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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Natale nel reparto riservato


   Era per quello che Silente non lo guardava più negli occhi? Si aspettava di vedere Voldemort che lo fissava, temeva forse che il verde intenso diventasse all’improvviso scarlatto, e le pupille sottili fessure verticali come quelle di un gatto? Harry ricordò come la faccia da rettile di Voldemort una volta era sbucata dalla nuca del professor Raptor, e si passò la mano dietro la testa, chiedendosi che cosa avrebbe provato se Voldemort fosse spuntato dal suo cranio.
    Si sentiva sporco, contaminato, come se portasse in sé un germe letale, indegno di sedere nella metropolitana di ritorno dall’ospedale insieme a gente pulita e innocente, con mente e corpo liberi dall’infezione di Voldemort… non aveva solo visto il serpente, era lui il serpente, ormai lo sapeva…
    Un pensiero terribile tornò alla sua mente, un ricordo che riaffiorava e gli fece contorcere le budella.
    Che cosa cerca, a parte seguaci?
    Cose che può ottenere solo di nascosto… come un’arma. Qualcosa che l’ultima volta non aveva.
    Io sono l’arma, pensò Harry, e fu come se nelle vene gli scorresse un veleno che lo raggelava, facendolo sudare mentre assecondava il dondolio del treno nella galleria buia. È me che Voldemort sta cercando di usare, ecco perché mi sorvegliano ovunque vada, non è per proteggere me, ma gli altri, solo che non funziona, non possono seguirmi dappertutto a Hogwarts… ho attaccato io il signor Weasley la notte scorsa, sono stato io. Voldemort mi ha costretto a farlo e ora potrebbe essere dentro di me, e ascoltare i miei pensieri…
    «Stai bene, Harry, caro?» sussurrò la signora Weasley, sporgendosi sopra Ginny per parlargli mentre il treno sferragliava. «Non hai un bell’aspetto. Ti senti male?»
    Lo guardavano tutti. Scosse violentemente il capo e prese a fissare la pubblicità di un’assicurazione.
    «Caro, sei sicuro di star bene?» insisté la signora Weasley preoccupata, mentre attraversavano la macchia di prato incolto al centro di Grimmauld Place. «Sei così pallido… ma hai riposato questa mattina? Adesso vai su e dormi un paio d’ore prima di cena, d’accordo?»
    Harry annuì; era proprio ciò che voleva: un’ottima scusa per non parlare con gli altri. Così quando lei aprì la porta d’ingresso lui superò il portaombrelli a gamba di troll e filò dritto di sopra, nella stanza che divideva con Ron.
    Prese a camminare su e giù, davanti ai letti e al ritratto vuoto di Phineas Nigellus, con la testa che ribolliva di domande e pensieri ancora più terribili.
    Come aveva fatto a diventare un serpente? Forse era un Animagus… no, non era possibile, l’avrebbe saputo… forse Voldemort era un Animagus… sì, pensò Harry, così tornava, era lui a trasformarsi in un serpente… e quando è dentro di me, ci trasformiamo tutti e due… ma questo non spiega ancora come ho fatto ad andare a Londra e tornare a letto nel giro di cinque minuti… del resto Voldemort è uno dei maghi più potenti del mondo, a parte Silente, per lui non dev’essere affatto un problema trasportare la gente in quel modo.
    E poi, con un terribile senso di panico, pensò: questa è una follia… se sono posseduto da Voldemort, in questo momento gli sto dando una visione perfetta del Quartier Generale dell’Ordine della Fenice! Saprà chi fa parte dell’Ordine e dove si trova Sirius… e da quando sono qui ho sentito un mucchio di cose che non avrei dovuto sapere, tutto quello che Sirius mi ha detto la prima notte, quando sono arrivato…
    C’era una sola cosa da fare: doveva andar via subito da Grimmauld Place. Avrebbe passato il Natale a Hogwarts senza gli altri, che così sarebbero stati al sicuro almeno per le vacanze… ma no, non funzionava, c’erano ancora tante persone a Hogwarts da mutilare e ferire. E se la prossima volta fosse toccato a Seamus, Dean o Neville? Smise di marciare su e giù e fissò la cornice vuota del ritratto di Phineas Nigellus. Era come se avesse del piombo in fondo allo stomaco. Non c’erano alternative: doveva ritornare a Privet Drive, separarsi completamente dagli altri maghi.
    Be’, se era così, si disse, non aveva senso aspettare. Cercando con tutte le forze di non pensare a come avrebbero reagito i Dursley trovandolo sulla soglia di casa sei mesi prima del previsto, andò verso il suo baule, chiuse il coperchio, poi si guardò meccanicamente intorno in cerca di Edvige prima di ricordare che era ancora a Hogwarts… be’, una cosa in meno da portare… Afferrò una maniglia del baule ed era già a metà strada verso la porta quando una voce sprezzante disse: «Ce la battiamo, eh?»
    Si voltò. Phineas Nigellus era apparso sulla tela del suo ritratto e stava appoggiato alla cornice. Guardava Harry con un’espressione divertita.
    «No, non me la sto battendo» tagliò corto Harry, trascinando il baule di qualche altro passo.
    «Pensavo» disse Phineas Nigellus, accarezzandosi la barba a punta, «che per appartenere alla Casa di Grifondoro si dovesse essere coraggiosi… A me pare che saresti stato meglio nella mia. Noi di Serpeverde siamo coraggiosi, certo, ma non stupidi. Per esempio, se possiamo, scegliamo sempre di salvarci la pelle»,
    «Non è la mia pelle che sto salvando» rispose gelido Harry, trascinando il baule su un punto della moquette particolarmente gibboso e divorato dalle tarme, davanti alla porta.
    «Ah, ho capito» replicò Phineas Nigellus, sempre accarezzandosi la barba, «questa non è la fuga di un codardo… è un gesto nobile».
    Harry lo ignorò. La sua mano era già sulla maniglia quando Phineas Nigellus aggiunse pigramente: «Ho un messaggio per te da Albus Silente».
