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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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L'Ufficio Misteri


   Harry affondò le mani nella criniera del Thestral più vicino, salì su un ceppo lì accanto e montò goffamente sul dorso setoso dell’animale. Questo non si lamentò, ma voltò la testa, mostrando i denti e tentando di continuare a leccargli avidamente la veste.
    Dopo aver scoperto che era possibile assicurare le ginocchia dietro la giuntura dell’ala, si girò a controllare come se la cavavano gli altri. Neville si era issato sul Thestral accanto al suo e cercava di passare una delle sue corte gambe sul dorso della creatura. Luna era già pronta, seduta all’amazzone, e si rassettava la veste come se cavalcasse Thestral tutti i giorni. Invece Ron, Hermione e Ginny se ne stavano ancora impalati, a bocca aperta.
    «Che cosa c’è?» chiese Harry.
    «Come facciamo a salirci?» balbettò Ron. «Se non possiamo vederli?»
    «Oh, è facile» disse Luna. Smontò servizievole dal suo Thestral e andò verso di loro. «Coraggio…»
    Uno alla volta, li condusse verso gli altri Thestral e li aiutò a salire in groppa. Avevano tutti e tre un’aria estremamente nervosa mentre Luna guidava le loro mani e le faceva affondare nella criniera con la raccomandazione di tenersi forte, prima di tornare sulla sua cavalcatura.
    «È pazzesco» mormorò Ron, muovendo cauto la mano libera sul collo del Thestral. «Pazzesco… se almeno potessi vederlo…»
    «Meglio per te che rimanga invisibile» commentò cupo Harry. «Pronti?»
    Tutti annuirono, e irrigidirono le ginocchia sotto le vesti.
    «Bene…»
    Abbassò lo sguardo sulla lucida testa nera del suo Thestral e deglutì.
    «Ministero della Magia, ingresso dei visitatori, Londra, allora» disse, incerto. «Ehm… se sai… dov’è…»
    Per un attimo l’animale rimase immobile; poi, con un movimento sinuoso che per poco non disarcionò Harry, le ali si spalancarono; il Thestral si acquattò lentamente per scattare verso l’alto quasi in verticale, costringendo Harry ad aggrapparsi con braccia e gambe per non scivolare all’indietro sulla groppa ossuta. Quando emersero d’impeto oltre i rami più alti e si librarono nel tramonto rosso sangue, chiuse gli occhi e premette il viso contro la morbida criniera.
    Non aveva mai viaggiato a una tale velocità: il Thestral sfrecciò sopra il castello battendo appena le grandi ali; l’aria ormai fresca schiaffeggiava il viso di Harry; stringendo gli occhi contro il vento impetuoso, si voltò indietro e vide i suoi cinque compagni curvi sul collo delle loro cavalcature per proteggersi dalla sua scia.
    In un baleno si lasciarono alle spalle Hogwarts e Hogsmeade; sotto di loro scorrevano montagne e burroni. Mentre la luce del giorno svaniva, Harry scorse i piccoli grappoli di luce dei villaggi, e poi una strada tortuosa sulla quale una sola auto arrancava tra le colline.
    «È proprio strano!» A stento sentì il grido di Ron da qualche parte dietro di lui, e si chiese che effetto faceva sfrecciare a quell’altezza a cavallo del nulla.
    Calò il crepuscolo: il cielo aveva assunto uno sfumato colore violetto trapunto di piccole stelle d’argento, e ormai solo le luci delle città Babbane davano il senso dell’altezza e della velocità a cui viaggiavano. Le braccia strette attorno al collo del Thestral, Harry avrebbe voluto fare ancora più presto. Quanto tempo era passato da quando aveva visto Sirius nell’Ufficio Misteri? Quanto ancora sarebbe riuscito a resistere? Sapeva soltanto che il suo padrino non aveva ancora obbedito a Voldemort e non era morto, perché di sicuro entrambi questi eventi gli avrebbero trasmesso in corpo l’esultanza o la furia di Voldemort, facendo bruciare di dolore la cicatrice come la notte dell’attacco al signor Weasley.
