Hagrid indicò la tazza da cui stava bevendo, con una mano ancora premuta sulla bistecca di drago che reggeva sull’occhio. La Umbridge guardava lui, adesso, studiando ogni particolare del suo aspetto.
    «Ho sentito delle voci» disse piano.
    «Parlavo con Thor» spiegò impavido Hagrid.
    «E lui le rispondeva?»
    «Be’… in un certo senso» disse Hagrid, a disagio. «A volte Thor è quasi umano…»
    «Ci sono tre serie di impronte nella neve che portano dal castello alla sua capanna» osservò melliflua la Umbridge.
    Hermione esalò un gemito; Harry le tappò la bocca con la mano. Per fortuna Thor stava annusando sonoramente l’orlo del vestito della Umbridge e lei non parve aver sentito.
    «Be’, sono appena tornato» disse Hagrid, agitando una mano enorme verso lo zaino. «Forse qualcuno è venuto a trovarmi prima e non l’ho incontrato».
    «Non ci sono impronte che si allontanano dalla capanna».
    «Ah… allora boh, non lo so…» disse Hagrid, tirandosi nervosamente la barba e lanciando un’altra occhiata verso l’angolo di Harry, Ron e Hermione, come in cerca di aiuto. «Ehm…»
    La Umbridge girò sui tacchi e percorse tutta la lunghezza della capanna, guardandosi intorno con grande attenzione. Si chinò a sbirciare sotto il letto, aprì gli armadi. Passò a pochi centimetri dal punto in cui Harry, Ron e Hermione erano appiattiti contro il muro e Harry contrasse lo stomaco. Dopo aver esaminato con cura l’enorme calderone in cui Hagrid cucinava, la Umbridge si voltò e chiese: «Che cosa le è successo? Come si è procurato quelle ferite?»
    Hagrid si tolse in fretta la bistecca di drago dall’occhio, e secondo Harry fu un errore, perché in quel modo si vedevano chiaramente i lividi neri e violacei, per non parlare della quantità di sangue sia fresco sia rappreso. «Oh… ho avuto un piccolo incidente» disse debolmente.
    «Che tipo di incidente?»
    «Io… sono inciampato».
    «È inciampato» ripeté lei, gelida.
    «Sì, proprio. Su… sulla scopa di un mio amico. Io non volo mica. Be’, guardi che stazza, secondo me non c’è una scopa che mi regge. Il mio amico alleva cavalli Abraxan, non so se li ha mai visti, bestie grosse, con le ali, sa com’è, ho fatto un giro su uno…»
    «Dove è stato?» domandò la Umbridge, interrompendo con freddezza il balbettio di Hagrid.
    «Dove sono…?»
    «Stato, sì» insisté lei. «La scuola è cominciata due mesi fa. Un’altra insegnante ha dovuto coprire le sue lezioni. Nessuno dei suoi colleghi ha saputo darmi informazioni. Non ha lasciato un recapito. Dove è stato?»
    Ci fu una pausa, durante la quale Hagrid la fissò con l’occhio appena scoperto. Harry riusciva quasi a sentire il suo cervello che lavorava furiosamente.
    «Eh… sono stato via. Motivi di salute» rispose.
    «Motivi di salute» ripeté la professoressa Umbridge. I suoi occhi vagarono sul volto pallido e gonfio di Hagrid; gocce di sangue di drago cadevano lente e silenziose sul suo panciotto. «Capisco».
    «Sì» confermò Hagrid, «un po’ d’aria fresca, sa…»
    «Sì, immagino che per un guardiacaccia l’aria fresca sia una cosa rara» disse melliflua la Umbridge. L’unica porzione della faccia di Hagrid che non era né nera né violacea arrossì.
    «Ecco… un cambio di panorama, sa com’è…»
    «Panorama di montagna?» chiese prontamente la Umbridge.
    Lo sa, pensò Harry disperato.
    «Montagna?» ripeté Hagrid, riflettendo rapido. «No, Sud della Francia. Un po’ di sole… il mare…»
    «Davvero?» disse la Umbridge. «Non è molto abbronzato».