    Harry si voltò.
    «E che cosa dice?»
    «Resta dove sei».
    «Non mi sono mosso!» esclamò Harry, con la mano ancora sulla maniglia. «Qual è il messaggio?»
    «Te l’ho appena detto, stupido» rispose dolcemente Phineas Nigellus. «Silente dice: Resta dove sei».
    «Perché?» chiese Harry con impazienza, lasciando cadere l’estremità del baule. «Perché vuole che resti? Che altro ha detto?»
    «Nient’altro» rispose Phineas Nigellus, inarcando un sottile sopracciglio nero, come se trovasse Harry impertinente.
    La collera di Harry eruppe come una serpe che si erge dall’erba alta. Era esausto, confuso più che mai; nelle ultime dodici ore aveva provato terrore, sollievo, poi di nuovo terrore, e Silente ancora non gli parlava!
    «È tutto qui, allora?» urlò. «Resta dove sei? Anche quando sono stato attaccato da quei Dissennatori, è tutto quello che sono riusciti a dirmi! Stai buono che gli adulti sistemano tutto, Harry! Non ci prendiamo il disturbo di dirti niente perché il tuo cervellino potrebbe non sopportarlo!»
    «Sai» urlò ancora più forte Phineas Nigellus, «questo è precisamente il motivo per cui insegnare mi faceva schifo! Voi giovani avete questa convinzione infernale di avere assolutamente ragione su tutto! Non ti è venuto in mente, mio povero damerino tronfio, che potrebbe esserci una ragione eccellente per cui il Preside di Hogwarts non ti rivela ogni dettaglio dei suoi piani? Ti sei mai soffermato un istante, uomo navigato, a pensare che eseguire gli ordini di Silente non ti ha mai provocato dei danni? No. No, come tutti i ragazzini, sei sicuro di essere il solo a sentire e a pensare, a riconoscere il pericolo, a essere abbastanza sveglio da capire i piani dell’Oscuro Signore…»
    «Quindi ha dei piani su di me?» replicò rapido Harry.
    «Ho detto questo?» chiese Phineas Nigellus, esaminandosi con aria annoiata i guanti di seta. «Ora se vuoi scusarmi, ho cose migliori da fare che dar retta a un adolescente in crisi… buona giornata».
    Raggiunse con calma il bordo della cornice e sparì.
    «Vattene pure!» sbraitò Harry contro la cornice vuota. «E di’ a Silente: Grazie di nulla!»
    La tela restò in silenzio. Furioso, Harry trascinò di nuovo il baule ai piedi del letto, poi si gettò a faccia in giù sulle coperte tarmate, con gli occhi chiusi e le membra dolorosamente pesanti.
    Gli sembrava di aver viaggiato per chilometri e chilometri… pareva impossibile che meno di ventiquattr’ore prima Cho Chang gli si fosse avvicinata sotto il vischio… era così stanco… aveva paura di addormentarsi… ma non sapeva fino a quando avrebbe potuto combattere il sonno… Silente gli aveva detto di restare… allora voleva dire che poteva dormire… ma aveva paura… e se fosse successo di nuovo?
    Stava sprofondando…
    Era come se un film, nella sua testa, fosse stato in attesa di cominciare. Camminava lungo un corridoio deserto verso una semplice porta nera, costeggiando pareti di pietra grezza, torce e una rampa di scale che scendeva, sulla sinistra…
    Raggiungeva la porta nera ma non riusciva ad aprirla… restava a guardarla, col disperato desiderio di entrare… lì c’era qualcosa che voleva con tutto il cuore… un premio al di là dei suoi sogni… se solo la cicatrice avesse smesso di bruciare… sarebbe riuscito a ragionare più chiaramente, allora…
    «Harry» la voce di Ron lo raggiunse da molto, molto lontano, «la mamma dice che la cena è pronta, ma se vuoi restare a letto ti mette qualcosa da parte».
    Harry aprì gli occhi, ma Ron era già uscito.
    Non vuole restare da solo con me, pensò Harry. Non dopo quello che ha sentito dire a Moody.
    Immaginava che nessuno lo volesse più lì, ora che sapevano che cosa c’era dentro di lui.
    Non sarebbe sceso per cena, non voleva imporre la sua presenza agli altri. Si voltò su un fianco e poco dopo si riaddormentò. Si svegliò molto più tardi, alle prime ore del mattino, con lo stomaco indolenzito dalla fame e Ron che russava nel letto accanto. Sbattendo le palpebre, vide la sagoma scura di Phineas Nigellus di nuovo nel suo ritratto e pensò che Silente doveva averlo mandato per sorvegliarlo, nel caso che aggredisse qualcun altro.
    La sensazione di essere sporco si acuì. Desiderò quasi di non aver obbedito a Silente… se questa era la vita che lo aspettava a Grimmauld Place d’ora in poi, tanto valeva tornare a Privet Drive.
   
    * * *
    Tutti gli altri passarono la mattina successiva ad appendere le decorazioni natalizie. Harry non ricordava di aver mai visto Sirius tanto di buonumore; cantava addirittura le carole, deliziato di avere ospiti per Natale. Harry sentiva la sua voce echeggiare attraverso il pavimento nel freddo salotto in cui sedeva da solo, a guardare dalla finestra il cielo che si faceva sempre più bianco, annunciando neve, e provò un piacere un po’ perverso all’idea di dare agli altri la possibilità di parlare di lui, cosa che di sicuro stavano facendo. Quando all’ora di pranzo sentì la signora Weasley che chiamava dolcemente il suo nome su per le scale, si ritirò ancora più in alto e la ignorò.
    Verso le sei di sera suonarono alla porta e la signora Black ricominciò a urlare. Immaginando che fosse arrivato Mundungus o qualche altro membro dell’Ordine, Harry si limitò ad accomodarsi meglio contro la parete della stanza di Fierobecco dove stava nascosto, cercando di ignorare i morsi della fame mentre dava da mangiare topi morti all’Ippogrifo. Fu un piccolo spavento quando qualcuno bussò alla porta qualche minuto dopo.
