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Harry Potter e l'Ordine della Fenice (9042 citazioni)
   1) Dudley Dissennato (184 citazioni)
   2) Un pacco di gufi (261 citazioni)
   3) L’avanguardia (185 citazioni)
   4) Grimmauld Place, numero dodici (230 citazioni)
   5) L’Ordine della Fenice (216 citazioni)
   6) La Nobile e Antichissima Casata dei Black (230 citazioni)
   7) Il Ministero della Magia (159 citazioni)
   8) L’udienza (156 citazioni)
   9) Le pene della Signora Weasley (322 citazioni)
   10) Luna Lovegood (226 citazioni)
   11) La nuova canzone del Cappello Parlante (173 citazioni)
   12) La Professoressa Umbridge (340 citazioni)
   13) Punizione con Dolores (298 citazioni)
   14) Percy e Felpato (295 citazioni)
   15) L'Inquisitore Supremo di Hogwarts (274 citazioni)
   16) Alla Testa di Porco (211 citazioni)
   17) Decreto Didattico Numero Ventiquattro (261 citazioni)
   18) L'esercito di Silente (268 citazioni)
   19) Il serpente e il leone (207 citazioni)
   20) Il racconto di Hagrid (255 citazioni)
   21) L'occhio del serpente (258 citazioni)
   22) L'ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche (252 citazioni)
   23) Natale nel reparto riservato (229 citazioni)
   24) Occlumanzia (287 citazioni)
   25) Lo scarabeo in trappola (257 citazioni)
   26) Visto e imprevisto (274 citazioni)
   27) Il centauro e la spia (265 citazioni)
   28) Il peggior ricordo di Piton (287 citazioni)
   29) Orientamento professionale (270 citazioni)
   30) Grop (262 citazioni)
   31) I G.U.F.O. (216 citazioni)
   32) Fuori dal camino (236 citazioni)
   33) Lotta e fuga (140 citazioni)
   34) L'Ufficio Misteri (182 citazioni)
   35) Oltre il velo (280 citazioni)
   36) L’unico che abbia mai temuto (116 citazioni)
   37) La profezia perduta (210 citazioni)
   38) La seconda guerra comincia (270 citazioni)
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La Nobile e Antichissima Casata dei Black


   La signora Weasley li seguì di sopra con aria cupa.
    «Voglio che andiate tutti dritti a letto, niente chiacchiere» disse quando furono sul primo pianerottolo, «domani ci aspetta una giornata intensa. Mi auguro che Ginny si sia addormentata» aggiunse, rivolta a Hermione, «quindi cerca di non svegliarla».
    «Addormentata, sì, sicuro» mormorò Fred, dopo che Hermione ebbe augurato loro la buonanotte, mentre salivano al piano di sopra. «Se Ginny non è sveglia ad aspettare che Hermione le racconti tutto, io sono un Vermicolo…»
    «Bene. Ron, Harry» disse la signora Weasley sul secondo pianerottolo, facendo loro segno di entrare in camera, «filate a letto».
    «’Notte» dissero Harry e Ron ai gemelli.
    «Dormite bene» rispose Fred con una strizzatina d’occhio.
    La signora Weasley chiuse la porta dietro a Harry con un colpo secco. La stanza sembrava, se possibile, ancora più umida e squallida che al primo sguardo. Il quadro vuoto alla parete respirava lento e profondo, come se il suo invisibile abitante fosse addormentato. Harry si infilò il pigiama, si tolse gli occhiali e salì nel letto gelato mentre Ron gettava dei Biscottini Gufici in cima all’armadio per placare Edvige e Leotordo, che facevano ticchettare le unghie e scuotevano le ali irrequieti.
    «Non possiamo lasciarli uscire a caccia tutte le notti» spiegò Ron infilandosi il pigiama marrone. «Silente non vuole troppi gufi che planano nella piazza, sarebbe sospetto. Oh, sì… dimenticavo…»
    Andò alla porta e la chiuse col lucchetto.