    Continuarono a volare nell’oscurità sempre più fitta; Harry aveva il volto congelato e stringeva così forte i fianchi del Thestral da avere le gambe intorpidite, ma non osava allentare la presa per paura di scivolare… il rombo dell’aria lo assordava e il freddo vento notturno gli aveva seccato e ghiacciato la bocca. Non sapeva quanta strada avessero percorso; poteva solo affidarsi alla sua cavalcatura, che continuava a sfrecciare a folle velocità nella notte muovendo appena le ali.
    Se fossero arrivati troppo tardi…
    È ancora vivo, sta ancora lottando, lo sento…
    Se Voldemort avesse capito che Sirius non si sarebbe piegato…
    Lo saprei…
    Lo stomaco di Harry sussultò: il Thestral aveva puntato di colpo il muso verso terra, facendolo scivolare in avanti sul lungo collo. Finalmente scendevano… gli parve di sentire uno strillo alle sue spalle e si voltò sfidando il pericolo, ma non vide precipitare nessuno… probabilmente il brusco cambiamento di direzione li aveva spaventati quanto lui.
    Ed ecco che brillanti luci arancioni, sempre più grandi, li circondavano da ogni lato; videro alti palazzi, fiumi di lampioni accesi simili a luminosi occhi di insetto, i riquadri giallo pallido delle finestre. D’un tratto, o così parve, il marciapiede balzò verso di loro; Harry si aggrappò al Thestral con tutte le sue forze, preparandosi all’impatto, ma l’animale toccò terra con la leggerezza di un’ombra e lui scivolò giù dal suo dorso e scrutò la strada dove il cassone traboccante stava ancora accanto alla malridotta cabina telefonica, entrambi scoloriti dalla piatta luce arancione dei lampioni.
    Ron atterrò poco lontano e ruzzolò giù dalla cavalcatura.
    «Mai più» disse, rialzandosi a fatica. Fece per allontanarsi dal Thestral, ma non sapendo dov’era, andò a urtare contro il suo posteriore, rischiando di cadere di nuovo. «Mai, mai più… è stata la peggiore…»
    Hermione e Ginny arrivarono al suo fianco; entrambe smontarono con più grazia di Ron, ma con la stessa espressione di sollievo nel trovarsi di nuovo sulla terraferma; Neville saltò giù tremando; e Luna scivolò lungo il fianco del Thestral con fluida eleganza.
    «E adesso dove andiamo?» chiese a Harry con educato interesse, come se si trattasse di una gita di piacere.
    «Da questa parte» rispose lui. Dopo aver assestato al suo Thestral una rapida pacca riconoscente, Harry precedette i compagni verso la vecchia cabina telefonica e la aprì. «Dentro!» li incitò, vedendoli esitare.
    Ron e Ginny obbedirono; Hermione, Neville e Luna si strizzarono dietro di loro; Harry lanciò un’ultima occhiata ai Thestral, impegnati a rovistare nel cassone in cerca di cibo putrefatto, e poi anche lui s’infilò nella cabina.
    «Il più vicino al ricevitore faccia il numero sei due quattro quattro due!» gridò.
    Ron eseguì, e per riuscirci dovette torcere il braccio; mentre il disco del telefono tornava a posto ronzando, nella cabina risuonò la solita fredda voce femminile.
    «Benvenuti al Ministero della Magia. Per favore dichiarate il vostro nome e il motivo della visita».
    «Harry Potter, Ron Weasley, Hermione Granger» elencò rapido Harry. «Ginny Weasley, Neville Paciock, Luna Lovegood… Siamo qui per salvare qualcuno, a meno che il Ministero ci riesca prima di noi!»
    «Grazie» disse la fredda voce femminile. «Il visitatore è pregato di raccogliere la targhetta e assicurarla sul vestito».
    Mezza dozzina di spille rotolarono fuori dalla fessura di metallo che di solito sputava le monete di resto. Hermione le prese e le passò in silenzio a Harry sopra la testa di Ginny; lui guardò la prima. Sopra c’era scritto: Harry Potter, Missione di Salvataggio.