    «So che sei lì dentro» disse la voce di Hermione. «Esci, per favore? Ti voglio parlare».
    «E tu che cosa ci fai qui?» le chiese Harry aprendo la porta, mentre Fierobecco raspava la paglia sul pavimento in cerca di avanzi di topo. «Non dovevi andare a sciare con i tuoi?»
    «Be’, a dirti la verità, lo sci non fa per me» rispose Hermione. «Così sono venuta qui a passare il Natale». Aveva la neve sui capelli e il viso rosso per il freddo. «Ma non dirlo a Ron. Gli ho detto che sciare è magnifico, visto che non smetteva di ridere. Mamma e papà erano un po’ contrariati, ma ho spiegato che chiunque prenda seriamente gli esami rimane a Hogwarts per studiare. Vogliono che vada bene, mi capiranno. Comunque» disse bruscamente, «andiamo nella tua stanza, la mamma di Ron ha acceso il fuoco e ha mandato su dei panini».
    Harry la seguì al secondo piano. Quando entrò nella stanza, fu piuttosto sorpreso di trovare Ron e Ginny ad aspettarlo, seduti sul letto di Ron.
    «Sono venuta con il Nottetempo» riprese Hermione in tono leggero, sfilandosi la giacca prima che Harry avesse il tempo di parlare. «Ieri mattina Silente mi ha raccontato quello che è successo, ma ho dovuto per forza aspettare la fine ufficiale delle lezioni per partire. La Umbridge è già livida perché voi le siete scomparsi sotto il naso, anche se Silente le ha detto che il signor Weasley era al San Mungo e che vi aveva dato il permesso di andare a trovarlo. Allora…»
    Si sedette accanto a Ginny, e tutti e tre guardarono Harry.
    «Come ti senti?» chiese Hermione.
    «Bene» rispose Harry, rigido.
    «Oh, non mentire, Harry» si spazientì lei. «Ron e Ginny dicono che ti stai nascondendo da tutti da quando siete tornati dal San Mungo».
    «Ah, dicono così?» ribatté Harry, scoccando un’occhiata torva a Ron e Ginny.
    Ron si guardò i piedi, ma Ginny non parve affatto imbarazzata.
    «Be’, è vero!» sbottò. «E non ci guardi nemmeno in faccia!»
    «Siete voi che non guardate in faccia me!» ribatté Harry con rabbia.
    «Forse vi guardavate a turno senza incrociarvi mai» Hermione accennò un sorriso.
    «Molto spiritosa» commentò Harry, voltandole le spalle.
    «Oh, piantala di fare l’incompreso» disse Hermione tagliente. «Ascolta, mi hanno raccontato quello che hai sentito la notte scorsa con le Orecchie Oblunghe…»
    «Ah, sì?» ringhiò Harry, affondando le mani nelle tasche e guardando la neve che ora cadeva fitta. «Tutti a parlare di me, eh? Tanto mi sto abituando».
    «Noi volevamo parlare con te, Harry» obiettò Ginny, «ma tu ti nascondi da quando siamo tornati…»
    «Non volevo parlare con nessuno» rispose Harry, punto sul vivo.
    «Be’, sei stato proprio stupido» replicò Ginny arrabbiata, «visto che io sono l’unica persona che conosci che è stata posseduta da Tu-Sai-Chi e posso dirti che cosa si prova».
    Harry rimase immobile ad assorbire l’impatto di quelle parole. Poi si voltò.
    «L’avevo dimenticato».
    «Beato te» mormorò freddamente Ginny.
    «Mi dispiace» disse Harry sincero. «Quindi… quindi secondo te non sono posseduto?»
    «Ricordi tutto quello che hai fatto?» domandò Ginny. «Ci sono momenti di vuoto in cui non sai che cosa hai fatto?»
    Harry rifletté,
    «No».
    «Allora Tu-Sai-Chi non ti ha mai posseduto» concluse Ginny con semplicità. «Io avevo dei buchi di ore intere di cui non ricordavo niente. Mi trovavo in qualche posto e non sapevo come ci ero arrivata».
    Harry non osava crederle, eppure sentì il cuore sollevarsi, quasi suo malgrado.
    «Quel sogno su tuo padre e il serpente, però…»
    «Harry, tu hai già fatto sogni del genere in passato» intervenne Hermione. «Hai visto che cosa faceva Voldemort già l’anno scorso».
    «Ma questo è stato diverso» obiettò Harry, scuotendo il capo. «Ero dentro al serpente. Era come se fossi io, il serpente… e se Voldemort mi avesse trasportato in qualche modo fino a Londra…?»
    «Un giorno» disse Hermione, esasperata, «leggerai Storia di Hogwarts, e forse ti ricorderai che non ci si può Materializzare o Smaterializzare nella scuola. Nemmeno Voldemort avrebbe potuto farti volare via dal tuo dormitorio».
    «Non hai mai lasciato il tuo letto, Harry» disse Ron. «Ti ho visto agitarti nel sonno per almeno un minuto prima che riuscissimo a svegliarti».
    Harry prese a passeggiare su e giù per la stanza, riflettendo. Quello che stavano dicendo non era solo confortante, aveva anche senso… quasi senza accorgersene prese un panino dal vassoio sul letto e se lo ficcò in bocca, famelico.
    Non sono io l’arma, allora, pensò. Il cuore gli si riempì di gioia e sollievo, e gli venne voglia di unirsi a Sirius che, passando davanti alla loro porta per andare dall’Ippogrifo, cantava a squarciagola: «Tu scendi dalle stelle, o Fierobe-e-ecco».
