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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Lo scarabeo in trappola


   Harry ebbe la risposta il mattino dopo. Quando Hermione ricevette La Gazzetta del Profeta, fissò per un momento la prima pagina e poi emise un’esclamazione che fece voltare tutti i vicini.
    «Che cosa c’è?» chiesero all’unisono Harry e Ron.
    Hermione distese il giornale sul tavolo davanti a loro e indicò le dieci fotografie in bianco e nero che occupavano tutta la prima pagina: erano nove maghi e una strega. Alcuni si limitavano a esibire un’espressione beffarda; altri tamburellavano con le dita sulle cornici delle loro foto, con aria insolente. Sotto ciascuna immagine erano scritti il nome della persona e il crimine per cui era stata rinchiusa ad Azkaban.
    Antonin Dolohov, diceva la didascalia sotto un mago dal viso pallido, lungo e contorto, che sorrideva sprezzante all’indirizzo di Harry, condannato per il brutale omicidio di Gideon e Fabian Prewett.
    Augustus Rookwood, recitava quella di un uomo butterato dai capelli unti, appoggiato al margine della propria foto con aria annoiata, condannato per aver rivelato segreti del Ministero della Magia a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
    Lo sguardo di Harry fu però attratto dalla strega; quel viso gli era balzato agli occhi immediatamente. Aveva lunghi capelli scuri arruffati e incolti, ma Harry li aveva visti quando erano lisci, folti e lucenti. Lo guardava con scarsa simpatia da sotto le palpebre pesanti, e un sorriso di arrogante disprezzo le aleggiava sulle labbra sottili. Come Sirius, recava le tracce di una grande bellezza, ma qualcosa, forse Azkaban, doveva avergliela sottratta quasi tutta.
    Bellatrix Lestrange, condannata per aver provocato con la tortura l’invalidità permanente di Frank e Alice Patiock.
    Hermione indicò a Harry il titolo sopra le foto, che lui, concentrato su Bellatrix, non aveva ancora letto.
   
    EVASIONE DI MASSA DA AZKABAN
    IL MINISTERO TEME CHE BLACK SIA IL “PUNTO DI RIFERIMENTO” PER GLI EX MANGIAMORTE
   
    «Black?» disse Harry a voce alta. «Non…?»
    «Ssst!» bisbigliò disperata Hermione. «Non così forte… leggilo e basta!»
   
    Il Ministero della Magia ha annunciato nella tarda serata di ieri un’evasione di massa da Azkaban.
    Parlando con i giornalisti nel suo studio privato, il Ministro della Magia Cornelius Caramell ha confermato che dieci prigionieri dell’ala di massima sicurezza sono evasi nelle prime ore della serata di ieri e che il Primo Ministro Babbano è già stato informato della natura pericolosa di questi individui.
    «Ci ritroviamo purtroppo nella stessa condizione di due anni e mezzo fa, quando fuggì il pluriomicida Sirius Black» ha dichiarato Caramell. «E riteniamo che le due evasioni siano collegate. Una fuga di questa entità presuppone un aiuto dall’esterno, e occorre ricordare che Black, il primo che sia riuscito a evadere da Azkaban, sarebbe nella posizione ideale per aiutare altri a seguire le sue orme. Riteniamo probabile che questi individui, tra i quali c’è anche la cugina di Black, Bellatrix Lestrange, si siano raccolti attorno a lui facendone il loro leader. Stiamo comunque tentando il possibile per ritrovare i criminali e raccomandiamo a tutta la comunità dei maghi la massima cautela. Per nessun motivo questi individui devono essere avvicinati».
   
    «Eccoti servito, Harry» disse Ron sgomento. «Ecco perché era felice ieri notte».
    «Non ci posso credere» sbottò Harry. «Caramell dà la colpa dell’evasione a Sirius?»
    «Che altre possibilità ha?» ribatté Hermione amareggiata. «Dubito che potesse dire “Ehi, scusate tutti quanti, Silente mi aveva avvertito che poteva succedere, le guardie di Azkaban si sono unite a Lord Voldemort”… smettila di piagnucolare, Ron… “e ora i peggiori complici di Voldemort sono evasi”. Insomma, ha passato gli ultimi sei mesi a dire a tutti che tu e Silente siete due bugiardi, no?»
    Hermione aprì il giornale con un gesto secco e prese a leggere l’articolo all’interno mentre Harry si guardava intorno nella Sala Grande. Non riusciva a capire come mai i suoi compagni di scuola non fossero spaventati, o perlomeno non stessero discutendo della terribile notizia in prima pagina, ma erano pochi quelli che leggevano il giornale tutte le mattine come Hermione. Eccoli là, tutti a parlare di Quidditch e chissà quali altre sciocchezze, quando fuori da quelle mura altri dieci Mangiamorte avevano ingrossato le file di Voldemort.
    Lanciò un’occhiata al tavolo dei professori. Lì l’atmosfera era diversa: Silente e la McGranitt erano immersi in fitta conversazione, e avevano l’aria molto seria. La professoressa Sprite aveva appoggiato La Gazzetta del Profeta contro una bottiglia di ketchup e leggeva la prima pagina con tanta concentrazione che non aveva notato il tuorlo d’uovo che le stava sgocciolando addosso dal cucchiaino. Nel frattempo, all’altro capo del tavolo, la professoressa Umbridge stava attaccando una scodella di porridge. Per una volta i suoi occhi da rospo non ispezionavano la Sala Grande in cerca di studenti indisciplinati. Mandava giù i bocconi con aria contrariata e di tanto in tanto lanciava uno sguardo malevolo a Silente e alla McGranitt intenti ai loro discorsi.
    «Oh, cielo…» esclamò Hermione sbalordita, sempre guardando il giornale.
    «Che altro c’è?» chiese Harry, nervoso.
    «È… orribile» Hermione rabbrividì. Ripiegò il giornale a pagina dieci e lo porse a Harry e Ron.
   
    TRAGICA MORTE DI UN DIPENDENTE DEL MINISTERO
    L’Ospedale San Mungo si è impegnato ad avviare un’approfondita inchiesta, dopo che ieri notte Broderick Bode, 49 anni, dipendente del Ministero della Magia, è stato trovato morto nel suo letto, strangolato da una pianta in vaso. I Guaritori accorsi sulla scena non hanno potuto rianimare il signor Bode, che era rimasto vittima di un infortunio sul lavoro qualche settimana fa.