    «Il visitatore del Ministero ha l’obbligo di sottoporsi a perquisizione e di presentare la bacchetta perché sia registrata al banco della sorveglianza, all’estremità dell’Atrium».
    «Bene!» gridò Harry, mentre la cicatrice ricominciava a pulsare. «Adesso possiamo muoverci?»
    Il pavimento della cabina vibrò e il marciapiede scivolò al di sopra delle pareti di vetro; i Thestral spazzini sparirono dalla vista; le tenebre si chiusero sopra le teste dei ragazzi mentre con un sordo rumore raschiante calavano nelle viscere del Ministero della Magia.
    Una fessura di soffusa luce dorata toccò i loro piedi e si allargò, alzandosi fino a illuminarli completamente. Harry piegò le ginocchia e levando la bacchetta per quanto poteva, stretto com’era, scrutò attraverso il vetro per vedere se qualcuno li stava aspettando. L’Atrium però sembrava deserto. La luce era più tenue che di giorno; i camini incassati nei muri erano spenti, ma quando l’ascensore si fermò senza un sussulto Harry vide che i simboli dorati continuavano a muoversi sinuosi sul soffitto blu scuro.
    «Il Ministero della Magia vi augura una piacevole serata» disse la voce femminile.
    La porta della cabina si spalancò; Harry ruzzolò fuori, seguito a ruota da Neville e Luna. L’unico suono era lo scroscio della fontana dorata, dove l’acqua zampillava dalle bacchette della strega e del mago, dalla freccia del centauro, dal cappello del goblin e dalle orecchie dell’elfo domestico, ricadendo nella vasca.
    «Venite» sussurrò Harry, precedendoli di corsa oltre la fontana e verso la scrivania — ora vuota — dove l’ultima volta era seduto il guardiamago che aveva pesato la sua bacchetta.
    Era sicuro che ci dovesse essere qualcuno di guardia, e altrettanto sicuro che la sua assenza fosse un brutto segno; l’inquietudine crebbe quando varcarono i cancelli dorati e raggiunsero gli ascensori. Chiamò il più vicino, premendo il pulsante discesa: arrivò quasi subito, e la grata si aprì con un gran fragore. Harry schiacciò il pulsante numero nove: la grata si richiuse con un tonfo, e l’ascensore cominciò a scendere stridendo e sferragliando. Il giorno che era venuto col signor Weasley non si era reso conto di tutto quel rumore; era certo che avrebbe messo in allarme gli addetti alla sorveglianza nell’edificio, eppure quando si fermarono la fredda voce femminile annunciò «Ufficio Misteri» e la grata mostrò loro un corridoio deserto. L’unica cosa a muoversi erano le fiamme delle torce più vicine, che baluginavano nella corrente d’aria provocata dall’ascensore.
    Harry guardò la nuda porta nera davanti a lui. Finalmente, dopo averla sognata per tanti mesi, era lì.
    «Andiamo» bisbigliò. S’inoltrò nel corridoio, seguito da Luna che si guardava attorno a bocca aperta.
    «Ora, sentite» disse Harry, fermandosi a un paio di metri dalla porta. «Forse… be’, qualcuno dovrebbe restare qui… di guardia…»
    «E come facciamo ad avvertirti, in caso di pericolo?» chiese Ginny, inarcando le sopracciglia. «Potresti essere chissà dove».
    «Noi veniamo con te, Harry» disse Neville.
    «Avanti!» esclamò Ron.
    Harry non avrebbe voluto portarli tutti con sé, ma a quanto pareva non c’era scelta. Si voltò di nuovo verso la porta e la raggiunse: proprio come nel sogno, quella si spalancò al solo sfiorarla e lui avanzò, guidando gli altri oltre la soglia.