    «Come mai?»
    «Kreacher» spiegò Ron spegnendo la luce. «La prima notte che ero qui è entrato alle tre del mattino. Fidati, non è bello svegliarsi e trovarlo che si aggira per la stanza». S’infilò nel letto, si sistemò sotto le coperte, poi si voltò a guardare l’amico nell’oscurità; Harry ne distinse la sagoma alla luce della luna che filtrava attraverso la finestra incrostata. «Comunque… che cosa ne pensi?»
    Harry non dovette chiedere a cosa si riferiva.
    «Be’, non ci hanno detto niente che non avremmo potuto indovinare, vero?» disse, riflettendo. «Insomma, hanno detto solo che l’Ordine sta cercando di impedire alla gente di unirsi a Vol…»
    Ron inspirò bruscamente.
    «…demort» proseguì Harry con decisione. «Quand’è che comincerai a usare il suo nome? Sirius e Lupin lo fanno».
    Ron ignorò quest’ultimo commento.
    «Sì, hai ragione» disse, «sapevamo già quasi tutto grazie alle Orecchie Oblunghe. L’unica novità è stata…»
    Crac.
    «AHIA!»
    «Parla piano, Ron, o la mamma tornerà!»
    «Vi siete appena Materializzati sulle mie ginocchia!»
    «Sì, be’, al buio è più difficile».
    Harry vide i profili sfocati di Fred e George balzare giù dal letto di Ron. Ci fu un cigolio di molle e il materasso di Harry si abbassò di qualche centimetro mentre George si sedeva vicino ai suoi piedi.
    «Allora, ci siete già arrivati?» disse George impaziente.
    «All’arma di cui ha parlato Sirius?» chiese Harry.
    «Che si è lasciato sfuggire, più che altro» precisò Fred soddisfatto; era seduto vicino a Ron. «Di quella non abbiamo sentito parlare con le vecchie Oblunghe, vero?»
    «Che cosa credete che sia?» chiese Harry.
    «Potrebbe essere qualunque cosa» rispose Fred.
    «Ma non può esserci nulla di peggio della Maledizione Avada Kedavra, vero?» disse Ron. «Che cosa è peggio della morte?»
    «Forse è qualcosa che può uccidere un sacco di gente in una volta sola» suggerì George.
    «Forse è un modo particolarmente doloroso di uccidere la gente» disse Ron terrorizzato.
    «Per fare del male ha la Maledizione Cruciatus» osservò Harry, «non ha bisogno di una cosa più efficace di quella».
    Ci fu una pausa e Harry capì che gli altri, come lui, stavano rimuginando sugli orrori che quest’arma avrebbe potuto compiere.
    «Allora chi credete che ce l’abbia al momento?» chiese George.
    «Spero che siano i nostri» rispose Ron, vagamente nervoso.
    «Se è così, è probabile che la custodisca Silente» disse Fred.
    «Dove?» chiese Ron in fretta. «A Hogwarts?»
    «Ci scommetto!» esclamò George. «Era lì che teneva nascosta la Pietra Filosofale».
    «Un’arma però dev’essere molto più grossa della Pietra Filosofale!» disse Ron.
    «Non necessariamente» rispose Fred.
    «Sì, la taglia non è garanzia di potenza» ammise George. «Guardate Ginny».
    «Che cosa intendi dire?» chiese Harry.
    «Non ti sei mai beccato una delle sue Fatture Orcovolanti, vero?»
    «Ssst!» fece Fred, alzandosi dal letto. «Ascoltate!»
    Tacquero. Dei passi salivano le scale.
    «La mamma» disse George; e all’istante risuonò un forte crac e Harry sentì il peso svanire dai piedi del letto. Qualche istante dopo, udirono il pavimento scricchiolare fuori dalla loro porta; la signora Weasley evidentemente era in ascolto per scoprire se stavano chiacchierando.
    Edvige e Leotordo tubarono dolorosamente. Il pavimento scricchiolò di nuovo e sentirono la signora Weasley salire a controllare Fred e George.