    La Guaritrice Miriam Strout, responsabile del reparto al momento dell’incidente, è stata sospesa e non ha voluto commentare il fatto, ma un portavoce dell’ospedale ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Il San Mungo esprime il suo profondo rammarico per la morte del signor Bode, che dava segni di miglioramento prima del tragico incidente.
    «Le direttive sugli ornamenti ammessi nei reparti sono molto severe, ma a quanto sembra la Guaritrice Strout, oberata dagli impegni natalizi, non ha valutato i rischi della pianta sul comodino del signor Bode. Visto che le sue capacità verbali e di movimento miglioravano, la Guaritrice Strout ha incoraggiato il signor Bode a curare la pianta lui stesso, ignara del fatto che non si trattava di un innocente Erullobulbo, ma di un germoglio di Tranello del Diavolo: quando il convalescente signor Bode l’ha toccato, lo ha strangolato all’istante.
    «Il San Mungo non è ancora in grado di spiegare la presenza della pianta nel reparto e chiede a qualsiasi strega o mago che abbia informazioni in merito di farsi avanti.».
   
    «Bode…» disse Ron. «Bode. Mi ricorda qualcosa…»
    «L’abbiamo visto» sussurrò Hermione. «Al San Mungo, no? Era nel letto di fronte a quello di Allock, e guardava il soffitto. E abbiamo visto arrivare il Tranello del Diavolo. Lei… la Guaritrice… ha detto che era un regalo di Natale».
    Harry guardò di nuovo l’articolo. Un senso di orrore gli saliva in gola come bile.
    «Come abbiamo fatto a non riconoscere il Tranello del Diavolo? L’avevamo già visto… avremmo potuto impedirlo».
    «Chi va a immaginare che il Tranello del Diavolo arrivi in un ospedale travestito da pianta in vaso?» ribatté brusco Ron. «Non è colpa nostra, ma di chi l’ha mandato a quel poveraccio! Dev’essere un idiota, perché non ha controllato prima di comprare la pianta?»
    «Oh, andiamo, Ron!» disse Hermione, scossa. «Non credo che una persona possa mettere il Tranello del Diavolo in un vaso senza sapere che cercherà di uccidere chiunque lo tocchi! Questo è un omicidio… un omicidio astuto, direi… se il mittente è anonimo, chi riuscirà a scoprire chi è stato?»
    Harry non stava pensando al Tranello del Diavolo. Ricordava il giorno dell’udienza, quando aveva preso l’ascensore per il Nono Livello del Ministero, e l’uomo dal volto olivastro che era entrato al livello dell’Atrium.
    «Avevo incontrato Bode» disse lentamente. «Al Ministero con tuo padre».
    Ron spalancò la bocca.
    «Ho sentito papà parlare di lui a casa! Era un Indicibile, lavorava all’Ufficio Misteri!»
    Si guardarono per qualche secondo, poi Hermione riprese il giornale, lanciò un’occhiata torva alle foto dei dieci Mangiamorte evasi e infine balzò in piedi.
    «Dove vai?» chiese Ron, stupito.
    «A scrivere una lettera» disse Hermione, mettendosi la borsa in spalla. «Io… non so se… ma vale la pena tentare… e sono l’unica che può farlo».
    «Odio quando fa così» borbottò Ron; lui e Harry si alzarono dal tavolo e si avviarono, molto più lentamente, fuori dalla Sala Grande. «Crede che la ucciderebbe dirci che cos’ha in mente, ogni tanto? Le bastavano solo dieci secondi… ehi, Hagrid!»
    Hagrid era accanto al portone nella Sala d’Ingresso, e aspettava il passaggio di una folla di Corvonero. Aveva il volto ancora tumefatto come il giorno in cui era tornato dalla missione e un nuovo taglio gli attraversava il naso.
    «Tutto a posto, voi due?» disse, tentando un sorriso ma ottenendo solo una smorfia di dolore.
    «Come stai?» gli chiese Harry, affiancandolo mentre seguiva gli allievi di Corvonero.
    «Bene, bene» rispose Hagrid con un pietoso tentativo di sembrare disinvolto: agitò una mano e per poco non colpì il professor Vector che stava passando. «Ho un mucchio da fare, la solita roba… lezioni da preparare, un paio di salamandre hanno le squame marcite… e sono in verifica» mormorò.
    «Sei in verifica?» disse Ron a voce altissima, facendo voltare molti studenti. «Scusa…, sei in verifica?» bisbigliò.
    «Sì» rispose Hagrid. «Be’, insomma, me l’aspettavo. Magari voi non ci avete fatto caso, ma quell’ispezione non è mica andata tanto bene… a ogni modo» sospirò. «Meglio che vado a mettere un altro po’ di polvere di peperoncino su quelle salamandre o va a finire che le devo appendere per la coda. Ci vediamo, Harry… Ron…»
    Uscì dal portone e scese i gradini di pietra fino al prato umido. Harry lo guardò allontanarsi e si chiese quante altre cattive notizie avrebbe potuto sopportare.
   
    * * *
    Nei giorni seguenti il fatto che Hagrid era in verifica divenne di pubblico dominio, ma con grande indignazione di Harry quasi nessuno ne fu turbato; al contrario alcuni ragazzi, tra i quali spiccava Draco Malfoy, furono decisamente contenti. Quanto alla strana morte di un oscuro dipendente dell’Ufficio Misteri ricoverato al San Mungo, Harry, Ron e Hermione sembravano gli unici a esserne al corrente e a preoccuparsene. C’era solo un argomento di conversazione nei corridoi, ormai: la fuga dei dieci Mangiamorte. La storia si era finalmente diffusa nella scuola grazie ai pochi che leggevano il giornale. Girava voce che alcuni evasi fossero stati visti a Hogsmeade, si nascondessero nella Stamberga Strillante e stessero per introdursi a Hogwarts, come aveva già fatto una volta Sirius Black.
    I ragazzi che venivano da famiglie di maghi erano cresciuti sentendo pronunciare i nomi dei Mangiamorte con altrettanto timore di quello di Voldemort; i crimini che avevano commesso durante il suo regno di terrore erano leggendari. C’erano parenti delle vittime tra gli studenti di Hogwarts, che si ritrovavano loro malgrado a godere di una sorta di macabra fama riflessa: Susan Bones, i cui zii e cugini erano tutti morti per mano di uno di quei dieci, disse cupa durante la lezione di Erbologia che capiva bene come doveva sentirsi Harry.