    Si trovavano in una grande stanza circolare. Tutto era nero, pavimento e soffitto compresi; nelle pareti nere si susseguivano a intervalli regolari porte nere tutte uguali, prive di contrassegni e di maniglie, e fra l’una e l’altra ardevano grappoli di candele dalle fiammelle azzurrine; la fredda luce tremolante riflessa nel lucido pavimento di marmo dava l’impressione di camminare su una pozza di acqua scura.
    «Qualcuno chiuda la porta» borbottò Harry.
    Neville obbedì e Harry subito rimpianse d’averlo detto. Senza la striscia di luce delle torce nel corridoio dietro di loro, la stanza diventò così buia che per un momento le uniche cose visibili furono i gruppi di frementi fiammelle azzurre sulle pareti e il loro spettrale riflesso sul pavimento.
    In sogno, una volta là dentro, si era sempre diretto verso la porta che aveva di fronte. Ma ora ce n’erano almeno una dozzina. Mentre tentava di decidere quale fosse quella giusta, udì un forte rombo e le candele cominciarono a muoversi. La stanza circolare stava ruotando.
    Hermione gli si aggrappò a un braccio come temendo che anche il pavimento si mettesse a girare; invece non fu così. Per qualche istante, mentre il moto accelerava, le fiammelle azzurre attorno a loro si confusero fino a somigliare a lunghi tubi al neon, finché, di colpo com’era iniziato, il rombo si spense e la stanza si fermò.
    Per un istante Harry non riuscì a vedere altro che le striature azzurre rimaste impresse nelle sue pupille.
    «Che cosa succede?» chiese Ron spaventato.
    «Credo che serva a non farci ritrovare la porta da dove siamo entrati» rispose Ginny con voce sommessa.
    Aveva ragione: ormai riconoscere la porta per tornare indietro era impossibile quanto scorgere una formica sul pavimento nero; e quella che avrebbero dovuto varcare poteva essere una qualunque delle tante attorno a loro.
    «Come faremo a tornare indietro?» chiese inquieto Neville.
    «Per ora non ha importanza» replicò Harry, sbattendo le palpebre nel tentativo di cancellare le striature azzurrine e stringendo con più forza la bacchetta. «Prima dobbiamo trovare Sirius…»
    «Non chiamarlo però!» esclamò ansiosa Hermione; ma Harry non aveva mai avuto meno bisogno del suo consiglio: l’istinto gli suggeriva di fare meno rumore possibile.
    «Da che parte andiamo, allora?» chiese Ron.
    «Non lo so…» Harry deglutì. «Nei sogni varcavo la porta in fondo al corridoio degli ascensori ed entravo in una stanza buia: è questa. Poi la attraversavo ed entravo in una stanza che… scintilla, tipo. Dobbiamo provarne un po’» aggiunse in fretta. «Riconoscerò la strada giusta quando la vedrò. Muoviamoci».
    Seguito dagli altri, andò verso la porta che aveva di fronte, posò la mano contro la fredda superficie levigata e la spinse, tenendo la bacchetta levata, pronta a colpire.
    Il battente girò silenzioso sui cardini.
    Dopo il buio dell’altra stanza, le lampade appese a catene dorate fissate al soffitto facevano sembrare la lunga camera rettangolare molto più luminosa, però non c’erano le luci guizzanti e mobili che Harry aveva visto in sogno. La stanza era vuota, a parte qualche scrivania e un’enorme vasca di cristallo al centro, piena di un liquido verde scuro, abbastanza grande perché potessero nuotarci dentro tutti quanti; vi galleggiavano pigramente diversi oggetti di un bianco perlaceo.
    «Che roba è?» sussurrò Ron.
    «Non saprei» rispose Harry.
    «Pesci?» mormorò Ginny.
    «Larve di Aquavirius!» esclamò Luna, eccitata. «Lo diceva, papà, che il Ministero stava allevando…»
    «No» disse Hermione. Si fece avanti per scrutare nella vasca attraverso la fiancata. «Sono cervelli».
    «Cervelli?»
    «Sì… chissà a che cosa servono».
    Harry le si avvicinò. Sì, a quella distanza non c’erano dubbi. Luccicavano sinistri, fluttuando nel liquido verde, vagamente simili a cavolfiori viscidi.
