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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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Occlumanzia


   Si scoprì che Kreacher si era nascosto in soffitta. Sirius disse che l’aveva trovato lì, coperto di polvere, senza dubbio in cerca di altre reliquie della famiglia Black da mettere in salvo nel suo armadio. Nonostante Sirius sembrasse soddisfatto della spiegazione, Harry era inquieto: Kreacher sembrava di umore migliore, il suo amaro rampognare si era affievolito e obbediva agli ordini più docilmente del solito; tuttavia un paio di volte Harry lo sorprese a guardarlo intensamente, ma subito l’elfo distolse lo sguardo.
    Harry non fece parola dei suoi vaghi sospetti con Sirius, sempre meno allegro, ora che il Natale era passato. Via via che si avvicinava la data del loro ritorno a Hogwarts, Sirius tendeva a cadere in quelli che la signora Weasley chiamava “attacchi di broncio”, durante i quali diventava taciturno e accigliato, e spesso si ritirava per ore nella stanza di Fierobecco. Il suo malumore si diffuse per la casa, filtrando sotto le porte come un gas nocivo, e alla fine contagiò tutti.
    Harry non voleva lasciare di nuovo Sirius con Kreacher come unica compagnia; in realtà, per la prima volta nella sua vita, non aveva voglia di tornare a Hogwarts. Andare a scuola voleva dire sottostare di nuovo alla tirannia di Dolores Umbridge, che senza dubbio era riuscita a imporre un’altra dozzina di decreti in loro assenza; non c’era il Quidditch, ora che era stato squalificato; con ogni probabilità il carico di compiti si sarebbe aggravato con l’avvicinarsi degli esami; e Silente restava più lontano che mai. Se non fosse stato per l’ES, Harry avrebbe chiesto volentieri a Sirius il permesso di lasciare Hogwarts e rimanere in Grimmauld Place.
    Poi, l’ultimo giorno di vacanza, accadde qualcosa che gli fece davvero pensare con terrore al ritorno a scuola.
    «Harry, caro» disse la signora Weasley, affacciandosi nella camera dove lui e Ron giocavano a scacchi magici, mentre Hermione, Ginny e Grattastinchi stavano a guardare. «Puoi venire giù in cucina? Il professor Piton vorrebbe parlarti».
    Harry non registrò immediatamente l’informazione; una delle sue torri era impegnata in una violenta rissa con un pedone di Ron e lui la stava aizzando con entusiasmo.
    «Schiaccialo… schiaccialo, è solo un pedone, idiota. Scusi, signora Weasley, stava dicendo?»
    «Il professor Piton, Harry. In cucina. Vuole parlarti».
    L’orrore gli fece spalancare la bocca. Si voltò verso Ron, Hermione e Ginny, che gli restituirono lo stesso sguardo. Grattastinchi, che Hermione tratteneva con difficoltà da un quarto d’ora, saltò felice sulla scacchiera e seminò il panico tra i pezzi, che corsero a nascondersi urlando.
    «Piton?» domandò incredulo Harry.
    «Il professor Piton, caro» ripeté la signora Weasley in tono di rimprovero. «Muoviti, dice che non può restare molto».
    «Che cosa vuole da te?» chiese nervosamente Ron, quando sua madre lasciò la stanza. «Non hai fatto niente, vero?»
    «No!» rispose indignato Harry, cercando di ricordare che cosa potesse aver fatto perché Piton lo inseguisse fino in Grimmauld Place. Forse il suo ultimo compito aveva meritato una “T”?
    Un minuto o due dopo spinse la porta della cucina e trovò Sirius e Piton seduti al lungo tavolo, che guardavano in cagnesco in direzioni opposte. Il silenzio tra loro era carico di reciproco disprezzo. Sul tavolo davanti a Sirius c’era una lettera aperta.
    Harry tossì per annunciare la propria presenza.
    Piton si girò verso di lui, il volto incorniciato dagli unti capelli neri.
    «Siediti, Potter».
    «Sai» disse Sirius a voce alta, dondolando sulle gambe posteriori della sedia e parlando al soffitto, «preferirei che non dessi ordini qui, Piton. È casa mia, capisci».
    Uno sgradevole rossore fece avvampare il volto pallido di Piton. Harry sedette accanto a Sirius.
    «Dovevo vederti da solo, Potter» cominciò Piton, con la solita piega beffarda sulle labbra, «ma Black…»
    «Sono il suo padrino» intervenne Sirius, a voce ancora più alta.
    «Sono qui per ordine di Silente» proseguì Piton, la cui voce, per contrasto, si faceva sempre più bassa e stizzosa, «ma ti prego di restare, Black, so che ti piace sentirti… coinvolto».
    «E questo che cosa vorrebbe dire?» sbottò Sirius, lasciando ricadere la sedia in avanti con uno schianto.
    «Soltanto che sono certo che per te dev’essere… ah… frustrante, non poter fare nulla di utile…» Piton sottolineò delicatamente la parola «…per l’Ordine».
    Fu il turno di Sirius di arrossire. Le labbra di Piton erano incurvate in un sorrisetto di trionfo quando si rivolse a Harry.
    «Il Preside mi ha mandato a dirti, Potter, che desidera che tu studi Occlumanzia il prossimo trimestre».
    «Che studi cosa?» chiese Harry.
    Il ghigno di Piton si fece più pronunciato.
    «Occlumanzia, Potter. La difesa magica della mente contro la penetrazione esterna. È una branca poco nota della magia, ma è assai utile».
    Il cuore di Harry cominciò a battere all’impazzata. Difesa contro la penetrazione esterna? Ma lui non era stato posseduto, su quello erano tutti d’accordo…
    «Perché devo studiare Occlu…cosa?» borbottò.
    «Perché il Preside ritiene che sia una buona idea» replicò soave Piton. «Riceverai lezioni private una volta alla settimana, ma non dirai a nessuno che cosa stai facendo, meno che mai a Dolores Umbridge. È chiaro?»
    «Sì» rispose Harry. «Chi mi insegnerà?»
    Piton inarcò un sopracciglio.
    «Io» disse.
    Harry ebbe l’orribile sensazione che le sue viscere si sciogliessero. Lezioni supplementari con Piton… che cosa aveva fatto per meritare questo? Si voltò in fretta verso Sirius in cerca di appoggio.
    «Perché non può farlo Silente?» chiese Sirius, aggressivo. «Perché tu?»