    «E non so come fai a sopportarlo… è terribile» concluse bruscamente, mettendo troppo letame di drago sul suo vassoio di semi di Stridiosporo che si contorsero e squittirono infastiditi.
    Era vero che i mormorii intorno a Harry erano aumentati in quei giorni, eppure credette di riconoscere un leggero cambiamento di tono. Sembravano più curiosi che ostili, e un paio di volte fu certo di aver udito frammenti di discorsi che esprimevano insoddisfazione per la versione del Profeta sulla fuga dei Mangiamorte da Azkaban. Tra la paura e la confusione, i dubbiosi sembravano optare per la sola spiegazione plausibile: quella che Harry e Silente sostenevano fin dall’anno prima.
    Non era solo l’umore dei ragazzi a essere cambiato. Ormai era piuttosto normale incontrare nei corridoi gruppi di due o tre insegnanti che parlottavano concitati, per tacere non appena uno studente si avvicinava.
    «È chiaro che non possono più parlare liberamente in sala professori» sussurrò Hermione un giorno, mentre lei, Harry e Ron superavano un gruppetto composto dalla McGranitt, Vitious e la Sprite fuori dall’aula di Incantesimi. «Non con la Umbridge intorno».
    «Credi che sappiano qualcosa di nuovo?» chiese Ron, guardando i tre insegnanti da sopra la spalla.
    «Se è così, a noi non diranno niente, no?» disse Harry con rabbia. «Non dopo il Decreto… a che numero siamo arrivati?» Infatti era comparso un nuovo avviso nelle bacheche la mattina dopo la notizia della fuga da Azkaban:
   
    PER ORDINE DELL’INQUISITORE SUPREMO DI HOGWARTS
    Agli insegnanti è fatto assoluto divieto d’ora in poi di fornire agli allievi qualunque informazione che non sia strettamente pertinente alle materie che insegnano.
    Quanto sopra ai sensi del Decreto Didattico Numero Ventisei.
    Firmato: Dolores Jane Umbridge, Inquisitore Supremo
    Quest’ultimo decreto aveva provocato una gran quantità di battute tra gli studenti. Lee Jordan aveva fatto notare alla Umbridge che in base alle nuove regole non era autorizzata a sgridare Fred e George perché giocavano a Spara Schiocco in fondo all’aula.
    «Spara Schiocco non ha nulla a che vedere con la Difesa contro le Arti Oscure, professoressa! Non si tratta di informazioni pertinenti alla sua materia!»
    Quando Harry rivide Lee, il dorso della sua mano sanguinava parecchio. Harry gli consigliò l’essenza di Purvincolo.
    Harry era convinto che l’evasione da Azkaban avrebbe fatto abbassare la cresta alla Umbridge, che la catastrofe avvenuta proprio sotto il naso del suo adorato Caramell l’avrebbe sconvolta. Invece il suo desiderio furioso di portare sotto il proprio controllo ogni aspetto della vita di Hogwarts si intensificò. Sembrava determinata a ottenere almeno un licenziamento quanto prima, e l’unica domanda era se sarebbe toccato alla professoressa Cooman o a Hagrid.
    Ogni lezione di Divinazione e di Cura delle Creature Magiche si svolgeva ormai in presenza della Umbridge e della sua tavoletta. Si appostava accanto al fuoco nella stanza troppo profumata sulla Torre, interrompendo i discorsi sempre più isterici della Cooman con domande difficili sull’ornitomanzia e sull’eptomologia, insistendo perché prevedesse le risposte degli allievi e pretendendo che dimostrasse la propria abilità con la sfera di cristallo, le foglie di tè e le pietre runiche. Harry si aspettava che la Cooman cedesse presto alla tensione. Spesso la incrociò nei corridoi (cosa insolita, perché in genere restava nella sua stanza nella Tone) e la vide mormorare rabbiosamente fra sé, torcendosi le mani e lanciandosi occhiate terrorizzate alle spalle, sempre accompagnata da un forte odore di sherry scadente. Se non fosse stato tanto preoccupato per Hagrid, si sarebbe dispiaciuto per lei… ma se uno solo di loro doveva perdere il posto, Harry non aveva dubbi su chi preferiva che restasse.
    Purtroppo non poteva fare a meno di notare che Hagrid non offriva uno spettacolo migliore della Cooman. Anche se apparentemente seguiva i consigli di Hermione e da prima di Natale non aveva mostrato nulla di più pericoloso di un Crup (creatura indistinguibile da un Jack Russell terrier, a parte la coda biforcuta) sembrava che avesse perso la calma anche lui. Era stranamente distratto e suscettibile durante le lezioni, perdeva il filo del discorso e continuava a guardare nervosamente la Umbridge. Era anche molto meno affettuoso con Harry, Ron e Hermione, e aveva espressamente vietato loro di andarlo a trovare dopo il tramonto.
    «Se vi becca ci rimettiamo il collo tutti» spiegò avvilito, e poiché non volevano fare nulla che lo inguaiasse ancor di più, obbedirono.
    A Harry sembrava che la Umbridge lo privasse sistematicamente di tutto ciò che rendeva la vita a Hogwarts degna di essere vissuta: le visite a Hagrid, le lettere di Sirius, la sua Firebolt e il Quidditch. Si vendicò nel solo modo possibile: raddoppiando i suoi sforzi per l’ES.
    Era felice di vedere che tutti, compreso Zacharias Smith, lavoravano ancora più intensamente da quando sapevano che c’erano altri dieci Mangiamorte in libertà, ma in nessuno il miglioramento fu vistoso quanto in Neville. La fuga degli aggressori dei suoi genitori aveva provocato in lui una strana trasformazione, a dire il vero un po’ inquietante. Non una volta aveva accennato all’incontro con Harry, Ron e Hermione nel reparto riservato del San Mungo e, seguendo il suo esempio, anche loro non ne avevano parlato. E non aveva detto una parola sull’evasione di Bellatrix e dei suoi amici torturatori. In effetti, Neville non diceva quasi più niente durante le riunioni dell’ES, ma si dedicava senza posa a ogni incantesimo e contromaledizione che Harry spiegava, il viso paffuto contratto per la concentrazione, indifferente alle ferite e agli incidenti, lavorando più duro degli altri. Migliorava così in fretta che dava quasi ai nervi, e quando Harry insegnò loro il Sortilegio Scudo (per riflettere fatture minori in modo che rimbalzassero contro l’assalitore) solo Hermione s’impadronì dell’incantesimo prima di Neville.