   
    * * *
    Ma come era potuto venirgli in mente di tornare a Privet Drive per Natale? La gioia di Sirius nell’avere di nuovo la casa piena, e soprattutto nel riavere Harry, era contagiosa. Non era più imbronciato come l’estate passata; pareva deciso a fare in modo che tutti si divertissero quanto a Hogwarts, se non di più, e trascorse i giorni prima di Natale a pulire e decorare senza sosta, con l’aiuto di tutti, così che quando andarono a dormire la sera della vigilia la casa era a stento riconoscibile. I lampadari anneriti non erano più carichi di ragnatele ma di ghirlande di agrifoglio e festoni d’oro e d’argento; mucchi di neve magica scintillavano sui tappeti lisi; un grande albero di Natale, procurato da Mundungus e addobbato con fate vive, nascondeva l’albero genealogico di Sirius, e perfino le teste d’elfo imbalsamate sulle pareti portavano barbe e cappelli da Babbo Natale.
    La mattina di Natale, al suo risveglio, Harry trovò una pila di regali ai piedi del letto; Ron aveva già scartato metà della sua pila, decisamente più nutrita.
    «Bel bottino, quest’anno» lo informò da dietro una nuvola di carta. «Grazie per la Bussola da Scopa, è stupenda; meglio del pianificatore di compiti di Hermione…»
    Harry cercò tra i suoi regali e ne trovò uno con la calligrafia di Hermione. Anche a lui aveva regalato un libro che somigliava a un diario, ma quando lo si apriva diceva cose come: «Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi!»
    Sirius e Lupin avevano donato a Harry una bellissima serie di libri dal titolo Magia Difensiva Pratica: Come Usarla contro le Arti Oscure, che contenevano splendide illustrazioni animate a colori di tutte le controfatture e dei sortilegi descritti. Harry sfogliò avido il primo volume e vide subito che gli sarebbe stato utilissimo nei suoi programmi per l’ES. Hagrid gli aveva mandato un portamonete marrone, peloso e dotato di zanne, che Harry presumeva dovessero fungere da dispositivo antifurto, ma che purtroppo impedivano di metterci dentro i soldi a meno di farsi amputare le dita. Il regalo di Tonks era un modellino perfettamente funzionante di Firebolt, che Harry guardò volare per la stanza, desiderando di riavere la sua; Ron gli aveva regalato una scatola enorme di Gelatine Tuttigusti+1; i signori Weasley il solito maglione fatto a mano e dei pasticci di carne, e Dobby un quadro davvero agghiacciante che Harry sospettava avesse dipinto lui stesso. L’aveva appena girato a testa in giù per vedere se migliorava quando, con un sonoro crac, Fred e George si Materializzarono ai piedi del suo letto.
    «Buon Natale» disse George. «Non scendete per un po’».
    «Perché?» chiese Ron.
    «La mamma piange di nuovo» spiegò Fred in tono grave. «Percy ha rimandato indietro il maglione di Natale».
    «Senza nemmeno una riga» aggiunse George. «Non ha chiesto come sta papà, non è andato a trovarlo, niente».
    «Abbiamo cercato di consolarla» continuò Fred, facendo il giro del letto per guardare il quadro di Harry. «Le abbiamo detto che Percy è solo un enorme mucchio di cacche di ratto».
    «Non ha funzionato» concluse George, prendendo una Cioccorana. «Così è arrivato Lupin. È meglio che gli lasciamo il tempo di tirarla un po’ su prima di scendere per colazione».
    «Ma che cosa dovrebbe essere?» domandò Fred, guardando il dipinto di Dobby con la fronte aggrottata. «Sembra un gibbone con gli occhi pesti».
    «È Harry!» disse George, indicando il retro del quadro. «C’è scritto dietro!»
    «Molto somigliante» commentò Fred con un sorriso. Harry gli scagliò addosso il suo nuovo diario, che colpì la parete di fronte e cadde a terra canticchiando: «Se hai messo i puntini sulle i e i trattini alle ti, puoi uscire di qui!»
    Si alzarono e si vestirono. Per la casa si sentivano varie voci che si scambiavano gli auguri. Mentre scendevano le scale, incontrarono Hermione.
    «Grazie per il libro, Harry» disse allegra. «Desideravo Nuova numerologia da una vita! E quel profumo è davvero particolare, grazie, Ron».
    «Non c’è di che» rispose Ron. «E quello per chi è, invece?» aggiunse, indicando il pacchetto incartato con cura che lei aveva in mano.
    «Kreacher» rispose Hermione raggiante.
    «Non deve avere vestiti!» la ammonì Ron. «Ricordati quello che ha detto Sirius: Kreacher sa troppe cose, non possiamo liberarlo!»
    «Non sono vestiti» disse Hermione, «per quanto, se potessi fare a modo mio, avrebbe qualcos’altro da indossare al posto di quel vecchio straccio. No, è una coperta patchwork, ho pensato che potesse rallegrare la sua stanza da letto».
    «Quale stanza da letto?» chiese Harry, riducendo la voce a un sussurro perché stavano passando davanti al ritratto della madre di Sirius.
    «Be’, Sirius dice che non è proprio una stanza da letto, è più una specie di… tana» rispose Hermione. «A quanto pare dorme sotto lo scaldabagno in quell’armadio in cucina».
    La signora Weasley era sola nel seminterrato. Era in piedi davanti ai fornelli, e quando augurò loro buon Natale sembrava che avesse un brutto raffreddore. Tutti distolsero lo sguardo.
    «Allora è questa la stanza di Kreacher?» chiese Ron, avvicinandosi a una porta sudicia di fronte alla dispensa. Harry non l’aveva mai vista aperta.
    «Sì» rispose Hermione, un po’ nervosa. «. Ehm… io credo che dovremmo bussare».
    Ron bussò, ma non ricevette risposta.
    «Deve essere sgattaiolato da qualche parte di sopra» disse, e senza perdere altro tempo aprì la porta. «Bleah!»