    «Perché il Preside ha il privilegio di delegare i compiti meno piacevoli, immagino» rispose Piton, suadente. «Ti aspetto lunedì alle sei del pomeriggio, Potter. Nel mio ufficio. Se qualcuno te lo chiede, stai prendendo ripetizioni di Pozioni. Nessuno che ti abbia visto durante le mie lezioni potrebbe dubitare che ne hai bisogno».
    Fece per andarsene, con il nero mantello da viaggio che ondeggiava alle sue spalle.
    «Aspetta un momento» lo chiamò Sirius, raddrizzandosi sulla sedia.
    Piton si voltò a guardarli con lo stesso sorriso di scherno.
    «Vado piuttosto di fretta, Black. Al contrario del tuo, il mio tempo libero non è illimitato».
    «Arrivo subito al punto, allora» disse Sirius, alzandosi. Era decisamente più alto di Piton che, notò Harry, strinse il pugno nella tasca del mantello, sicuramente attorno all’impugnatura della bacchetta. «Se vengo a sapere che usi queste lezioni di Occlumanzia per rendere la vita difficile a Harry, dovrai risponderne a me».
    «Che cosa commovente» sogghignò beffardo Piton. «Ma avrai notato che Potter assomiglia molto a suo padre, vero?»
    «Certo» disse Sirius con orgoglio.
    «E quindi saprai che è tanto arrogante che le critiche gli rimbalzano addosso» proseguì Piton mellifluo.
    Sirius spinse da parte la sedia e fece il giro del tavolo diretto verso Piton, estraendo la bacchetta. Piton fece balenare la sua. Rimasero a squadrarsi, Sirius furente, Piton all’erta, con lo sguardo che saettava dal viso di Sirius alla punta della sua bacchetta.
    «Sirius!» esclamò Harry, ma il suo padrino parve non sentire.
    «Ti ho avvisato, Mocciosus» ringhiò Sirius, il volto a pochi centimetri da quello di Piton, «non mi interessa se Silente crede che ti sia ravveduto, io la so più lunga…»
    «Oh, ma perché non glielo dici?» bisbigliò Piton. «O temi forse che potrebbe non prendere molto sul serio il consiglio di uno che sta nascosto da sei mesi in casa di sua madre?»
    «Dimmi, come sta Lucius Malfoy in questi giorni? Sarà contento che il suo cagnolino lavori a Hogwarts, non è così?»
    «A proposito di cani» disse dolcemente Piton, «sapevi che Lucius Malfoy ti ha riconosciuto l’ultima volta che hai arrischiato una gita? Idea furba, Black, farti vedere in un bel posto sicuro… ti ha dato una scusa inattacabile per non uscire più dalla tana, vero?»
    Sirius levò la bacchetta.
    «No!» urlò Harry, e balzò al di là del tavolo frapponendosi tra i due. «Sirius, non farlo!»
    «Mi stai dando del codardo?» ruggì Sirius, cercando invano di spostare Harry.
    «Be’, sì» disse Piton.
    «Harry, stanne — fuori!» scandì Sirius, spingendolo via con la mano libera.
    La porta della cucina si aprì e apparve l’intera famiglia Weasley più Hermione, tutti molto felici, con il signor Weasley che avanzava orgoglioso in mezzo al gruppo, vestito con un pigiama a righe e un impermeabile.
    «Guarito!» annunciò lieto. «Sono completamente guarito!»
    Lui e tutti gli altri rimasero bloccati sulla soglia di fronte alla scena che si presentò, anch’essa sospesa a metà: Sirius e Piton si erano voltati verso la porta, con le bacchette sempre puntate l’una contro l’altra, e Harry era rimasto immobile tra loro, con le braccia aperte nel tentativo di separarli.
    «Per la barba di Merlino» disse il signor Weasley, mentre il sorriso gli si spegneva, «che cosa succede qui?»
    Sia Sirius che Piton abbassarono le bacchette. Harry spostò lo sguardo dall’uno all’altro. Entrambi ostentavano un’espressione di puro disprezzo, tuttavia l’ingresso inaspettato di tanti testimoni parve ricondurli alla ragione. Piton ripose la bacchetta e attraversò la cucina, passando davanti ai Weasley senza una parola. Sulla soglia si voltò.
    «Lunedì sera alle sei, Potter».
    E se ne andò. Sirius restò a guardare la porta con aria cupa, la bacchetta al fianco.
    «Che cosa succede?» chiese ancora il signor Weasley.
    «Niente, Arthur» rispose Sirius, che respirava affannosamente, come dopo una lunga corsa. «Solo una chiacchierata amichevole tra due vecchi compagni di scuola». Con quello che parve uno sforzo enorme, sorrise. «Allora… sei guarito? È una notizia fantastica».
    «Vero?» disse la signora Weasley, accompagnando il marito a una sedia. «Il Guaritore Smethwyck ha fatto la sua magia, alla fine, e ha trovato l’antidoto a qualsiasi cosa ci fosse nelle zanne di quel serpente. Arthur ha imparato la lezione e non farà più pasticci con la medicina dei Babbani, non è così, tesoro?» aggiunse, in tono alquanto minaccioso.
    «Sì, Molly, cara» rispose lui, mite.
    La cena di quella sera avrebbe dovuto essere un’occasione allegra, con il ritorno del signor Weasley. Harry vide che Sirius si sforzava di renderla tale, eppure, quando non si costringeva a ridere forte alle battute di Fred e George o a offrire cibo, il suo viso tornava cupo e meditabondo. Tra lui e Harry erano seduti Mundungus e Malocchio, che erano passati per fare le congratulazioni al signor Weasley. Harry voleva parlare con Sirius, dirgli che non doveva ascoltare nemmeno una parola di Piton, che lo provocava apposta, e che nessuno di loro credeva che lui fosse un codardo perché obbediva a Silente e restava in Grimmauld Place. Ma non ne ebbe l’opportunità, e guardando l’espressione di Sirius si chiese se avrebbe mai osato sollevare l’argomento. Invece sussurrò a Ron e Hermione che avrebbe preso lezioni di Occlumanzia da Piton.
    «Silente vuole che tu la smetta di fare quei sogni su Voldemort» commentò subito Hermione. «Be’, non ti dispiacerà, vero?»
    «Altre lezioni con Piton?» disse Ron atterrito. «Io mi terrei gli incubi!»