    Harry avrebbe dato molto per riuscire a fare in Occlumanzia i progressi di Neville in Difesa contro le Arti Oscure. Gli incontri con Piton, che già erano cominciati male, non miglioravano. Al contrario, Harry avvertiva di peggiorare a ogni lezione.
    Prima di cominciare a studiare Occlumanzia, la sua cicatrice pizzicava ogni tanto, di solito di notte, o durante uno di quegli strani picchi dell’umore di Voldemort. Invece ora non smetteva mai di bruciare, e spesso Harry avvertiva un senso improvviso di fastidio o allegria che non aveva alcun legame con ciò che gli stava succedendo, accompagnato da una fitta particolarmente dolorosa alla fronte. Aveva l’orribile sensazione di essersi trasformato in una sorta di antenna sintonizzata sulle minime fluttuazioni d’umore di Voldemort, ed era certo di poter fare risalire l’inizio di questa sensibilità esasperata alla prima lezione di Occlumanzia con Piton. In più, sognava quasi ogni notte di camminare lungo il corridoio che portava all’Ufficio Misteri, e finiva sempre con lui che si fermava a guardare con desiderio la semplice porta nera.
    «Forse è un po’ come una malattia» disse Hermione preoccupata, quando Harry si confidò con lei e Ron. «Un’influenza, qualcosa del genere. Deve peggiorare prima di poter migliorare».
    «Sono le lezioni di Piton che la fanno peggiorare» rispose Harry. «Non ne posso più di questo dolore alla cicatrice, e mi sono stufato di camminare lungo quel corridoio tutte le notti». Si strofinò la fronte con rabbia. «Vorrei solo che quella porta si aprisse, mi sono stufato di stare lì a guardarla…»
    «Non scherzare» lo interruppe Hermione brusca. «Silente non vuole che tu sogni quel corridoio, o non avrebbe chiesto a Piton di insegnarti Occlumanzia. Devi solo impegnarti un po’ di più».
    «Io mi sto impegnando!» protestò Harry, punto sul vivo. «Provaci tu qualche volta… Piton che cerca di entrarti nella testa… non è proprio uno spasso, sai!»
    «Forse…» cominciò Ron.
    «Forse cosa?» sbottò Hermione.
    «Forse non è colpa di Harry se non riesce a chiudere la mente» disse cupo Ron.
    «In che senso?» chiese Hermione.
    «Be’, forse Piton non sta proprio cercando di aiutarlo…»
    Harry e Hermione lo fissarono. Ron li ricambiò con uno sguardo gravido di significati.
    «Forse» ripeté a voce ancora più bassa, «invece, cerca di aprire la mente di Harry un po’ di più… per facilitare Voi-Sapete…»
    «Taci, Ron» intervenne Hermione infuriata. «Quante volte hai sospettato di Piton, e quando mai hai avuto ragione? Silente si fida di lui, lavora per l’Ordine, e questo ci deve bastare».
    «Era un Mangiamorte» insisté Ron. «E non abbiamo mai avuto la prova che abbia davvero cambiato bandiera».
    «Silente si fida di lui» ripeté Hermione. «E se noi non possiamo fidarci di Silente, non possiamo fidarci di nessuno».
   
    * * *
    Con tali preoccupazioni e tante cose da fare (una sconcertante quantità di compiti che spesso tenevano in piedi gli allievi del quinto oltre la mezzanotte, le riunioni segrete dell’ES e le lezioni con Piton) gennaio parve passare a una velocità allarmante. Prima che Harry se ne rendesse conto, arrivò febbraio, portando con sé un clima più umido e mite e l’attesa della seconda visita a Hogsmeade. Harry aveva avuto pochissimo tempo per parlare con Cho da quando avevano deciso di andare al villaggio insieme, ma ecco che all’improvviso si ritrovò davanti la prospettiva di trascorrere tutto il giorno di San Valentino con lei.
    La mattina del quattordici si vestì con cura particolare. Lui e Ron scesero a colazione appena in tempo per l’arrivo dei gufi postali. Edvige non c’era (non che Harry la stesse aspettando), ma mentre si sedevano al tavolo Hermione sfilò una lettera dal becco di un gufo marrone sconosciuto.
    «Era ora! Se non fosse arrivata oggi…» disse, aprendo avidamente la busta ed estraendone un piccolo foglio di pergamena. Scorse in fretta il messaggio e un’espressione di cupo compiacimento si diffuse sul suo viso.
    «Senti, Harry» disse, alzando lo sguardo, «è una cosa importante. Credi che possiamo incontrarci ai Tre Manici di Scopa verso mezzogiorno?»
    «Be’… non so» rispose Harry esitante. «Cho forse si aspetta che passiamo tutta la giornata insieme. Non abbiamo ancora deciso cosa fare».
    «Porta anche lei, allora» incalzò Hermione. «Verrai?»
    «Va bene… ma perché?»
    «Non ho tempo di spiegartelo adesso, devo rispondere subito a questa».
    E scappò via dalla Sala Grande, con la lettera stretta in una mano e una fetta di pane tostato nell’altra.
    «Tu vieni?» chiese Harry a Ron, ma lui scosse il capo con aria abbattuta.
    «Non posso proprio, Angelina vuole che ci alleniamo tutto il giorno. Come se servisse a qualcosa… siamo la peggiore squadra mai esistita. Dovresti vedere Sloper e Kirke, sono patetici, ancora peggio di me» Fece un gran sospiro. «Non so perché Angelina non mi lascia dare le dimissioni e basta».
    «Perché quando sei in forma sei bravo, ecco perché» replicò Harry, irritato.
    Trovava molto difficile essere solidale con Ron, visto che lui avrebbe dato più o meno qualunque cosa per poter giocare nella prossima partita contro Tassorosso. Ron parve notare il tono di Harry, perché non nominò più il Quidditch durante la colazione, e nel modo in cui si salutarono poco dopo c’era un’ombra di gelo. Ron si avviò verso il campo di Quidditch e Harry, dopo aver tentato di lisciarsi i capelli specchiandosi nel dorso di un cucchiaino, andò da solo nella Sala d’Ingresso a incontrare Cho, chiedendosi con grande preoccupazione di che accidenti avrebbero parlato.
    Lei lo stava aspettando vicino al portone di quercia; era molto graziosa, con i capelli legati in una coda. Mentre le si avvicinava, a Harry parve di avere i piedi troppo grandi rispetto al corpo, e all’improvviso fu orribilmente consapevole di possedere due braccia e di quanto dovevano sembrare stupide, così appese lungo i fianchi.