    Harry sbirciò dentro. L’armadio era occupato da un grosso e antiquato scaldabagno, ma nello spazio sotto i tubi Kreacher si era creato una specie di nido. Un groviglio di stracci e vecchie coperte puzzolenti era ammucchiato sul pavimento e un piccolo incavo mostrava il punto in cui Kreacher si acciambellava ogni notte. Qua e là c’erano croste di pane raffermo e vecchi pezzi ammuffiti di formaggio. In un angolo brillavano piccoli oggetti e monete che Kreacher, immaginò Harry, aveva salvato, come fanno le gazze, dalla gran pulizia di Sirius; era anche riuscito a recuperare le foto di famiglia incorniciate d’argento che Sirius aveva gettato via in estate. I vetri erano rotti, ma le piccole figure in bianco e nero lo guardavano ancora con arroganza, compresa (Harry sentì una piccola fitta allo stomaco) la donna scura dalle palpebre pesanti che aveva visto processare nel Pensatoio di Silente: Bellatrix Lestrange. A quanto pareva, la sua era la foto preferita di Kreacher; l’aveva messa davanti alle altre e aveva aggiustato alla meglio il vetro con il Magiscotch.
    «Lascio il regalo qui» decise Hermione, posando con cura il pacchetto nell’incavo delle coperte e chiudendo piano la porta. «Lo troverà dopo, va bene così».
    «Ora che ci penso» disse Sirius, sbucando dalla dispensa con un grosso tacchino fra le braccia, «qualcuno ha visto Kreacher ultimamente?»
    «Non lo vedo dalla notte in cui siamo tornati qui» rispose Harry. «Gli avevi ordinato di uscire dalla cucina».
    «Sì…» disse Sirius, accigliato. «Sai, credo che sia l’ultima volta che l’ho visto anch’io… dev’essere nascosto da qualche parte di sopra».
    «Non può essersene andato, vero?» chiese Harry. «Voglio dire, quando hai detto “fuori” potrebbe aver pensato che intendessi fuori di casa…»
    «No, no, gli elfi domestici non se ne possono andare a meno che non vengano regalati loro dei vestiti. Sono legati alla casa di famiglia» rispose Sirius.
    «Possono uscire di casa, se lo desiderano davvero» lo contraddisse Harry. «Dobby l’ha fatto, ha lasciato i Malfoy per venire a mettermi in guardia tre anni fa. Dopo ha dovuto punirsi, ma l’ha fatto»,
    Per un attimo Sirius parve turbato, poi disse: «Lo cercherò più tardi, magari è su a piangere tutte le sue lacrime sui vecchi mutandoni di mia madre o qualcosa del genere. Certo, potrebbe sempre essere strisciato nello stanzino delle scope ed essere morto lì… ma non voglio essere troppo ottimista».
    Fred, George e Ron risero; Hermione lo guardò male.
    Finito il pranzo, i Weasley avevano in programma di andare con Harry e Hermione a trovare di nuovo il signor Weasley, scortati da Malocchio e Lupin. Mundungus arrivò in tempo per il dolce, dopo essere riuscito a “prendere in prestito” un’auto, visto che la metropolitana non funzionava a Natale. L’auto, che Harry dubitava fosse stata presa con il consenso del proprietario, era stata ingrandita con un incantesimo simile a quello operato una volta sulla Ford Anglia dei Weasley. Anche se fuori era di proporzioni normali, dieci persone più Mundungus alla guida ci stavano abbastanza comode. La signora Weasley esitò prima di salire a bordo (Harry sapeva che la sua disapprovazione per Mundungus stava lottando contro l’antipatia verso i viaggi non magici), ma alla fine il freddo e l’insistenza dei figli ebbero la meglio, e si sistemò di buona grazia sul sedile posteriore, tra Fred e Bill.
    Il viaggio fino al San Mungo fu piuttosto veloce, dato che c’era poco traffico. Un piccolo gruppo di streghe e maghi avanzava furtivo verso l’ospedale nella strada altrimenti deserta. Harry e gli altri scesero dall’auto, e Mundungus svoltò dietro l’angolo per aspettarli. Si avviarono disinvolti verso la vetrina con il manichino vestito di nylon verde, poi, a uno a uno, entrarono attraverso il vetro.
    L’accettazione aveva un’aria piacevolmente festosa: i globi di cristallo erano stati colorati di rosso e oro per trasformarli in gigantesche decorazioni natalizie; l’agrifoglio era appeso a ogni porta; e in ciascun angolo scintillava un albero di Natale candido, coperto di neve e ghiaccioli magici e sormontato da una luminosa stella d’oro. La sala era meno affollata dell’ultima volta, anche se a un certo punto Harry fu spinto da parte da una strega con un mandarino nella narice sinistra.
    «Lite in famiglia, eh?» sogghignò la strega bionda dietro la scrivania. «È la terza che vedo oggi… Lesioni da incantesimo, quarto piano».
    Trovarono il signor Weasley seduto a letto, con i resti della porzione di tacchino su un vassoio posato in grembo e un’espressione piuttosto imbarazzata.
    «Tutto bene, Arthur?» gli chiese la signora Weasley, dopo che tutti l’ebbero salutato e gli ebbero consegnato i regali.
    «Bene, bene» rispose il signor Weasley, con un entusiasmo un po’ eccessivo. «Tu… ehm… non hai visto il Guaritore Smethwyck, vero?»
    «No» disse sospettosa sua moglie, «perché?»
    «Niente, niente» fece il signor Weasley con noncuranza, cominciando a scartare la sua pila di doni. «Avete avuto una buona giornata? Che cos’avete ricevuto per Natale? Oh, Harry… è assolutamente magnifico!» Aveva appena aperto il regalo di Harry: una serie di fusibili e di cacciavite.
    La signora Weasley non era soddisfatta della risposta del marito. Quando lui si sporse in avanti per stringere la mano a Harry, lei sbirciò le bende sotto la camicia da notte.
    «Arthur» la sua voce scattò secca come una trappola per topi, «ti hanno cambiato le bende. Come mai le hanno cambiate un giorno prima? A me avevano detto che l’avrebbero fatto domani».