    Dovevano tornare a Hogwarts con il Nottetempo l’indomani, scortati ancora una volta da Tonks e Lupin; erano entrambi in cucina quando Harry, Ron e Hermione scesero, la mattina dopo. Gli adulti sembravano immersi in una conversazione sussurrata; ma non appena Harry aprì la porta, tutti si voltarono e tacquero di colpo.
    Dopo una colazione frettolosa, indossarono giacche e sciarpe contro il gelido mattino di gennaio. Harry provava una spiacevole stretta al petto; non voleva salutare Sirius. Aveva un brutto presentimento su questa separazione; non sapeva quando si sarebbero rivisti, e si sentiva in obbligo di dire qualcosa per impedirgli di fare sciocchezze… Harry temeva che l’accusa di codardia di Piton avesse colpito Sirius al punto di fargli progettare qualche viaggio sconsiderato fuori da Grimmauld Place. Prima che riuscisse a pensare a qualcosa da dire, però, Sirius gli fece cenno di avvicinarsi.
    «Voglio che tu prenda questo» bisbigliò, e infilò tra le mani di Harry un pacchetto incartato alla meglio, della misura di un libro tascabile.
    «Che cos’è?» chiese Harry.
    «Un modo per farmi sapere se Piton ti rende la vita difficile. No, non aprirlo qui!» disse Sirius guardando circospetto la signora Weasley, che stava cercando di convincere i gemelli a indossare manopole di maglia. «Dubito che Molly approverebbe… ma voglio che lo usi se hai bisogno di me, intesi?»
    «D’accordo» rispose Harry. Mise il pacchetto nella tasca interna del giaccone, ma sapeva che non l’avrebbe mai usato, qualunque cosa fosse. Non sarebbe stato lui, Harry, ad attirare Sirius fuori dal suo nascondiglio sicuro, anche se Piton l’avesse trattato come un cane.
    «Andiamo, allora» disse Sirius, battendo sulla spalla di Harry con un sorriso triste, e prima che Harry potesse dire altro salirono le scale e si fermarono insieme davanti alla porta chiusa da serrature e pesanti catene, circondati dai Weasley.
    «Arrivederci, Harry, stai bene» lo salutò la signora Weasley abbracciandolo.
    «Ci vediamo, Harry, tieni d’occhio i serpenti per me!» disse gioviale il signor Weasley, stringendogli la mano.
    «Sì… certo» rispose distrattamente Harry; era la sua ultima possibilità di avvertire Sirius di stare attento; si voltò, guardò il suo padrino negli occhi e fece per parlare, ma Sirius lo strinse a sé brevemente con un braccio e disse in tono burbero: «Abbi cura di te, Harry». Un momento dopo, Harry si ritrovò fuori nella gelida aria invernale, con Tonks (che quel giorno era pesantemente camuffata da signora di campagna, alta e sportiva, i capelli grigio ferro) che lo spingeva giù per le scale.
    La porta del numero dodici si chiuse alle loro spalle. Seguirono Lupin in strada e, una volta sul marciapiede, Harry si voltò. Il numero dodici si restringeva sempre più via via che le due case a fianco si allargavano, nascondendolo. Un istante dopo era sparito.
    «Forza, prima prendiamo l’autobus, meglio è» disse Tonks, e Harry notò che si guardava intorno piuttosto nervosa. Lupin tese il braccio destro.
    BANG.
    Un bus a tre piani di un viola intenso apparve dal nulla davanti a loro, evitando per un pelo un lampione, che saltò bruscamente all’indietro.
    Un ragazzo magro e brufoloso, con le orecchie a sventola e l’uniforme viola, balzò sul marciapiede e disse: «Benvenuti sul…»
    «Sì, sì, lo sappiamo, grazie» tagliò corto Tonks. «Su, salite…»
    Spinse Harry in avanti, sui gradini. Il bigliettaio sgranò gli occhi.
    «Ehi! C’è Harry…!»
    «Urla un’altra volta il suo nome e ti condanno all’oblio perpetuo» mormorò Tonks minacciosa, facendo passare Ginny e Hermione.
    «Ho sempre desiderato salire su questo coso» disse allegro Ron, raggiungendo Harry a bordo e guardandosi intorno.
    L’ultima volta che Harry aveva viaggiato sul Nottetempo era di sera, e i tre piani erano stipati di letti d’ottone. Ora, di prima mattina, era zeppo di sedie scompagnate, ammucchiate a caso attorno ai finestrini. Molte dovevano essere cadute quando l’autobus aveva frenato di colpo in Grimmauld Place; alcuni maghi e streghe si stavano ancora rialzando tra i brontolii, e un sacchetto della spesa si era rovesciato distribuendo per tutta la lunghezza dell’autobus uno sgradevole miscuglio di uova di rana, scarafaggi e budini.
    «Pare che ci dobbiamo separare» osservò secca Tonks, cercando dei posti liberi. «Fred, George e Ginny, sedetevi lì in fondo… Remus starà con voi».
    Lei, Harry, Ron e Hermione salirono all’ultimo piano, dove c’erano due sedie libere davanti e due dietro. Stan Picchetto, il bigliettaio, seguì Harry e Ron in fondo, curioso. Molte teste si voltarono al passaggio di Harry, ma quando si sedette vide che tutti si affrettavano a distogliere lo sguardo.
    Harry e Ron diedero a Stan undici falci ciascuno e l’autobus ripartì, ondeggiando in modo sinistro. Rombò attorno a Grimmauld Place, salendo anche sul marciapiede, e poi, con un altro fragoroso BANG, tutti gli occupanti vennero catapultati all’indietro; la sedia di Ron si rovesciò e Leotordo, che era sulle sue ginocchia, uscì dalla gabbia e volò davanti fischiando come un pazzo, per poi posarsi sulla spalla di Hermione. Harry, che aveva evitato per un pelo di cadere afferrandosi a un candelabro, guardò fuori dal finestrino: sfrecciavano lungo quella che sembrava un’autostrada.
    «Appena fuori Birmingham» disse Stan gioviale, rispondendo alla domanda inespressa di Harry, mentre Ron cercava di rialzarsi da terra. «Come te la passi, eh, Harry? T’ho visto sui giornali un mucchio di volte quest’estate, ma non dicevano mai cose molto simpatiche. Ho detto a Ern, dico, non sembrava matto quando l’abbiamo conosciuto noi, quindi staremo a vedere, giusto?»