    «Ciao» disse Cho, trattenendo il respiro.
    «Ciao» rispose Harry.
    Si guardarono per un attimo, poi Harry disse: «Be’… ehm… andiamo?»
    «Oh. Sì…»
    Si unirono alla fila delle persone che Gazza spuntava dall’elenco, sorridendo appena quando i loro sguardi s’incrociavano, ma senza parlare. Harry fu contento di uscire all’aria fresca: era più facile camminare in silenzio che stare lì fermi e impacciati. Era una giornata fresca, con una brezza leggera; quando passarono davanti allo stadio del Quidditch, Harry intravide Ron e Ginny in volo radente sugli spalti e sentì un’orribile stretta al cuore per non essere lì con loro.
    «Ti manca molto, eh?» disse Cho.
    Harry si voltò e vide che lei lo guardava.
    «Sì» sospirò. «Molto».
    «Ti ricordi la prima volta che abbiamo giocato da avversari, al terzo anno?» chiese lei.
    «Sì» rispose Harry sorridendo. «Non la smettevi di marcarmi».
    «E Baston ti diceva di non fare tanto il gentiluomo e buttarmi giù dalla scopa, se necessario» ricordò Cho con un sorriso nostalgico. «Ho sentito che è entrato nel Portree Pride, è vero?»
    «No, è il Puddlemere United; l’ho visto alla Coppa del Mondo l’anno scorso».
    «Oh, c’ero anch’io, ricordi? Eravamo nello stesso campeggio. È stato proprio bello».
    L’argomento “Coppa del Mondo di Quidditch” li accompagnò per tutto il viale e fuori dai cancelli. Harry stentava a credere quanto fosse facile parlare con lei (non più difficile, in effetti, che parlare con Ron e Hermione), e stava appena cominciando a sentirsi più sicuro e allegro, quando un manipolo di ragazze di Serpeverde, tra cui Pansy Parkinson, passò loro accanto.
    «Potter e Chang!» squittì Pansy, accompagnata da un coro di risatine di scherno. «Bleah, Chang, che razza di gusti… almeno Diggory era carino!»
    Le ragazze passarono oltre, parlando e strillando in modo allusivo, con occhiate spudorate a Harry e Cho, lasciandosi alle spalle un silenzio imbarazzato. Harry non riuscì a trovare nient’altro da dire sul Quidditch, e Cho, un po’ rossa in viso, si guardava i piedi.
    «Allora… dove ti piacerebbe andare?» chiese Harry quando entrarono a Hogsmeade. La via principale era piena di studenti che passeggiavano, guardando le vetrine e intasando i marciapiedi.
    «Oh… per me fa lo stesso» disse Cho, stringendosi nelle spalle. «Ehm… diamo un’occhiata ai negozi?»
    S’incamminarono verso Mondomago. Un piccolo gruppo di abitanti del villaggio stava guardando un grande manifesto affisso alla vetrina. Si spostarono quando Harry e Cho si avvicinarono, e Harry si ritrovò ancora una volta a fissare le immagini dei dieci Mangiamorte evasi. Il manifesto, Per ordine del Ministero della Magia, offriva una ricompensa di mille galeoni a qualunque mago o strega che fornisse informazioni utili alla cattura dei fuggiaschi.
    «È strano» disse Cho a bassa voce, gli occhi fissi sulle foto, «ricordi quando quel Sirius Black è fuggito, e Hogsmeade era piena di Dissennatori che lo cercavano? Adesso ci sono dieci Mangiamorte in libertà e non c’è un solo Dissennatore in giro…»
    «Sì» fece Harry, distogliendo lo sguardo dal viso di Bellatrix Lestrange e puntandolo sulla strada. «Sì, è strano».
    Non gli dispiaceva che non ci fossero Dissennatori in circolazione, ma in effetti la loro assenza dava da pensare. Non solo avevano lasciato fuggire i Mangiamorte, ma non si prendevano nemmeno la briga di cercarli… ormai sembrava che i Dissennatori fossero davvero fuori dal controllo del Ministero.
    I dieci evasi si affacciavano da ogni vetrina. Quando Harry e Cho passarono davanti al negozio di Scrivenshaft, cominciò a piovere; grosse gocce fredde che colpivano Harry in faccia e sulla nuca.
    «Ehm… ti va un caffè?» propose Cho esitante, mentre la pioggia cadeva più forte.
    «Certo» rispose Harry guardandosi intorno. «Ma dove?»
    «Oh, c’è un posto molto carino più avanti; non sei mai stato da Madama Piediburro?» disse allegramente Cho, guidandolo in una stradina laterale verso una sala da tè che Harry non aveva mai notato. Era un piccolo posto affollato e caldo, dove tutto sembrava adorno di fiocchi e trine. A Harry ricordò spiacevolmente l’ufficio della Umbridge.
    «Carino, no?» chiese Cho, deliziata.
    «Ehm… sì» mentì Harry.
    «Guarda, l’ha decorato per San Valentino!» esclamò Cho, indicando una quantità di putti d’oro che fluttuavano sopra i tavolini tondi e di tanto in tanto scagliavano una manciata di coriandoli rosa sugli avventori.
    «Aaah…»
    Si sedettero all’unico tavolo libero, vicino alla finestra appannata. Roger Davies, il Capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, era seduto a mezzo metro da loro con una graziosa ragazza bionda. Si tenevano per mano. La scena mise Harry a disagio, soprattutto quando, guardandosi attorno, notò che in sala c’erano solo coppie, e tutte si tenevano per mano. Forse Cho si aspettava che anche lui la tenesse per mano.
    «Che cosa vi porto, cari?» chiese Madama Piediburro, una donna massiccia con un lucente chignon nero, passando con gran difficoltà fra il loro tavolo e quello di Roger Davies.
    «Due caffè» rispose Cho.
    Nel frattempo, Roger Davies e la sua ragazza presero a baciarsi sopra la zuccheriera. Harry avrebbe preferito che non lo facessero; sentiva che Davies stava fissando un livello con il quale Cho si sarebbe presto aspettata di vederlo competere. Si sentì avvampare e cercò di guardare fuori, ma la finestra era così appannata che non si vedeva nulla. Per rimandare il momento in cui avrebbe dovuto voltarsi verso Cho, prese a fissare il soffitto come per studiare i dipinti e ricevette una manciata di coriandoli in piena faccia dal loro putto sospeso a mezz’aria.