    «Cosa?» balbettò il signor Weasley, allarmato, tirandosi le coperte sul petto. «No, no… non è niente… è che… io…»
    Parve sgonfiarsi sotto lo sguardo perforante di sua moglie.
    «Ecco… ora non ti arrabbiare, Molly, ma Augustus Pye ha avuto un’idea… è il Guaritore Tirocinante, sai, un ragazzo simpatico, è molto interessato alle… ehm… medicine complementari… insomma, ai vecchi rimedi Babbani… ecco, si chiamano punti di sutura, Molly, funzionano molto bene sulle… ferite Babbane…»
    La signora Weasley emise un suono minaccioso, a metà tra un grido e un ringhio. Lupin si allontanò dal letto e andò dal lupo mannaro, che non aveva visitatori e guardava malinconico la folla attorno al signor Weasley; Bill mormorò qualcosa su una tazza di tè, e Fred e George si precipitarono a seguirlo, sorridendo.
    «Stai cercando di dirmi» abbaiò la signora Weasley sempre più forte, apparentemente ignara della fuga dei suoi accompagnatori, «che ti sei messo a pasticciare con rimedi Babbani?»
    «Non a pasticciare, Molly cara» la corresse il signor Weasley supplichevole, «era solo… solo una cosa che Pye e io abbiamo pensato di provare… solo che, purtroppo… ecco, con queste ferite non sembra funzionare come speravamo…»
    «Sarebbe a dire?»
    «Ecco… ecco, non so se sai cosa… cosa sono i punti di sutura?»
    «Si direbbe che tu abbia cercato di ricucire insieme la pelle» disse la signora Weasley con una risata priva di allegria, «ma nemmeno tu, Arthur, potresti essere tanto stupido…»
    «Anch’io ho voglia di una tazza di tè» annunciò Harry, balzando in piedi.
    Hermione, Ron e Ginny schizzarono verso la porta con lui. Mentre la chiudevano, sentirono la signora Weasley urlare: «CHE COSA VUOL DIRE, L’IDEA È PIÙ O MENO QUELLA?»
    «Tipico di papà» commentò Ginny scuotendo il capo mentre si avviavano lungo il corridoio. «Punti di sutura… ma dico io…»
    «Be’, sai, sulle ferite non magiche funzionano bene» osservò Hermione. «Immagino però che in quel veleno di serpente ci sia qualcosa che li scioglie. Dove sarà la sala da tè?»
    «Quinto piano» disse Harry, ricordando il cartello dietro il banco informazioni.
    Oltrepassarono una porta a due battenti e trovarono una scricchiolante rampa di scale decorata con altri ritratti di Guaritori dall’aria feroce. Mentre salivano, vari Guaritori rivolsero loro la parola, diagnosticando strani disturbi e suggerendo orribili rimedi.
    Ron si offese sul serio quando un mago medioevale gli annunciò che sicuramente aveva una grave forma di spruzzolosi.
    «E che cosa sarebbe?» domandò furioso, quando il Guaritore lo inseguì per sei ritratti, spingendo da parte gli occupanti.
    «È una terribile affezione della pelle, mio giovane mastro, che ti lascerà butterato e ancora più raccapricciante di quanto tu già non sia…»
    «Raccapricciante a chi?» sbottò Ron, le orecchie paonazze.
    «…l’unico rimedio è prendere il fegato di un rospo, legartelo stretto attorno alla gola e stare nudo in un barile di occhi di anguilla durante una notte di luna…»
    «Io non ho la spruzzolosi!»
    «Ma le sgradevoli macchie sul tuo viso, giovin signore…»
    «Sono lentiggini!» urlò Ron furibondo. «Tornatene nel tuo ritratto e lasciami in pace!»
    Si voltò verso gli altri, che si sforzarono di restare seri.
    «Che piano è questo?»
    «Credo il quinto» disse Hermione.
    «No, il quarto» la corresse Harry. «Ancora uno…»
    Ma non appena mise piede sul pianerottolo si fermò di botto, fissando il vetro delle doppie porte che conducevano al reparto Lesioni da incantesimo. Un uomo li guardava con il naso premuto contro il vetro. Aveva capelli biondi e ondulati, occhi azzurro acceso e un ampio sorriso vacuo che scopriva denti bianchissimi.
    «Accidenti!» fece Ron, guardandolo anche lui.
    «Oh, cielo» esclamò Hermione, quasi senza fiato. «Professor Allock!»
    L’ex insegnante di Difesa contro le Arti Oscure di Hogwarts aprì le porte e avanzò verso di loro. Indossava una lunga vestaglia lilla.
    «Oh, salve!» disse. «Immagino che vogliate il mio autografo, vero?»
    «Non è cambiato molto, eh?» mormorò Harry a Ginny, che sorrise.
    «Ehm… come sta, professore?» chiese Ron, con un vago senso di colpa. Era stata la bacchetta difettosa di Ron a danneggiare la memoria del professor Allock al punto da farlo ricoverare al San Mungo; visto che però in quell’occasione Allock stava cercando di cancellare in modo permanente la memoria di Harry e di Ron, la solidarietà di Harry era molto moderata.
    «Sto molto bene, grazie!» esclamò Allock esuberante, estraendo dalla tasca una piuma di pavone piuttosto malconcia. «Quanti autografi volete? Adesso so scrivere anche con le lettere attaccate, sapete!»
    «Ehm… al momento non li vogliamo, grazie» rispose Ron rivolgendo uno sguardo perplesso a Harry, che chiese: «Professore, ha il permesso di andare in giro per i corridoi? Non dovrebbe restare in corsia?»
    Il sorriso svanì lentamente dal viso di Allock. Per qualche secondo fissò Harry, poi chiese: «Ma noi non ci conosciamo?»
    «Ehm… sì» rispose Harry. «Lei insegnava nella nostra classe a Hogwarts, ricorda?»
    «Insegnavo?» ripeté Allock un po’ spiazzato. «Chi, io?»