    Porse loro i biglietti e continuò a fissare incantato Harry. A quanto pareva, a Stan non importava quanto uno era matto, se era abbastanza famoso da finire sui giornali. Il Nottetempo oscillò in modo allarmante, sorpassando una fila di macchine sulla corsia interna. Harry vide Hermione coprirsi gli occhi con le mani, mentre Leotordo dondolava felice sulla sua spalla.
    BANG.
    Le sedie scivolarono di nuovo all’indietro quando il Nottetempo balzò dall’autostrada di Birmingham a una tranquilla strada di campagna tutta curve. Le siepi si scansavano con un salto ogni volta che il bus montava sul ciglio della strada. Da lì passarono alla via principale di una città piena di traffico, poi a un viadotto circondato da alte colline, poi a una strada battuta dal vento tra due altipiani, ogni volta con un fragoroso BANG.
    «Ho cambiato idea» borbottò Ron, rialzandosi da terra per la sesta volta. «Non voglio viaggiare mai più su questo coso».
    «Tranquilli, Hogwarts è la prossima dopo questa» disse allegramente Stan, ondeggiando tra loro. «Quella donna prepotente che è salita con voi ci ha dato una piccola mancia per andarci subito. Prima dobbiamo far scendere Madama Palude, però.» Dal piano di sotto venne il rumore di un conato di vomito e delle sue conseguenze. «Non si sente troppo bene».
    Pochi minuti dopo il Nottetempo frenò stridendo davanti a un piccolo pub, che si ritrasse per evitare la collisione. Sentirono che Stan aiutava la povera Madama Palude a scendere, e i mormorii sollevati degli altri passeggeri al secondo piano. Il bus ripartì e prese velocità, finché…
    BANG.
    Stavano attraversando Hogsmeade, coperta di neve. Harry intravide la Testa di Porco in fondo alla sua stradina laterale, l’insegna con la testa di cinghiale mozzata che cigolava nel vento freddo, mentre la neve cadeva sul grande parabrezza dell’autobus. Alla fine si fermarono davanti ai cancelli di Hogwarts.
    Lupin e Tonks li aiutarono a scaricare i bagagli, poi scesero per salutarli. Harry guardò i tre piani dell’autobus: tutti i passeggeri li fissavano, i nasi schiacciati contro i finestrini.
    «Una volta dentro sarete al sicuro» disse Tonks, lanciando un’occhiata guardinga nella strada deserta. «Passate un buon trimestre, ok?»
    «Abbiate cura di voi». Lupin strinse le mani a tutti e arrivò da Harry per ultimo. «Ascolta…» disse abbassando la voce, mentre gli altri salutavano Tonks. «So che non ti piace Piton, ma è un Occlumante straordinario e tutti noi, compreso Sirius, vogliamo che impari a proteggerti, quindi lavora sodo, d’accordo?»
    «Sì, d’accordo» rispose Harry serio, guardando il viso prematuramente segnato di Lupin. «Ci vediamo».
    I sei ragazzi risalirono il viale scivoloso verso il castello, trascinando i bauli. Hermione parlava già di sferruzzare altri berretti da elfo prima di andare a dormire. Quando furono davanti alle porte di quercia, Harry si guardò indietro: il Nottetempo se n’era andato, ma quasi quasi, visto che cosa lo aspettava la sera dopo, avrebbe preferito trovarsi ancora a bordo.
   
    * * *
    Harry passò gran parte del giorno seguente aspettando con terrore la sera. La doppia lezione di Pozioni del mattino non dissipò per nulla la sua trepidazione, visto che Piton fu più sgradevole che mai. Il suo umore peggiorò ancora perché vari membri dell’ES continuavano ad avvicinarsi per chiedergli se quella sera ci sarebbe stata riunione.
    «Vi farò sapere nel solito modo» ripeté Harry a tutti quanti, «ma stasera non posso, devo andare… ehm… a un recupero di Pozioni».
    «Tu prendi ripetizioni?» gli chiese Zacharias Smith in tono sdegnoso, dopo averlo incastrato nella Sala d’Ingresso alla fine del pranzo. «Santo cielo, devi essere un disastro. Piton di solito non dà ripetizioni, se non sbaglio».
    Mentre Smith si allontanava fastidiosamente compiaciuto, Ron lo guardò storto.
    «Glielo faccio, un incantesimo? Da qui lo becco ancora» disse, levando la bacchetta e puntandola tra le scapole di Smith.
    «Lascia stare» rispose Harry, cupo. «È quello che penseranno tutti, no? Che sono un defi…»
    «Ciao, Harry» fece una voce alle sue spalle. Harry si voltò e si trovò di fronte a Cho.
    «Oh» mormorò, mentre il suo stomaco si annodava. «Ciao».
    «Noi siamo in biblioteca, Harry» annunciò Hermione perentoria, afferrando Ron per il gomito e trascinandolo giù per le scale di marmo.
    «Com’è andato il Natale?» chiese Cho.
    «Abbastanza bene» rispose Harry.
    «Il mio è stato molto tranquillo» disse Cho. Sembrava imbarazzata. «Ehm… c’è un altro finesettimana a Hogsmeade il mese prossimo, hai visto l’annuncio?»
    «Cosa? Ah, no, non ho ancora guardato la bacheca da quando sono tornato».
    «Sì, è il giorno di San Valentino…»
    «Sì» ripeté Harry, chiedendosi perché gli stava dicendo quelle cose. «Be’, immagino che tu voglia…»
    «Solo se va a te» disse lei precipitosamente.
    Harry la fissò. Lui stava per dire: “Immagino che tu voglia sapere quand’è la prossima riunione dell’ES” ma la risposta di lei non era quella giusta.
    «Io… ehm…» balbettò.
    «Oh, non ti preoccupare, se non ti va» disse lei mortificata. «Non fa niente. Ci… ci vediamo».
    E si allontanò. Harry rimase a fissarla, con il cervello che lavorava febbrile. Poi qualcosa scattò.
    «Cho! Ehi… CHO!»
    La inseguì e la raggiunse a metà della scalinata di marmo.
    «Ehm… ti va di venire con me a Hogsmeade a San Valentino?»
    «Oooh… sì!» rispose lei con un sorriso radioso, diventando cremisi.
    «Bene… allora è deciso» disse Harry, e con l’impressione che la giornata non fosse poi un completo fallimento, saltellò fino in biblioteca a prendere Ron e Hermione per le lezioni del pomeriggio.
    Alle sei, tuttavia, persino l’euforia di essere riuscito a invitare Cho Chang non poté alleviare i sinistri presagi che si addensavano a ogni passo verso l’ufficio di Piton.