    Dopo qualche altro penoso minuto, Cho nominò la Umbridge. Harry si aggrappò all’argomento con sollievo e passarono qualche momento felice a insultarla, ma il soggetto era stato ampiamente discusso durante le riunioni dell’ES, e non durò a lungo. Ricadde il silenzio. Harry era molto consapevole dei suoni umidi provenienti dal tavolo accanto e si guardo intorno con disperazione, in cerca di qualcos’altro da dire.
    «Ehm… senti, ti va di venire con me ai Tre Manici di Scopa all’ora di pranzo? Hermione Granger mi aspetta lì».
    Cho inarcò le sopracciglia.
    «Ti vedi con Hermione Granger? Oggi?»
    «Sì. Insomma, me l’ha chiesto lei, quindi pensavo di andarci. Mi vuoi accompagnare? Lei ha detto che faceva lo stesso, se venivi».
    «Oh… be’… gentile da parte sua».
    Ma Cho non sembrava affatto convinta che fosse gentile. Al contrario, il suo tono era freddo e all’improvviso parve piuttosto ostile.
    Passò qualche altro minuto nel silenzio più totale; Harry beveva il caffè così in fretta che avrebbe presto avuto bisogno di un’altra tazza. Accanto a loro, Roger Davies e la sua ragazza sembravano incollati per le labbra.
    La mano di Cho era sul tavolo accanto al suo caffè e Harry sentiva un impulso crescente che lo spingeva a prenderla. Fallo e basta, si disse, pervaso da un misto di panico ed eccitazione, allunga la mano e prendila. Straordinario, quanto stendere il braccio di venti centimetri e toccarle la mano fosse più difficile che afferrare un Boccino saettante nell’aria…
    Ma non appena mosse la mano in avanti, Cho tolse la sua dal tavolo. Stava guardando con moderato interesse Roger Davies che baciava la sua ragazza.
    «Sai, mi aveva invitato a uscire» disse piano. «Un paio di settimane fa. Roger. Ma io ho rifiutato».
    Harry, che aveva afferrato la zuccheriera per giustificare il suo gesto improvviso, non capì perché lei glielo raccontasse. Se voleva stare al tavolo accanto a farsi baciare con trasporto da Roger Davies, perché aveva accettato di uscire con lui?
    Non disse nulla. Il loro putto lanciò un’altra manciata di coriandoli; alcuni caddero nel freddo residuo di caffè che Harry stava per bere.
    «Sono venuta qui con Cedric l’anno scorso» mormorò Cho.
    Nel paio di secondi che gli ci vollero per registrare le sue parole, Harry si sentì ghiacciare dentro. Non riusciva a credere che lei volesse parlare di Cedric in quel momento, circondati da coppie che si baciavano, con un putto che galleggiava sopra le loro teste.
    Quando Cho parlò di nuovo, la sua voce era piuttosto acuta.
    «È un secolo che te lo voglio chiedere… Cedric… lui ha… f-fatto il mio nome prima di morire?»
    Era l’ultimo argomento al mondo del quale Harry voleva discutere, e meno che mai con Cho.
    «Ehm… no…» disse piano. «Non… non ha avuto tempo di dire nulla. Ehm… allora… hai… vai a vedere spesso il Quidditch durante le vacanze? Tieni per i Tornados, vero?»
    La sua voce suonava falsamente brillante e allegra. Con suo sommo orrore, gli occhi di Cho si stavano riempiendo di lacrime, proprio come alla fine della riunione dell’ES prima di Natale.
    «Senti» sussurrò Harry disperato, chinandosi verso di lei perché gli altri non sentissero, «non parliamo di Cedric, adesso… parliamo d’altro…»
    Ma evidentemente era la cosa sbagliata da dire.
    «Io credevo» singhiozzò lei, con le lacrime che cadevano sul tavolo, «io credevo che tu a-avresti… capito! Io ho bisogno di parlarne! Sono sicura che anche tu n-ne hai b-bisogno! Insomma, tu eri lì, n-no?»
    La cosa si stava trasformando in un incubo; perfino la ragazza di Roger Davies si era scollata per guardare Cho che piangeva.
    «Ehm… io ne ho parlato» sussurrò Harry, «con Ron e Hermione, ma…»
    «Oh, tu ne parli con Hermione Granger!» urlò lei con voce stridula, il volto bagnato di lacrime. Molte altre coppie smisero di baciarsi per guardare. «Ma non vuoi parlarne con me! F-forse è meglio se p-paghiamo e tu vai da Hermione Granger, visto che è quello che vuoi!»
    Harry la fissò esterrefatto, mentre lei si tamponava il viso umido con un tovagliolino ricamato.
    «Cho?» disse debolmente, augurandosi che Roger afferrasse di nuovo la sua ragazza e ricominciasse a baciarla, così avrebbe smesso di fissarli con occhi stralunati.
    «Vai via!» esclamò Cho, piangendo nel tovagliolo. «Non capisco perché mi hai chiesto di uscire se prendi appuntamenti con altre ragazze… quante altre ne vedi, dopo Hermione?»
    «Ma non è così!» rispose Harry, ed era tanto sollevato per aver capito finalmente che cosa la turbava che rise, solo per rendersi conto, una frazione di secondo troppo tardi, che anche quello era un errore.
    Cho balzò in piedi. La sala da tè era silenziosa e tutti li guardavano.
    «Ci vediamo, Harry» annunciò in tono melodrammatico, e tra lievi singhiozzi corse alla porta, l’aprì e si precipitò fuori, nella pioggia battente.
    «Cho!» esclamò Harry, ma la porta si era già richiusa con un vezzoso tintinnio.
    Nella sala regnava un silenzio totale. Gli occhi di tutti erano puntati su Harry. Lui gettò un galeone sul tavolo, si tolse i coriandoli rosa dai capelli e seguì Cho fuori.
    Pioveva forte e lei non si vedeva da nessuna parte. Non capiva che cosa fosse successo; solo mezz’ora prima stavano così bene.
    «Le donne!» mormorò con rabbia, avviandosi per la strada bagnata con le mani affondate in tasca. «Perché ha voluto parlare di Cedric, poi? Perché tira sempre fuori un argomento che la trasforma in un annaffiatoio umano?»
    Svoltò a destra e prese a correre, raggiungendo in pochi minuti i Tre Manici di Scopa. Sapeva che era troppo presto per incontrare Hermione, ma pensò che probabilmente avrebbe trovato qualcuno con cui passare il tempo che restava. Si scosse i capelli bagnati dagli occhi e si guardò intorno. Hagrid era seduto in un angolo da solo, con la faccia scura.