    «Usciamo di qui» disse Harry. «Non è la stanza giusta. Dobbiamo provare un’altra porta».
    «Ma ci sono altre porte anche qui» obiettò Ron, indicando le pareti. Harry si sentì mancare: quanto era grande quel posto?
    «Nel mio sogno passavo direttamente dalla stanza buia nella seconda» ribatté. «Meglio tornare lì e riprovarci».
    Rientrarono in fretta nella stanza circolare: adesso, invece delle fiammelle azzurre, negli occhi di Harry erano stampate le forme spettrali dei cervelli.
    «Aspetta!» ordinò brusca Hermione a Luna che stava per chiudere la porta. «Flagramus!»
    Mosse la bacchetta, e sul battente si impresse una “X” fiammeggiante. Appena la porta fu chiusa, si levò di nuovo il boato e di nuovo la parete cominciò a ruotare… ma fra le strie azzurrine ora spiccava una chiazza rosso-oro e, quando la stanza si fermò, la croce fiammeggiante ardeva ancora, indicando la porta che avevano già tentato.
    «Buona idea» disse Harry. «Dài, proviamo questa…»
    Ancora una volta raggiunse la porta che aveva di fronte e la spinse, la bacchetta pronta e gli altri alle calcagna.
    Quella stanza, illuminata da una luce fioca, era più grande dell’altra e anch’essa rettangolare, però il centro era concavo e formava una cavità rocciosa profonda poco più di sei metri. Si trovavano sulla fila superiore di una serie di panche di pietra che correvano tutt’attorno alle pareti e scendevano sino in fondo alla cavità, ripide come i gradini di un anfiteatro o dell’aula di tribunale dove Harry era stato giudicato dal Wizengamot. Invece di una sedia con le catene, però, al centro si trovava una piattaforma di roccia sulla quale si ergeva un arco di pietra così antico, rovinato e pieno di crepe che Harry si meravigliò che fosse ancora in piedi. Privo di pareti che lo reggessero, l’arco era chiuso da una logora tenda nera, una specie di velo che, nonostante l’assoluta immobilità dell’aria fredda tutto intorno, fluttuava come se qualcuno l’avesse appena toccato.
    «Chi è là?» fece Harry, scendendo con un salto sulla panca di sotto. Non ebbe risposta, ma il velo continuò a ondeggiare.
    «Attento!» sussurrò Hermione.
    Saltando da una panca all’altra, Harry continuò a scendere finché non ebbe raggiunto il fondo della cavità e avanzò piano verso la piattaforma, il suono dei suoi passi che rimbombava nella stanza. Visto da là sotto, l’arco ogivale sembrava molto più imponente. E il velo continuava a muoversi come se qualcuno fosse appena passato.
    «Sirius?» disse, ma a bassa voce, adesso che era più vicino.
    Aveva la stranissima sensazione che dietro il velo ci fosse qualcuno. Stringendo la bacchetta, girò attorno alla piattaforma, ma non c’era nessuno: vide soltanto l’altro lato del logoro velo nero.
    «Andiamo» lo chiamò Hermione, che era scesa fino a metà delle panche. «Questo posto non mi piace, Harry, vieni».
    Sembrava spaventata, molto più che nella Stanza dei Cervelli, ma per Harry l’arco, pur vecchio com’era, aveva una sua bellezza. E quel velo che continuava a incresparsi lo incuriosiva: provava l’impulso sempre più forte di salire sulla piattaforma e attraversarlo.
    «Andiamo, Harry?» ripeté Hermione, più decisa.
    «D’accordo» le rispose, ma senza muoversi. Aveva sentito qualcosa. Dall’altra parte del velo provenivano sussurri fiochi, mormorii sommessi.
    «Che cosa dite?» chiese, e la sua voce echeggiò contro i sedili di pietra.
    «Nessuno ha detto niente!» rispose Hermione, avvicinandosi.
    «C’è qualcuno che mormora là dietro» disse Harry. Si scostò da lei e continuò a fissare accigliato il velo. «Sei tu, Ron?»