    Si fermò un istante davanti alla porta, desiderando di essere in qualunque altro posto, poi trasse un profondo respiro, bussò ed entrò.
    Le pareti della stanza in penombra erano occupate da scaffali carichi di centinaia di barattoli di vetro, in cui viscidi pezzi di animali e piante erano sospesi in pozioni di vari colori. In un angolo c’era l’armadio pieno di ingredienti che Piton una volta aveva accusato Harry — non a torto — di aver saccheggiato. L’attenzione di Harry fu però attratta dalla scrivania, sulla quale era posato un bacile di pietra poco profondo, coperto di rune e simboli incisi, immerso nella luce delle candele. Harry lo riconobbe all’istante: era il Pensatolo di Silente. Si chiese che cosa ci faceva lì, e sobbalzò quando la fredda voce di Piton comandò dal buio: «Chiudi la porta, Potter».
    Harry obbedì, con la terribile sensazione di chiudersi in trappola. Quando si voltò, Piton si era spostato alla luce e indicava senza parlare la sedia di fronte alla scrivania. Harry sedette e Piton fece altrettanto, fissandolo con i suoi freddi occhi neri, il disprezzo inciso in ogni ruga del volto.
    «Bene, Potter, sai perché sei qui» disse. «Il Preside mi ha chiesto di insegnarti l’Occlumanzia. Posso solo sperare che ti dimostrerai più portato che per Pozioni».
    «Bene» replicò rapido Harry.
    «Questa non è una lezione normale, Potter» disse Piton stringendo gli occhi con malevolenza, «ma sono sempre il tuo insegnante e perciò devi chiamarmi “signore” o “professore”».
    «Sì… signore» rispose Harry.
    «Dunque, l’Occlumanzia. Come ti ho detto nella cucina del tuo caro padrino, questa branca della magia chiude la mente alle intrusioni e alle influenze esterne».
    «E perché il professor Silente crede che ne abbia bisogno, signore?» domandò Harry, guardando Piton dritto negli occhi e chiedendosi se avrebbe risposto.
    Piton ricambiò lo sguardo per un momento, poi disse, sprezzante: «Dovresti esserci arrivato anche tu, a questo punto, Potter. L’Oscuro Signore è molto abile nella Legilimanzia…»
    «Che cos’è? Signore?»
    «È la capacità di estrarre emozioni e ricordi dalla mente di un’altra persona…»
    «Sa leggere il pensiero?» chiese in fretta Harry, sentendo confermare le sue peggiori paure.
    «Tu non hai acume, Potter» rispose Piton, con i neri occhi che scintillavano. «Non capisci le sfumature. È uno dei difetti che ti rendono un pozionista così scadente».
    Piton fece una pausa prima di continuare, a quel che pareva per assaporare il gusto di insultare Harry.
    «Solo i Babbani parlano di “lettura del pensiero”. I pensieri non sono un libro che si possa aprire ed esaminare a piacimento. Non sono incisi all’interno del cranio in modo che qualunque intruso possa leggerli. La mente è qualcosa di complesso e stratificato, Potter… o perlomeno, la maggior parte delle menti lo sono». Sorrise, beffardo. «È comunque vero che chi padroneggia la Legilimanzia è in grado, in condizioni particolari, di scavare nella mente delle sue vittime e interpretare correttamente ciò che vi trova. L’Oscuro Signore, per esempio, sa quasi sempre se qualcuno gli sta mentendo. Solo chi è abile in Occlumanzia è in grado di escludere i ricordi e le emozioni che contraddicono la bugia, e può così mentire in sua presenza senza essere scoperto».
    Checché ne dicesse Piton, a Harry la Legilimanzia sembrava proprio la lettura del pensiero, e non gli piaceva affatto.
    «Quindi lui potrebbe sapere che cosa stiamo pensando ora? Signore?»
    «L’Oscuro Signore si trova a una considerevole distanza e le mura e i terreni di Hogwarts sono protetti da molti incantesimi antichi che garantiscono l’incolumità fisica e mentale di coloro che vi abitano» rispose Piton. «Il tempo e lo spazio sono importanti nella magia, Potter. Il contatto visivo è spesso essenziale per la Legilimanzia».
    «Be’, allora perché devo imparare l’Occlumanzia?»
    Piton guardò Harry, passandosi un lungo dito magro sulle labbra.
    «A quanto pare le abituali regole non valgono per te, Potter. La maledizione che non ti ha ucciso sembra aver creato una sorta di connessione fra te e l’Oscuro Signore. Le prove suggeriscono che a volte, quando la tua mente è più rilassata e vulnerabile — durante il sonno, per esempio — tu condividi i suoi pensieri e le sue emozioni. Il Preside ritiene che questo non debba continuare. Desidera che io ti insegni a chiudere la mente all’Oscuro Signore».
    Il cuore di Harry batteva forte di nuovo. I conti non tornavano.
    «Ma perché il professor Silente vuole che smetta?» chiese all’improvviso. «A me non piace, ma è stato utile, no? Voglio dire… se non avessi visto quel serpente che attaccava il signor Weasley, il professor Silente non avrebbe potuto salvarlo, vero? Signore?»
    Piton fissò Harry per qualche istante, sempre passandosi il dito sulle labbra. Quando parlò di nuovo, lo fece con deliberata lentezza, come soppesando le parole.
    «A quanto pare l’Oscuro Signore non si era reso conto del vostro legame. Finora sembra che tu abbia provato le sue emozioni e condiviso i suoi pensieri senza che lui lo sapesse. Tuttavia, la visione che hai avuto poco prima di Natale…»
    «Quella del serpente e del signor Weasley?»
    «Non interrompermi, Potter» mormorò Piton con voce minacciosa. «Come stavo dicendo, la visione che hai avuto poco prima di Natale ha rappresentato un’incursione così potente nel pensiero dell’Oscuro Signore…»
    «Io ero nella testa del serpente, non nella sua!»
    «Non ti ho appena detto di non interrompermi, Potter?»
    Ma a Harry non importava che Piton fosse arrabbiato; finalmente gli sembrava di venire a capo della questione; senza rendersene conto si era spostato sull’orlo della sedia, teso come per spiccare il volo.
    «Perché vedevo con gli occhi del serpente se condivido i pensieri di Voldemort?»
    «Non pronunciare il nome dell’Oscuro Signore!» sbottò Piton.