    «Ciao, Hagrid!» disse Harry, sedendosi accanto a lui dopo essersi fatto strada a fatica tra i tavoli.
    Hagrid trasalì e guardò Harry come se lo riconoscesse a stento. Aveva sul volto due tagli e parecchi lividi nuovi.
    «Oh, sei tu, Harry» disse. «Tutto bene?»
    «Sì» mentì Harry; ma accanto a Hagrid così malconcio e lugubre, capì che non aveva niente di cui lamentarsi sul serio. «E… tu stai bene?»
    «Chi, io?» fece Hagrid. «Alla grande, Harry, alla grande».
    Scrutò nelle profondità del suo boccale di peltro, grande come un secchio, e sospirò. Harry non sapeva che cosa dire. Rimasero per un momento in silenzio, poi Hagrid sbottò: «Siamo nella stessa barca, io e te, eh, Harry?»
    «Eh…» balbettò Harry.
    «Sì… te l’ho già detto… due reietti, ecco» proseguì Hagrid, e annuì con aria saggia. «E orfani, tutti e due. Sì… orfani».
    Tracannò un gran sorso dal suo boccale.
    «È tutta un’altra cosa, con una famiglia a posto» disse. «Mio padre era a posto. I tuoi anche. Se erano vivi era tutto diverso, eh?»
    «Sì… credo» rispose Harry, cauto. Hagrid sembrava di un umore molto strano.
    «La famiglia» proseguì cupo. «Di’ quello che ti pare, ma il sangue è importante…»
    E se ne asciugò una goccia che gli colava dall’occhio.
    «Hagrid» cominciò Harry, senza riuscire a trattenersi, «ma com’è che ti procuri tutte queste ferite?»
    «Eh?» chiese Hagrid spiazzato. «Che ferite?»
    «Tutte queste!» esclamò Harry, indicando la sua faccia.
    «Oh… i soliti bozzi e lividi, Harry» minimizzò Hagrid. «Il mio è un lavoraccio».
    Vuotò il boccale, lo posò sul tavolo e si alzò.
    «Ci vediamo, Harry… stai bene».
    Uscì a passi pesanti dal pub, con aria lugubre, e sparì nella pioggia torrenziale. Harry lo guardò allontanarsi, avvilito. Hagrid era infelice e nascondeva qualcosa, ma sembrava deciso a non accettare aiuto. Che cosa stava succedendo? Prima che potesse pensarci, sentì una voce che lo chiamava.
    «Harry! Harry, di qua!»
    Hermione sventolava una mano all’altro capo del locale. Harry si alzò e si fece strada nella ressa. Era ancora a qualche tavolo di distanza quando vide che Hermione non era sola. Era seduta con le più improbabili compagne di bevute che lui potesse immaginare: Luna Lovegood e nientemeno che Rita Skeeter, ex giornalista del La Gazzetta del Profeta, una delle persone meno gradite a Hermione in tutto il mondo.
    «Sei in anticipo!» esclamò Hermione, facendogli spazio. «Credevo che fossi con Cho, ti aspettavo come minimo tra un’ora!»
    «Cho?» s’informò subito Rita, mettendosi più comoda per fissare avida Harry. «Una ragazza?»
    Aprì la borsetta di coccodrillo e vi rovistò dentro.
    «Non sono affari suoi anche Harry è stato con cento ragazze» ribatté Hermione gelida. «Quindi può metterla via subito».
    Rita era stata sul punto di cavare dalla borsetta una piuma verde acido. Con l’aria di una che è stata costretta a ingoiare Puzzalinfa, richiuse di colpo la borsetta.
    «Che cos’avete in mente?» chiese Harry, sedendosi e guardando Rita, Luna e Hermione.
    «La Signorina Perfettini stava per dirmelo quando sei arrivato» rispose Rita, bevendo un generoso sorso dal suo bicchiere. «Immagino che mi sia permesso di parlargli, vero?» sbottò rivolta a Hermione.
    «Sì, direi di sì» rispose fredda Hermione.
    La disoccupazione non si addiceva a Rita. I capelli, che un tempo erano acconciati in eleganti riccioli, ora le pendevano flosci e spettinati attorno al viso. Lo smalto scarlatto sui suoi artigli di cinque centimetri era scheggiato e mancavano un paio di pietre false nella montatura degli occhiali a farfalla. Bevve un altro sorso e chiese a denti stretti: «È carina, Harry?»
    «Un’altra parola sulla vita sentimentale di Harry e il patto è cancellato, è una promessa» intervenne Hermione, irritata.
    «Quale patto?» chiese Rita, asciugandosi la bocca con il dorso della mano. «Tu non hai parlato di nessun patto, Signorina Sotutto, mi hai solo detto di venire qui. Ah, ma uno di questi giorni…» ed emise un sospiro vibrante.
    «Sì, sì, uno di questi giorni scriverà un sacco di storie orrende su Harry e me» concluse Hermione in tono indifferente. «Perché non cerca qualcuno a cui interessi?»
    «Quest’anno ne hanno già scritte parecchie su Harry senza il mio aiuto» osservò Rita, lanciandogli un’occhiata da sopra l’orlo del bicchiere, e aggiunse in un roco sussurro: «Come ti sei sentito, Harry? Tradito? Turbato? Frainteso?»
    «È arrabbiato, è ovvio» rispose Hermione con voce dura e limpida. «Perché ha detto la verità al Ministro della Magia, ma il Ministro è troppo idiota per credergli».
    «Dunque continui a sostenere che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è di nuovo tra noi?» chiese Rita, abbassando il bicchiere e lanciando a Harry uno sguardo perforante, mentre il suo dito si allungava goloso verso il fermaglio della borsetta di coccodrillo. «Sostieni tutte le idiozie che dice Silente sul fatto che Tu-Sai-Chi è tornato e tu sei l’unico testimone?»
    «Non sono l’unico testimone» ringhiò Harry. «C’erano anche almeno una decina di Mangiamorte. Vuole i nomi?»