    «Sono qui, Harry» disse Ron, sbucando da dietro la piattaforma.
    «Nessun altro li sente?» insisté Harry, perché i sussurri e i mormorii erano diventati più forti; senza rendersene conto aveva messo un piede sulla piattaforma.
    «Li sento anch’io» bisbigliò Luna. Li raggiunse e fissò la stoffa fluttuante. «C’è qualcuno là dentro!»
    «Come sarebbe “là dentro”?» sbottò Hermione in tono più irritato del necessario, saltando giù dall’ultima panca, «non c’è nessun “dentro”, è solo un arco, non c’è spazio per nessuno. Dài, Harry, smettila, andiamo via…»
    Lo afferrò per un braccio, ma Harry oppose resistenza.
    «Harry, siamo venuti qui per Sirius!» esclamò Hermione con voce acuta, esasperata.
    «Sirius» ripeté lui, senza staccare lo sguardo ipnotizzato dal velo fluttuante. «Sì…»
    Qualcosa gli scattò nel cervello: Sirius… catturato, legato, torturato… e lui stava lì a fissare quell’arco…
    Arretrò di colpo, distogliendo a fatica gli occhi dal velo.
    «Andiamo» disse.
    «È proprio quello che… oh, insomma, muoviamoci!» tagliò corto Hermione, girando attorno alla piattaforma. Dall’altro lato, anche Ginny e Neville erano immobili, gli occhi puntati sul velo. Senza una parola, Hermione prese Ginny per un braccio, Ron acciuffò Neville, e insieme li trascinarono verso la panca più bassa, poi si arrampicarono su fino alla porta.
    «Che cosa credi che fosse?» chiese Harry a Hermione mentre rientravano nella stanza circolare.
    «Non lo so, ma di sicuro era pericoloso» rispose lei decisa, tracciando una croce fiammeggiante sulla porta che avevano appena attraversato.
    Ancora una volta la stanza ruotò e si fermò. Harry si avvicinò a un’altra porta a caso e la spinse. Non si mosse.
    «Che cosa c’è?» chiese Hermione.
    «È… chiusa… a chiave» spiegò Harry, spingendo invano la porta con tutte le sue forze.
    «Dev’essere questa, allora, no?» esclamò Ron eccitato, unendosi a lui nel tentativo di forzarla. «Di sicuro!»
    «Allontanatevi!» ordinò Hermione. Puntò la bacchetta contro il punto dove sarebbe dovuta esserci la serratura e disse: «Alohomora!»
    Niente.
    «Il coltello di Sirius!» esclamò Harry. Lo cavò da sotto la veste e lo infilò nella fessura fra la porta e la parete. Sotto lo sguardo attento degli altri lo fece scorrere, lo ritrasse e colpì di nuovo la porta con la spalla. Quella rimase chiusa. Harry guardò il coltello e vide che la lama si era fusa.
    «D’accordo, questa stanza la lasciamo perdere» concluse Hermione.
    «Ma se fosse quella giusta?» obiettò Ron, fissando la porta con un misto di timore e desiderio.
    «Impossibile. Nel sogno, Harry apriva tutte le porte» ribatté Hermione, tracciando anche su quella una croce fiammeggiante, mentre Harry si rimetteva in tasca il manico del coltello di Sirius ormai inutile.
    «Hai idea di che cosa potesse esserci dentro?» chiese Luna curiosa, mentre la parete riprendeva a ruotare.
    «Qualcosa di schiattoso, senza dubbio» rispose Hermione a mezza voce, strappando a Neville una risatina nervosa.
    La parete si fermò e Harry, con un senso di disperazione crescente, spinse un’altra porta.
    «È questa!»
    Riconobbe subito la bella luce danzante che brillava diamantina. Mentre i suoi occhi si abituavano allo sfavillio, vide orologi luccicare da ogni parte, grandi e piccoli, pendole e sveglie, appesi fra le librerie o posati sui tavoli allineati. Un ticchettio costante, ritmico, riempiva la stanza, come il suono di migliaia di piccoli piedi in marcia. La luce danzante, simile a uno scintillio di pietre preziose, proveniva da una gigantesca campana di vetro posta su un tavolo al capo opposto della stanza.