    «Sì… be’… ho la pelle delicata» Hagrid tentò un sorriso conciliante. Harry notò che gli mancavano due denti. La Umbridge lo guardò con freddezza, e il sorriso vacillò. Poi lei si assestò la borsetta nell’incavo del gomito e disse: «Ovviamente informerò il Ministro del suo ritardo».
    «D’accordo» rispose Hagrid con un cenno.
    «È anche bene che lei sappia che in qualità di Inquisitore Supremo è mio triste ma necessario dovere sottoporre a ispezione i miei colleghi insegnanti. Perciò suppongo che ci vedremo presto».
    Si voltò bruscamente e si avviò alla porta.
    «Ispezione?» le fece eco Hagrid con voce inespressiva, gli occhi fissi sulla sua schiena.
    «Oh sì» disse mielosa la Umbridge, voltandosi verso di lui con la mano già posata sulla maniglia. «Il Ministro è deciso a liberarsi degli insegnanti insoddisfacenti, signor Hagrid. Buonanotte».
    Se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle. Harry fece per sfilarsi il Mantello dell’Invisibilità, ma Hermione gli afferrò il polso.
    «Aspetta» gli bisbigliò all’orecchio. «Potrebbe non essersi ancora allontanata».
    Hagrid parve pensarla allo stesso modo; attraversò la stanza e scostò appena la tenda.
    «Sta tornando al castello» sussurrò. «Per la miseria… fa davvero ispezioni sui professori?»
    «Sì» rispose Harry, togliendosi il Mantello. «La Cooman è già in verifica…»
    «Ehm… che genere di cose intendi farci fare in classe, Hagrid?» chiese Hermione.
    «Oh, non ti preoccupare, ho un mucchio di lezioni in cantiere» disse entusiasta Hagrid, recuperando dal tavolo la bistecca di drago e schiaffandosela di nuovo sull’occhio. «Ho tenuto da parte un paio di creature apposta per l’anno del G.U.F.O.; aspetta e vedrai, sono una chicca».
    «Ehm… chicca in che senso?» domandò Hermione, esitante.
    «Non ve lo dico» rispose allegro Hagrid, «mica voglio rovinare la sorpresa».
    «Senti, Hagrid». Agitata, Hermione rinunciò alla diplomazia. «La professoressa Umbridge non sarà per niente contenta se porti a lezione qualcosa di pericoloso».
    «Pericoloso?» Hagrid sorrise perplesso. «Che sciocca, non è che vi porterei niente di pericoloso! Cioè, insomma, si sanno difendere…»
    «Hagrid, devi passare l’ispezione della Umbridge, e per farlo sarebbe molto meglio che lei ti vedesse impegnato a spiegarci come si curano i Porlock, o come distinguere uno Knarl da un porcospino, cose del genere!» disse Hermione infervorata.
    «Ma non è interessante, Hermione» ribatté Hagrid. «La roba che ho io fa molta più impressione, Li allevo da anni, credo che il mio è l’unico branco domestico in Inghilterra».
    «Hagrid… ti prego…» lo supplicò lei con una nota di autentica disperazione nella voce. «La Umbridge cerca solo una scusa per liberarsi di tutti gli insegnanti che secondo lei sono troppo vicini a Silente. Per favore, Hagrid, insegnaci qualcosa di noioso che sia nel programma dei G.U.F.O.»
    Ma Hagrid si limitò a sbadigliare sonoramente e a lanciare uno sguardo di desiderio al grande letto nell’angolo.
    «Sentite, è stata una giornata lunga ed è tardi» disse, dando un colpetto affettuoso sulla spalla di Hermione, tanto che le ginocchia le cedettero e cadde a terra con un tonfo. «Oh, scusa…» La rimise in piedi tirandola su per il colletto. «Senti, non ti preoccupare per me, ti assicuro che ho della roba fantastica pronta per le lezioni adesso che sono qui… be’, è meglio se rientrate al castello, e non dimenticate di cancellare le impronte!»
    «Non so se ti ha capito» disse Ron poco dopo, quando, controllato che la via fosse libera, s’incamminarono sotto la neve fitta, senza lasciare tracce grazie all’Incantesimo Obliterante di Hermione.
    «Allora tornerò domani» rispose Hermione, perentoria. «Deciderò io le lezioni per lui, se devo. Non m’importa se quella butta fuori la Cooman, ma non si libererà di Hagrid!»
   
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