    «Non vedo l’ora» sospirò Rita, frugando nella borsa e guardandolo come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto. «Un titolone: Potter accusa. Sottotitolo: Harry Potter fa i nomi dei Mangiamorte ancora fra noi. E poi, sotto una tua bella foto, Harry Potter, 15 anni, adolescente disturbato, sopravvissuto all’attacco di Voi-Sapete-Chi, ieri ha provocato una tempesta accusando rispettabili ed eminenti membri della comunità dei maghi di essere Mangiamorte…»
    La Penna Prendiappunti era già nella sua mano, a metà strada verso la bocca, quando l’espressione rapita svanì dal suo volto.
    «Ma naturalmente» proseguì, abbassando la penna e lanciando sguardi di fuoco a Hermione, «la Signorina Perfettini non vorrebbe mai un articolo del genere, giusto?»
    «A dire il vero» ribatté soave Hermione, «è esattamente quello che la Signorina Perfettini vuole».
    Rita la fissò. Harry anche. Luna, dal canto suo, canticchiava con aria svagata Perché Weasley è il nostro re e mescolava la sua bibita con un bastoncino su cui era conficcata una cipollina.
    «Tu vuoi che io scriva un’intervista con lui su Tu-Sai-Chi?» chiese Rita in un sussurro.
    «Precisamente» rispose Hermione. «La vera storia. Tutti i fatti, tali e quali Harry li riferisce. Le racconterà tutti i particolari, le dirà i nomi dei Mangiamorte che ha visto lì, le descriverà l’aspetto di Voldemort adesso… oh, si controlli» aggiunse in tono sprezzante, lanciando un tovagliolino attraverso il tavolo. Rita, infatti, al nome di Voldemort aveva fatto un tale balzo che si era versata addosso metà del suo Whisky Incendiario.
    Rita tamponò l’impermeabile sporco, sempre fissando Hermione. Poi disse schietta: «Il Profeta non lo pubblicherebbe. Nel caso tu non l’abbia notato, nessuno crede alla sua panzana. Tutti pensano che sia un mentecatto. Ecco, se mi lasci scrivere la storia in questo senso…»
    «Non ci serve un altro articolo sulla pazzia di Harry» Hermione si arrabbiò. «Ne abbiamo già troppi, grazie! Voglio che gli sia data l’occasione di dire la verità!»
    «Non c’è mercato per un articolo del genere» ribadì Rita, gelida.
    «O per meglio dire Il Profeta non lo pubblicherebbe perché Caramell non vuole» incalzò Hermione, irritata.
    Rita la fissò a lungo, con durezza. Poi si sporse in avanti, appoggiandosi al tavolo, e disse in tono pratico: «D’accordo, Caramell fa pressione sul Profeta, ma è lo stesso. Non usciranno con un articolo che mette Harry in buona luce. A nessuno interessa. È contrario agli umori del pubblico. Quest’ultima evasione da Azkaban ha già preoccupato la gente a sufficienza; nessuno vuole credere che Tu-Sai-Chi è tornato».
    «Perciò La Gazzetta del Profeta esiste solo per dire alla gente quello che vuole sentirsi dire?» chiese Hermione, caustica.
    Rita si abbandonò contro lo schienale, le sopracciglia inarcate, e finì di bere il suo whisky.
    «Il Profeta esiste per vendere, sciocca» rispose con freddezza.
    «Mio padre dice che è un giornalaccio» disse Luna, entrando a sorpresa nella conversazione. Succhiando la cipollina del suo cocktail, scrutò Rita con gli enormi occhi sporgenti e un po’ folli. «Lui pubblica storie importanti, che il pubblico deve conoscere. Non gli importa di fare soldi».
    Rita la guardò con disprezzo.
    «Immagino che tuo padre sia il direttore di qualche stupido bollettino di paese, eh?» disse. «Venticinque modi per confondersi con i Babbani e le date dei prossimi saldi?»
    «No» rispose Luna, immergendo di nuovo la cipollina nella sua Acquaviola, «è il direttore del Cavillo».
    Rita sbuffò così forte che i clienti del tavolo accanto si voltarono.
    «Storie importanti che il pubblico deve conoscere, eh?» replicò sprezzante. «Ci potrei concimare il giardino, con quella robaccia».
    «Be’, questa è la sua occasione per alzare un po’ il livello» disse Hermione, soave. «Luna dice che suo padre sarebbe felice di accettare l’intervista di Harry. Ecco chi la pubblicherà».
    Rita le fissò entrambe per un momento, poi scoppiò in una sonora risata.
    «Il Cavillo!» sghignazzò. «Ma credete che la gente lo prenderà sul serio se viene pubblicato sul Cavillo?»
    «Alcuni no» rispose Hermione con voce misurata. «Ma la versione che ha dato La Gazzetta del Profeta della fuga da Azkaban presenta notevoli lacune. Credo che molti si chiedano se non esiste una spiegazione migliore, e se c’è una storia alternativa, anche se è pubblicata in un…» lanciò un’occhiata di sbieco a Luna, «in una rivista… insolita, ecco… credo che avranno voglia di leggerla».
    Rita non disse nulla per un po’, ma fissò Hermione con la testa appena inclinata.
    «Va bene, ipotizziamo per un attimo che io accetti» disse d’un tratto. «Quanto ci guadagno?»
    «Non credo che papà paghi proprio le persone perché scrivano sulla rivista» rispose Luna sognante. «Lo fanno perché è un onore, e naturalmente per vedere il loro nome pubblicato».
    Rita Skeeter fece di nuovo la faccia di una che ha della Puzzalinfa in bocca e si rivolse a Hermione.
    «Devo farlo gratis?»
    «Be’, sì» rispose tranquilla Hermione, bevendo un sorso della sua bibita. «Altrimenti, come ben sa, informerò le autorità che lei è un Animagus non registrato. Naturalmente Il Profeta la pagherebbe profumatamente per un resoconto diretto della vita ad Azkaban».
    Rita non avrebbe chiesto di meglio che prendere l’ombrellino di carta che spuntava dal bicchiere di Hermione e ficcarglielo su per il naso.
    «Immagino di non avere scelta, no?» chiese, la voce che tremava appena. Aprì di nuovo la borsetta di coccodrillo, ne trasse un pezzo di pergamena e sollevò la Penna Prendiappunti.
    «Papà ne sarà contento» disse Luna allegra. Un muscolo della mascella di Rita si contrasse.
    «Allora, Harry?» chiese Hermione. «Pronto a dire la verità alla gente?»
    «Direi di sì» rispose Harry, guardando Rita che faceva dondolare la Penna Prendiappunti sulla pergamena.
    «Fuoco alle polveri, Rita» disse serena Hermione, pescando una ciliegia dal fondo del suo bicchiere.
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