    Poi il sorriso riapparve sul suo volto, così repentino da risultare inquietante.
    «Vi ho insegnato tutto quello che sapete, immagino! Be’, che ne dite di quegli autografi, adesso? Ne facciamo una bella decina, così li potete dare a tutti i vostri amichetti e nessuno rimane senza!»
    Ma in quel momento una testa si affacciò da una porta in fondo al corridoio e una voce cinguettò: «Gilderoy, ragazzaccio, dove ti sei cacciato?»
    Una Guaritrice dall’aria materna, con un cerchietto di lamé nei capelli, venne loro incontro lungo il corridoio, sorridendo con calore a Harry e agli altri.
    «Oh, Gilderoy, hai visite! Che carino, e proprio il giorno di Natale! Sapete, non riceve mai visite, povero agnellino, e non capisco proprio perché, è un tale tesoro, non è vero?»
    «Stiamo facendo gli autografi!» disse Gilderoy alla Guaritrice con un altro smagliante sorriso. «Ne vogliono un mucchio, sono irremovibili! Spero solo di avere abbastanza fotografie!»
    «Sentitelo!» esclamò la Guaritrice, prendendolo per un braccio e guardandolo raggiante, come se fosse stato un bambino di due anni molto precoce. «Era piuttosto famoso qualche anno fa; noi ci auguriamo davvero che questa fissa per gli autografi sia un segno che la sua memoria sta cominciando a tornare. Venite da questa parte: è in un reparto riservato, dev’essere sgattaiolato fuori mentre distribuivo i regali di Natale, la porta di solito è chiusa a chiave… non che sia pericoloso! Ma vedete» proseguì con un sussurro, «è un po’ un pericolo per se stesso, povero caro… non ricorda chi è, si allontana e non sa più come tornare… siete stati molto carini a venire a trovarlo».
    «Ehm» fece Ron, accennando invano al piano di sopra, «in realtà noi stavamo… ehm…»
    Ma la Guaritrice sorrideva speranzosa, e il borbottio di Ron sfumò nel nulla. Si scambiarono uno sguardo disarmato, poi seguirono Allock e la sua Guaritrice lungo il corridoio.
    «Non ci fermiamo molto» disse Ron a bassa voce.
    La Guaritrice puntò la bacchetta verso la porta del reparto Janus Thickey e mormorò: «Alohomora». La porta si aprì e lei li precedette all’interno, mantenendo una presa ben salda sul braccio di Gilderoy finché non lo ebbe sistemato su una poltrona accanto al letto.
    «Questo è il nostro reparto lungodegenti» bisbigliò ai ragazzi. «Per lesioni permanenti da incantesimo, sapete. Naturalmente, con trattamenti intensivi di pozioni e incanti e un pizzico di fortuna possiamo ottenere un miglioramento. Gilderoy sembra aver recuperato un po’ di coscienza di sé; e il signor Bode sta facendo grandi progressi, sembra proprio che abbia ripreso a parlare, anche se ancora in lingue non comprensibili. Ora devo finire di distribuire i regali, vi lascio a chiacchierare».
    Harry si guardò intorno. Il reparto aveva le caratteristiche inequivocabili della degenza permanente. I pazienti avevano molti più oggetti personali che nel reparto del signor Weasley; la parete dietro il letto di Gilderoy, per esempio, era rivestita di sue foto, che sorridevano radiose e salutavano i nuovi arrivati. Ne aveva firmate parecchie con una grafia slegata e infantile. Non appena la Guaritrice l’ebbe sistemato nella poltrona, Gilderoy trasse a sé una nuova pila di fotografie, afferrò una piuma e cominciò ad autografarle tutte, in modo febbrile.
    «Puoi metterle tu nelle buste» disse a Ginny, gettandole in grembo le foto firmate una dopo l’altra. «Non mi hanno dimenticato, no, ricevo ancora una gran quantità di lettere dai fan… Gladys Gudgeon scrive tutte le settimane… vorrei solo sapere perché…» S’interruppe, un po’ perplesso, poi sorrise di nuovo e riprese a firmare con rinnovato vigore. «Immagino che sia per via del mio bell’aspetto».
    Un mago con l’aria lugubre e il viso olivastro giaceva nel letto di fronte: fissava il soffitto, mormorando fra sé, e non pareva accorgersi di nulla. Due letti più in là c’era una donna con la testa completamente coperta di pelliccia; Harry ricordò che una cosa simile era successa a Hermione al secondo anno, ma per fortuna nel suo caso il danno era stato temporaneo. Attorno a due letti in fondo alla stanza erano state tirate delle tendine a fiori, per offrire un po’ di intimità agli occupanti e ai loro visitatori.
    «Ecco qua, Agnes» disse allegra la Guaritrice alla donna pelosa, porgendole una piccola pila di regali di Natale. «Vedi che non ti dimenticano? E tuo figlio ha mandato un gufo per dire che ti verrà a trovare stasera. Carino, no?»
    Agnes abbaiò a lungo.
    «E guarda, Broderick, ti hanno mandato una piantina e un bel calendario con un Ippogrifo diverso per ogni mese; rallegrano l’ambiente, non ti pare?» disse la Guaritrice all’uomo che mormorava, posando sul comodino una pianta piuttosto brutta con lunghi tentacoli ondeggianti e fissando il calendario alla parete con un colpo di bacchetta. «E… oh, signora Paciock, va già via?»
    Harry si voltò. Le tendine in fondo alla stanza si erano aperte e due visitatori si allontanavano lungo il corridoio tra i letti: un’anziana strega dall’aspetto formidabile, con un lungo abito verde, una pelliccia di volpe tarmata e un cappello a punta adorno di quello che era senza dubbio un avvoltoio impagliato, e dietro di lei, con aria immensamente depressa… Neville.
    In un lampo, Harry capì chi doveva esserci in quei due letti. Si guardò disperatamente intorno alla ricerca di qualcosa che distraesse gli altri, in modo che Neville potesse uscire senza essere notato e senza dover dare spiegazioni, ma anche Ron si era voltato al suono di “Paciock” e prima che Harry potesse fermarlo gridò: «Neville!»