    «Da questa parte!»
    Col cuore in gola, sicuro d’essere sulla pista giusta, li guidò nello stretto corridoio fra i tavoli e puntò, come già in sogno, verso la sorgente della luce: la campana di vetro, alta quasi quanto lui, che sembrava piena di un turbinoso vento luccicante.
    «Guardate!» esclamò Ginny mentre si avvicinavano, indicando il centro della campana.
    Un uovo minuscolo, luminoso come una gemma, era sospinto in alto dal vortice di luce. Salendo, si dischiuse e ne emerse un colibrì che fu trascinato fino all’imboccatura del vaso, e quando ridiscese con la corrente le piume tornarono rade e fradicie, e una volta che ebbe raggiunto il fondo della campana, era ancora un uovo.
    «Muovetevi!» ordinò brusco Harry, perché Ginny sembrava decisa a fermarsi per vedere l’uovo che tornava a trasformarsi in uccello.
    «Tu hai perso tutto il tempo che hai voluto con quello stupido arco!» replicò lei stizzita, ma lo seguì verso la porta dietro la campana di vetro.
    «È questa» disse Harry di nuovo, il cuore che gli batteva così forte e rapido da impedirgli quasi di parlare. «È di qua…»
    Si voltò a guardarli; avevano tutti la bacchetta pronta e l’espressione seria, ansiosa. Tornò a fissare la porta e la spinse. Si spalancò.
    Erano arrivati, avevano trovato il posto giusto: una stanza alta come una cattedrale, piena di enormi scaffali zeppi di piccole, polverose sfere di vetro che luccicavano scialbe nella luce diffusa dai candelieri fissati in testa agli scaffali. Come quelle della stanza circolare, anche queste fiammelle ardevano azzurrine. Faceva molto freddo.
    Harry mosse qualche passo e sbirciò nel corridoio buio che separava due file di scaffali. Non sentì alcun rumore, e nemmeno scorse la minima traccia di movimento.
    «Hai detto che era la fila novantasette» sussurrò Hermione.
    «Sì». Alzò lo sguardo all’inizio della fila più vicina. Sotto le fiammelle azzurre di un braccio carico di candele scintillava un numero argenteo: cinquantatré.
    «Dobbiamo andare a destra, credo» bisbigliò Hermione, strizzando gli occhi verso quello successivo. «Sì… cinquantaquattro».
    «Tenete le bacchette pronte» disse Harry.
    Avanzarono cauti, guardandosi alle spalle, superando una dopo l’altra file di scaffali le cui estremità lontane svanivano nell’oscurità quasi totale. Piccole etichette ingiallite erano fissate sotto ogni sfera di vetro. Alcune sfere emanavano uno strano bagliore liquido; altre erano opache e scure come lampadine fulminate.
    Superarono la fila ottantaquattro… ottantacinque… Harry aveva le orecchie tese, pronto a cogliere il minimo movimento, ma Sirius poteva essere imbavagliato, svenuto… o, disse una voce non richiesta dentro la sua mente, già morto…
    Lo avrei sentito, replicò in silenzio, il cuore che pulsava contro il pomo d’Adamo. Lo saprei già.
    «Novantasette!» mormorò Hermione.
    Si raggrupparono all’inizio del corridoio, scrutando l’oscurità. Nessuno.
    «È laggiù in fondo» disse Harry, la bocca arida. «Da qui non si vede».
    Li precedette tra le file torreggianti di sfere di vetro; alcune brillarono fioche al loro passaggio…
    «Dovrebbe essere qui vicino» sussurrò, certo che da un momento all’altro avrebbero visto Sirius accasciato sul pavimento oscuro. «Qui… molto vicino…»
    «Harry» disse Hermione esitante, ma lui non le rispose. Aveva la bocca completamente asciutta.
    «Da qualche parte… qui…» ripeté.