    Calò un silenzio sgradevole. I due si scambiarono un’occhiataccia sopra il Pensatoio.
    «Il professor Silente lo pronuncia» disse Harry piano.
    «Silente è un mago di grande potere» mormorò Piton. «Se lui si sente sicuro a usare quel nome… il resto di noi…» Si strofinò l’avambraccio sinistro, a quel che pareva inconsciamente, nel punto dove Harry sapeva che il Marchio Nero era impresso a fuoco nella pelle.
    «Volevo solo sapere» riprese Harry, sforzandosi di essere gentile, «perché…»
    «A quanto sembra sei stato nel serpente perché l’Oscuro Signore si trovava lì in quel momento» ringhiò Piton. «Stava possedendo il serpente, e quindi tu hai sognato di essere lì».
    «E Vol… lui… ha capito che c’ero anch’io?»
    «Così pare» rispose gelido Piton.
    «Come fate a saperlo?» chiese Harry, concitato. «È solo un’idea del professor Silente, o…?»
    «Ti ho detto» disse Piton rigido, gli occhi ridotti a fessure, «di chiamarmi “signore”».
    «Sì, signore» si corresse Harry con impazienza, «ma come fate a sapere…?»
    «Lo sappiamo e basta» tagliò corto Piton. «L’importante è che l’Oscuro Signore ora è a conoscenza del fatto che tu hai accesso ai suoi pensieri e sensazioni. Ha dedotto che il processo probabilmente funziona anche al contrario; vale a dire che potrebbe avere accesso ai tuoi pensieri e sensazioni…»
    «E potrebbe cercare di farmi fare delle cose?» chiese Harry. «Signore?» si affrettò ad aggiungere.
    «Potrebbe» rispose Piton, in tono freddo e noncurante. «Il che ci riporta all’Occlumanzia».
    Piton estrasse la bacchetta da una tasca interna e Harry s’irrigidì sulla sedia, ma Piton si limitò ad avvicinarsi la bacchetta alla tempia, la punta affondata all’attaccatura dei capelli unti. Quando la ritrasse, venne via anche una sostanza argentea, tesa fra la tempia e la bacchetta come uno spesso filo di ragnatela, che si spezzò e cadde con grazia nel Pensatoio, dove turbinò, né gassosa né liquida. Ancora per due volte Piton avvicinò la bacchetta alla tempia e ripeté l’operazione, poi, senza alcun commento, sollevò con cautela il Pensatoio e lo ripose su uno scaffale lontano, tornando a fronteggiare Harry con la bacchetta puntata.
    «Alzati e prendi la bacchetta, Potter».
    Harry si alzò, nervoso. Erano uno davanti all’altro, con la scrivania in mezzo.
    «Puoi usare la bacchetta per tentare di disarmarmi, o difenderti in qualunque altro modo» disse Piton.
    «E lei che cosa farà?» domandò Harry, guardando con apprensione la bacchetta di Piton.
    «Cercherò di forzare la tua mente» rispose Piton soave. «Vediamo quanto sei in grado di resistere. Mi hanno detto che hai già mostrato attitudine a opporti alla Maledizione Imperius. Scoprirai che per questo ci vuole un potere simile… ora concentrati. Legilimens!»
    Piton colpì prima che Harry fosse pronto, prima che avesse anche solo cominciato a raccogliere le forze. L’ufficio fluttuò davanti ai suoi occhi e svanì; le immagini si susseguivano veloci nella sua testa, come un film tremolante, così vivido da abbagliare.
    Aveva cinque anni, e guardava Dudley sulla sua nuova bicicletta rossa col cuore gonfio di invidia… aveva nove anni, e Squarta il bulldog lo aveva costretto a scappare su un albero, con i Dursley che ridevano nel prato… era seduto sotto il Cappello Parlante, che gli diceva che sarebbe stato bene a Serpeverde… Hermione era a letto in infermeria, col viso coperto di folti peli neri… un centinaio di Dissennatori lo circondavano sulla riva del lago scuro… Cho Chang gli si avvicinava sotto il vischio…
    No, disse una voce nella testa di Harry, mentre il ricordo di Cho si faceva più vicino, questo non lo vedi, non lo vedi, è una cosa personale…
    Sentì una fitta al ginocchio. L’ufficio di Piton era di nuovo visibile e si rese conto di essere caduto a terra; aveva sbattuto dolorosamente contro una gamba della scrivania. Guardò Piton, che aveva abbassato la bacchetta e si massaggiava il polso, dove si era aperta una brutta piaga, simile a un’ustione.
    «Volevi scagliare una Fattura Pungente?» chiese Piton, gelido.
    «No» rispose Harry in tono amaro, alzandosi.
    «Lo immaginavo» commentò Piton, sprezzante. «Mi hai permesso di andare troppo a fondo. Hai perso il controllo».
    «Ha visto tutto quello che vedevo io?» chiese Harry, anche se non era sicuro di voler sentire la risposta.
    «Delle immagini» rispose Piton, stringendo le labbra. «Di chi era il cane?»
    «Di mia zia Marge» mormorò Harry, odiandolo.
    «Bene, per essere un primo tentativo non è poi troppo scarso» disse Piton, alzando di nuovo la bacchetta. «Alla fine sei riuscito a fermarmi, anche se hai sprecato tempo ed energia per urlare. Devi rimanere concentrato. Respingimi con la mente e non avrai bisogno di ricorrere alla bacchetta».
    «Io ci provo» ribatté Harry con rabbia, «ma lei non mi spiega come fare!»
    «Modera il tono, Potter» disse minaccioso Piton. «Ora voglio che tu chiuda gli occhi».
    Harry gli scoccò uno sguardo obliquo prima di eseguire. Non gli piaceva l’idea di stare lì a occhi chiusi davanti a Piton con la bacchetta puntata.
    «Svuota la mente, Potter» ordinò la sua voce fredda. «Liberati di ogni emozione…»
    Ma la rabbia nei suoi confronti continuava a pulsare nelle vene di Harry come veleno. Liberarsi della rabbia? Era più facile tagliarsi le gambe…
    «Non lo stai facendo, Potter… serve più disciplina… ora concentrati…»
    Harry cercò di svuotare la mente, cercò di non pensare, o ricordare, o sentire…
    «Ricominciamo… al mio tre… uno, due, tre… Legilimens!»