    Neville trasalì e si strinse nelle spalle come se un proiettile l’avesse appena mancato.
    «Siamo noi, Neville!» esclamò Ron allegro, alzandosi. «Hai visto…? C’è Allock! Tu chi sei venuto a trovare?»
    «Sono tuoi amici, Neville, caro?» gli chiese la nonna con grazia, avanzando rapida verso di loro.
    Neville aveva l’aria di uno che avrebbe preferito essere in qualunque altro posto. Un rossore violaceo si diffuse sul suo viso paffuto mentre cercava di evitare i loro sguardi.
    «Ah, sì» disse sua nonna, guardando attentamente Harry e porgendogli una mano rugosa, simile a un artiglio. «Sì, sì, so chi sei. Neville parla di te con grandissima ammirazione».
    «Ehm… grazie» mormorò Harry, stringendole la mano. Neville non lo guardò e continuò a fissarsi i piedi, sempre più rosso.
    «E voi due siete chiaramente dei Weasley» proseguì la signora Paciock, tendendo con un gesto regale la destra a Ron e poi a Ginny. «Conosco i vostri genitori… non bene, naturalmente… però è brava gente, davvero brava… e tu devi essere Hermione Granger, vero?»
    Hermione parve piuttosto sorpresa che la signora Paciock conoscesse il suo nome, ma le strinse comunque la mano.
    «Sì, Neville mi ha raccontato tutto di voi. Lo avete aiutato in un paio di situazioni spinose, vero? È un bravo ragazzo» proseguì, lanciando al nipote uno sguardo severo da sopra il naso ossuto, «ma non ha il talento di suo padre, temo» e accennò ai due letti in fondo, facendo tremare l’avvoltoio impagliato in maniera allarmante.
    «Che cosa?» disse Ron, sbalordito. (Harry voleva pestargli un piede, ma è difficile far passare inosservata una cosa del genere quando si portano i jeans invece della veste da mago). «C’è tuo padre laggiù, Neville?»
    «Che cosa significa?» chiese la signora Paciock in tono tagliente. «Non hai raccontato dei tuoi genitori agli amici, Neville?»
    Neville respirò a fondo, guardò il soffitto e scosse il capo. Harry non ricordava di essere mai stato tanto dispiaciuto per qualcuno, ma non riusciva a pensare a nulla che potesse trarre in salvo Neville da quella situazione.
    «Non c’è niente di cui vergognarsi!» si adirò la signora Paciock. «Tu dovresti essere orgoglioso, Neville, orgoglioso! Non hanno sacrificato la loro salute mentale perché il loro unico figlio si debba vergognare di loro, sai!»
    «Io non mi vergogno» mormorò Neville, sempre guardando qualunque cosa tranne Harry e gli altri. Ron si era alzato in punta di piedi per sbirciare nei due letti in fondo.
    «Be’, hai uno strano modo di dimostrarlo!» ribatté la signora Paciock. «Mio figlio e sua moglie» spiegò altera, «sono stati torturati fino alla pazzia dai seguaci di Voi-Sapete-Chi».
    Hermione e Ginny si portarono le mani alla bocca. Ron smise di tendere il collo per vedere i genitori di Neville e prese un’aria mortificata.
    «Erano Auror, sapete, molto rispettati nella comunità dei maghi» proseguì la signora Paciock. «Molto dotati entrambi. Io… sì, Alice cara, che cosa c’è?»
    La madre di Neville veniva verso di loro furtiva. Non aveva più il viso tondo e allegro che Harry aveva visto nella vecchia foto del primo Ordine della Fenice che gli aveva mostrato Moody. Era magra e sciupata, gli occhi sembravano enormi e i capelli, che erano diventati bianchi, ricadevano in ciocche stoppose. Non sembrava che volesse parlare, o forse non poteva, ma fece dei timidi gesti verso Neville, porgendogli qualcosa nella mano tesa.
    «Ancora?» disse la signora Paciock, in tono un po’ stanco. «Molto bene, Alice cara, molto bene… Prendilo, Neville, qualunque cosa sia».
    Ma Neville aveva già teso la mano, in cui sua madre mise un incarto vuoto di gomma Bolle Bollenti.
    «Molto gentile, tesoro» disse la nonna di Neville con finta allegria, battendo appena sulla spalla della nuora.
    Ma Neville mormorò: «Grazie, mamma».
    Sua madre si allontanò lungo la corsia, canticchiando tra sé. Neville guardò gli altri con espressione spavalda, come sfidandoli a ridere. Harry non credeva di aver mai avuto meno voglia di ridere in tutta la sua vita.
    «Be’, sarà meglio andare» sospirò la signora Paciock, infilandosi i lunghi guanti verdi. «Sono davvero lieta di avervi conosciuti. Neville, butta quella carta nel cestino, con tutte quelle che ti ha dato potresti tappezzarci la stanza».
    Ma, mentre si allontanavano, Harry fu sicuro di aver visto Neville infilarsi la carta della gomma in tasca.
    La porta si chiuse alle loro spalle.
    «Non lo sapevo» disse Hermione, con gli occhi lucidi.
    «Nemmeno io» disse roco Ron.
    «E io neppure» sussurrò Ginny.
    Tutti guardarono Harry.
    «Io sì» mormorò lui, cupo. «Me l’ha detto Silente, ma avevo promesso di non parlarne con nessuno… è per questo che Bellatrix Lestrange è finita ad Azkaban: ha usato la Maledizione Cruciatus sui genitori di Neville finché non hanno perso la ragione».
    «È stata Bellatrix Lestrange?» bisbigliò Hermione agghiacciata. «La donna di cui Kreacher tiene la foto nella tana?»
    Ci fu un lungo silenzio, rotto dalla voce furiosa di Allock.
    «Sentite, io non ho mica imparato a scrivere tutto attaccato per niente!»
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