    Arrivarono in fondo al corridoio ed emersero nella luce velata di altre candele. Non c’era nessuno. Solo polveroso echeggiante silenzio.
    «Potrebbe essere…» bisbigliò Harry con voce roca, scrutando il corridoio accanto. «O forse…» Controllò quello ancora dopo.
    «Harry» ripeté Hermione.
    «Che cosa c’è?» ringhiò lui.
    «Non… non credo che Sirius sia qui».
    Nessuno parlò. Harry non aveva il coraggio di guardarli. Aveva la nausea. Non capiva perché Sirius non era lì. Doveva esserci. Era lì che lui, Harry, lo aveva visto…
    Percorse in fretta lo spazio in fondo alle file, controllandole una dopo l’altra, superando un corridoio vuoto dopo l’altro. Rifece la strada di corsa in senso inverso, fino a raggiungere i compagni che lo fissavano a occhi sgranati. Nessun segno di Sirius, e nemmeno tracce di lotta.
    «Harry» chiamò Ron.
    «Che cosa c’è?»
    Non voleva ascoltarlo; non voleva sentirsi dire che era stato uno sciocco, o che era meglio tornare a Hogwarts, ma una vampa rovente si diffondeva sul suo viso e avrebbe voluto rintanarsi là sotto, al buio, per un bel po’ prima di affrontare la luce dell’Atrium e gli sguardi di rimprovero degli altri…
    «Hai visto questa?» disse Ron.
    «Che cosa c’è?» chiese Harry, ora di nuovo ansioso… forse era un segno della presenza di Sirius, un indizio. Ma quando ebbe raggiunto Ron a metà della fila novantasette, lo trovò intento a fissare una delle tante polverose sfere di vetro sullo scaffale.
    «Che cosa c’è?» ripeté per la terza volta, deluso,
    «C’è… c’è il tuo nome scritto qui» disse Ron.
    Harry si avvicinò. Ron indicava una sfera che emanava una luce smorzata, anche se era coperta di polvere e non sembrava fosse stata toccata da anni.
    «Il mio nome?» disse Harry con espressione vacua.
    Si avvicinò. Era meno alto di Ron, perciò dovette allungare il collo per leggere l’etichetta sullo scaffale sotto la piccola sfera impolverata. Una calligrafia spigolosa vi aveva scritto una data di più o meno sedici anni prima, e subito sotto:
   
    S.P.C. a A.P.W.B.S.
    Oscuro Signore e (?) Harry Potter
   
    Harry la fissò perplesso.
    «Che roba è?» chiese Ron, teso. «Che cosa ci fa il tuo nome quaggiù?»
    Lanciò un’occhiata alle altre targhette sullo stesso scaffale.
    «Il mio non c’è» osservò perplesso. «E nemmeno quello degli altri».
    «Harry, non credo che dovresti toccarla» disse brusca Hermione, mentre lui tendeva una mano verso la sfera.
    «Perché no? C’è il mio nome, giusto? È qualcosa che mi riguarda…»
    «Non farlo, Harry» disse all’improvviso Neville. Harry lo guardò. Aveva il viso tondo lucido di sudore. Pareva che non fosse più in grado di sostenere altre emozioni.
    «C’è il mio nome» ripeté Harry.
    Cedendo a un impulso avventato, chiuse le dita sulla superficie polverosa della sfera. Immaginava che fosse fredda: invece no. Anzi, sembrava che fosse rimasta al sole per ore, come se la tenue luce interna la riscaldasse. Aspettandosi, quasi sperando che succedesse qualcosa di drammatico, qualcosa di eccitante che dopotutto giustificasse il loro lungo, pericoloso viaggio, tolse la sfera di vetro dallo scaffale e la fissò.
    Non accadde niente di niente. Gli altri gli si strinsero attorno, fissando la sfera mentre lui la strofinava per liberarla dalla polvere.
    Poi, proprio alle loro spalle, risuonò una voce strascicata.
    «Molto bene, Potter. Adesso voltati lentamente, da bravo, e dammela».
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