    Un grande drago nero ruggiva davanti a lui… suo padre e sua madre lo salutavano da uno specchio incantato… Cedric Diggory giaceva a terra con gli occhi sbarrati, fissi su di lui…
    «Nooooooo!»
    Harry era di nuovo in ginocchio, il viso tra le mani, la testa che doleva come se qualcuno avesse cercato di strappargli via il cervello.
    «In piedi!» ordinò Piton aspro. «In piedi! Non ci stai provando, non fai nessuno sforzo. Mi lasci libero accesso ai ricordi che temi, mi offri delle armi!»
    Harry si alzò di nuovo, il cuore in gola come se avesse davvero visto Cedric morto al cimitero. Piton era più pallido e arrabbiato che mai, anche se nemmeno lontanamente furioso quanto lui.
    «Io… mi… sto… sforzando» disse a denti stretti.
    «Ti ho detto di liberarti delle emozioni!»
    «Sì? Be’, in questo momento lo trovo difficile» ringhiò Harry.
    «Allora sarai una facile preda per l’Oscuro Signore!» gridò Piton. «Gli sciocchi che portano il proprio cuore con orgoglio sul bavero, che non riescono a controllare le emozioni, che si crogiolano nei ricordi tristi e si lasciano provocare così facilmente… gente debole, in altre parole… non hanno alcuna possibilità contro il suo potere! Entrerà nella tua mente con una facilità inverosimile, Potter!»
    «Io non sono debole» disse Harry a voce bassa, mentre la furia montava così rapida che avrebbe potuto aggredire Piton da un momento all’altro.
    «Allora dimostralo! Controllati!» sbottò Piton. «Misura la rabbia, disciplina la mente! Proviamo di nuovo! Preparati! Legilimens!»
    Vide zio Vernon che chiudeva a martellate la buca delle lettere… cento Dissennatori attraversavano il lago fluttuando e venivano verso di lui… correva lungo un corridoio senza finestre insieme al signor Weasley… si stavano avvicinando alla porta nera e liscia alla fine del corridoio… Harry si aspettava di entrare… ma il signor Weasley lo guidava verso sinistra, giù per una rampa di scale di pietra…
    «LO SO! LO SO!»
    Era di nuovo a quattro zampe sul pavimento dell’ufficio di Piton; la cicatrice bruciava in modo spiacevole, ma la voce che era uscita dalle sue labbra era trionfante. Si rialzò e vide che Piton lo fissava, la bacchetta levata. Ma stavolta sembrava che avesse interrotto l’incantesimo prima ancora che Harry tentasse di resistere.
    «Che cos’è successo, Potter?» chiese, guardandolo intensamente.
    «Ho visto… ho ricordato» ansimò Harry. «Ho appena capito…»
    «Capito cosa?» sibilò Piton.
    Harry non rispose subito; stava ancora assaporando quel lampo accecante di comprensione, mentre si passava le dita sulla cicatrice…
    Per mesi aveva sognato un corridoio senza finestre che terminava con una porta chiusa a chiave, senza mai capire che si trattava di un luogo vero. Ora, rivedendo quel ricordo, capiva di aver sempre sognato il corridoio percorso insieme al signor Weasley il dodici agosto, mentre correvano verso la sala udienze del Ministero; era quello che portava all’Ufficio Misteri, ed era lì che il signor Weasley si trovava la notte in cui era stato attaccato dal serpente.
    Alzò lo sguardo su Piton.
    «Cosa c’è nell’Ufficio Misteri?»
    «Che cosa hai detto?» chiese Piton a voce bassa, e Harry vide, con profonda soddisfazione, che era innervosito.
    «Ho detto cosa c’è nell’Ufficio Misteri, signore?» ripeté Harry.
    «E perché» chiese a sua volta Piton, lentamente, «mi fai una domanda del genere?»
    «Perché» rispose Harry, guardando Piton in attesa della sua reazione, «il corridoio che ho appena visto, che sogno da mesi… l’ho appena riconosciuto… porta all’Ufficio Misteri… e credo che Voldemort voglia qualcosa da…»
    «Ti ho detto di non pronunciare il nome dell’Oscuro Signore!»
    Si guardarono storto. La cicatrice diede un’altra fitta, ma Harry non vi badò. Piton sembrava agitato; ma quando parlò di nuovo, cercò di apparire freddo e distaccato.
    «Ci sono molte cose nell’Ufficio Misteri, Potter, poche alla portata della tua comprensione e nessuna che ti riguardi. Sono stato chiaro?»
    «Sì» rispose Harry, massaggiandosi la fronte che bruciava sempre più forte.
    «Voglio che torni qui mercoledì alla stessa ora. Continueremo a lavorare».
    «D’accordo» disse Harry. Non vedeva l’ora di uscire e cercare Ron e Hermione.
    «Devi sgombrare la tua mente da ogni emozione tutte le notti prima di dormire; svuotala, rendila piatta e calma. Hai capito?»
    «Sì» rispose Harry, che ascoltava appena.
    «E ti avverto, Potter… lo capirò, se non ti sei esercitato…»
    «Bene» borbottò Harry. Prese la sua borsa e corse alla porta. Mentre la apriva si voltò a guardare Piton, che gli dava le spalle: stava raccogliendo i propri pensieri dal Pensatoio e se li rimetteva con cura dentro la testa. Harry uscì senza aggiungere altro, chiudendo con attenzione la porta. La cicatrice gli pulsava dolorosamente.
    Trovò Ron e Hermione in biblioteca, a lavorare sull’ultima valanga di compiti della Umbridge. Altri studenti, quasi tutti del quinto anno, sedevano ai tavoli con il naso sui libri; mentre le piume grattavano febbrili, il cielo fuori dalle finestre a colonnine si faceva sempre più scuro. L’unico altro suono era il lieve scricchiolio delle scarpe di Madama Pince, che camminava minacciosa su e giù fra i tavoli, con il fiato sul collo di chi toccava i suoi preziosi libri.
    Harry aveva i brividi; la cicatrice gli faceva ancora male, si sentiva quasi la febbre. Quando sedette davanti a Ron e Hermione, intravide la propria immagine nella finestra di fronte; era molto pallido e la cicatrice sembrava più vistosa che mai.
    «Com’è andata?» sussurrò Hermione, e poi aggiunse, preoccupata: «Stai bene, Harry?»
    «Sì… bene… non lo so» disse lui sbrigativamente, sussultando a una nuova fitta di dolore. «Sentite… ho appena capito una cosa…»
    E raccontò quello che aveva appena intuito.
    «Quindi… stai dicendo…» bisbigliò Ron, mentre Madama Pince passava scricchiolando, «che l’arma… la cosa che Tu-Sai-Chi sta cercando… è al Ministero della Magia?»
    «Nell’Ufficio Misteri, dev’essere lì» rispose Harry. «Ho visto quella porta quando tuo padre mi ha portato in aula per l’udienza ed è proprio la stessa che stava sorvegliando quando il serpente lo ha morso».
    Hermione trasse un lungo, lento sospiro.
    «Ma certo» disse.
    «Ma certo cosa?» chiese Ron con una certa impazienza.
    «Ron, pensaci… Sturgis Podmore stava cercando di forzare una porta al Ministero della Magia… doveva essere quella, è una coincidenza troppo evidente!»
    «E perché Sturgis stava cercando di forzarla, se è dalla nostra parte?» disse Ron.
    «Be’, non lo so» ammise Hermione. «È un po’ bizzarro…»
    «Allora, che cosa c’è nell’Ufficio Misteri?» domandò Harry a Ron. «Tuo padre non ne ha mai parlato?»
    «So che quelli che ci lavorano li chiamano “Indicibili”» rispose Ron pensieroso. «Perché, a quanto pare, nessuno sa che cosa fanno… strano posto per un’arma».
    «Non è strano, ha senso, invece» disse Hermione. «Dev’essere una cosa segretissima che il Ministero sta sviluppando, immagino… Harry, sei sicuro di star bene?»
    Harry continuava a premersi le mani sulla fronte come per stirarla.
    «Si… bene…» rispose, abbassando le mani tremanti. «Mi sento solo un po’… non mi piace molto l’Occlumanzia».
    «Immagino che chiunque si sentirebbe scosso se la sua mente fosse stata aggredita a ripetizione» disse Hermione solidale. «Sentite, torniamo nella sala comune, staremo più comodi».
    Ma la sala comune era stipata e piena di urla e risate; Fred e George stavano dando una dimostrazione della loro ultima mercanzia.
    «Cappelli Decapitati!» gridò George, mentre Fred sventolava davanti al pubblico un cappello a punta ornato di piume rosa. «Due galeoni l’uno, guardate Fred, ora!»
    Fred si mise il cappello in testa, sorridendo. Per un secondo ebbe soltanto un’aria molto stupida; poi sia cappello che testa svanirono.
    Molte ragazze strillarono, ma tutti gli altri scoppiarono a ridere.
    «E via di nuovo!» gridò George, e le mani di Fred afferrarono l’aria al di sopra delle spalle; poi la sua testa riapparve quando si tolse il cappello di piume rosa.
    «Ma come funzionano quei cappelli?» chiese Hermione, distraendosi dai compiti e osservando Fred e George. «Insomma, ovviamente è un Incantesimo di Invisibilità, ma sono stati bravi a estendere il campo di invisibilità oltre i confini dell’oggetto incantato… però dubito che la formula abbia una durata molto lunga».
    Harry non rispose; si sentiva male.
    «Dovrò farlo domani, questo» mormorò, rimettendo nella borsa i libri che aveva appena tirato fuori.
    «Be’, scrivilo nel tuo diario!» esclamò Hermione. «Così non te lo dimentichi!»
    Harry e Ron si scambiarono un’occhiata mentre Harry apriva la borsa, prendeva il diario e lo apriva, esitante.
    «Non rimandare a domani, scansafatiche!» cinguettò il libro quando Harry vi scrisse i compiti per la Umbridge. Hermione lo guardò raggiante.
    «Credo che andrò a letto» disse Harry, rimettendo il diario nella borsa e prendendo mentalmente nota di gettarlo nel fuoco alla prima occasione.
    Attraversò la sala comune, evitò George che cercava di ficcargli in testa un Cappello Decapitato e raggiunse la quiete e l’aria fresca della scala di pietra che portava ai dormitori dei ragazzi. Aveva di nuovo la nausea, come la notte in cui aveva avuto la visione del serpente, ma pensò che se si fosse disteso per un po’ sarebbe stato meglio.
    Aprì la porta del dormitorio, e vi aveva appena messo piede quando provò un dolore intenso come se qualcuno gli avesse infilato un coltello nel cranio. Non sapeva dove si trovava, se era in piedi o disteso, non sapeva nemmeno il suo nome.
    Una risata folle rimbombava nelle sue orecchie… era più felice di quanto fosse stato da molto tempo… esultante, estatico, trionfante… era successa una cosa stupenda, meravigliosa…
    «Harry? HARRY!»
    Qualcuno l’aveva colpito in pieno viso. La risata folle fu interrotta da un grido di dolore. La felicità stava sfumando, ma la risata continuava…
    Aprì gli occhi e si rese conto che la risata usciva dalla sua bocca. In quel momento cessò; giaceva ansante sul pavimento, gli occhi al soffitto, la cicatrice che pulsava terribilmente. Ron era chino su di lui, molto preoccupato.
    «Cos’è successo?» chiese.
    «Io… non lo so…» ansimò Harry, alzandosi a sedere. «È felice… molto felice…»
    «Tu-Sai-Chi?»
    «È successo qualcosa di buono» mormorò Harry. Stava tremando come quando aveva visto il serpente attaccare il signor Weasley, e si sentiva malissimo. «Qualcosa in cui sperava».
    Le parole, proprio com’era successo nello spogliatoio della squadra di Grifondoro, suonarono come se un estraneo le avesse pronunciate con le sue labbra, ma Harry sapeva che era la verità. Respirò a fondo; non voleva vomitare addosso a Ron. Fu molto felice che Dean e Seamus non fossero lì a guardare, stavolta.
    «Hermione mi ha detto di seguirti» mormorò Ron, aiutandolo a rialzarsi. «Dice che le tue difese sono deboli in questo momento, dopo che Piton ha giocato con la tua mente… però credo che alla lunga sia utile, vero?»
    Guardò dubbioso Harry mentre lo aiutava ad andare a letto. Harry annuì senza la minima convinzione e si lasciò cadere sui cuscini, dolorante per essere caduto a terra tante volte quella sera, e per la cicatrice che ancora bruciava. Non poteva fare a meno di pensare che la sua prima esperienza di Occlumanzia gli aveva indebolito la mente invece di rafforzarla, e si chiese con grande trepidazione che cosa rendesse Lord Voldemort felice come mai era stato negli ultimi quattordici anni.
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