    «Non si fida affatto di noi, sai» commentò Ron dispiaciuto.
    Harry era sicuro che non sarebbe riuscito a addormentarsi; la serata era stata così densa che sarebbe rimasto lì disteso, perfettamente sveglio, per ore, a rimuginare. Voleva continuare a parlare con Ron, ma la signora Weasley stava tornando di sotto annunciata da altri scricchiolii, e quando si fu allontanata sentì che altri salivano le scale… in effetti, creature dotate di molte zampe trotterellavano piano su e giù davanti alla porta; Hagrid, l’insegnante di Cura delle Creature Magiche, stava dicendo: Una vera bellezza, eh, Harry? Quest’anno studiamo le armi… e Harry vide che le creature avevano la testa a forma di cannone e ruotavano per fronteggiarlo… si chinò…
    Un attimo dopo era appallottolato in un fagotto caldo sotto le lenzuola e la voce squillante di George riempiva la stanza.
    «La mamma dice di alzarsi, la colazione è in cucina e poi ha bisogno di voi in salotto, ci sono molti più Doxy del previsto e ha trovato un nido di Puffskein morti sotto il divano».
    Mezz’ora dopo Harry e Ron, che si erano vestiti e avevano fatto colazione in fretta, entrarono nel salotto, una lunga stanza al primo piano, con il soffitto alto e pareti verde oliva coperte di arazzi sporchi. La moquette esalava nuvolette di polvere tutte le volte che qualcuno vi posava un piede, e le lunghe tende di velluto verde muschio ronzavano come se pullulassero di api invisibili. Era attorno a queste che la signora Weasley, Hermione, Ginny, Fred e George erano riuniti, tutti con un aspetto strano, visto che si erano legati uno straccio attorno al naso e alla bocca. Ciascuno di loro reggeva una grossa bottiglia di liquido nero con un beccuccio in cima.
    «Copritevi la faccia e prendete uno spray» disse la signora Weasley a Harry e a Ron non appena li vide, indicando altre due bottiglie di liquido nero posate su un tavolino dalle zampe sottili. «È Doxicida. Non ho mai visto un’infestazione così grave… ma che cosa avrà fatto quell’elfo domestico negli ultimi dieci anni…»
    Il volto di Hermione era seminascosto da uno strofinaccio, ma Harry la vide chiaramente rivolgere uno sguardo di rimprovero alla signora Weasley.
    «Kreacher è molto vecchio, probabilmente non è riuscito…»
    «Saresti sorpresa di scoprire che cosa riesce a fare Kreacher quando vuole, Hermione» disse Sirius, che era appena entrato nella stanza reggendo un sacco insanguinato pieno di quelli che sembravano ratti morti. «Ho appena dato da mangiare a Fierobecco» aggiunse, in risposta allo sguardo curioso di Harry. «Lo tengo di sopra, nella stanza da letto di mia madre. Comunque… questo scrittoio…»
    Lasciò cadere il sacco di ratti in una poltrona, poi si curvò a esaminare il mobiletto chiuso a chiave che, Harry lo notò per la prima volta, vibrava appena.
    «Be’, sono sicuro che è un Molliccio» disse Sirius, spiando dal buco della serratura, «ma forse dovremmo lasciare che Malocchio gli dia un’occhiata prima di farlo uscire… conoscendo mia madre, potrebbe essere qualcosa di molto peggiore».
    «Hai ragione, Sirius» disse la signora Weasley.
    Parlavano entrambi in tono cauto, lieve e educato, il che fece chiaramente capire a Harry che nessuno dei due aveva dimenticato i dissapori della sera prima.
    Un forte, sonoro scampanellio risuonò di sotto, seguito subito dalla cacofonia di urla e ululati scatenati da Tonks che aveva rovesciato il portaombrelli.
    «Continuo a ripetere di non suonare il campanello!» esclamò Sirius esasperato, correndo fuori dalla stanza. Lo sentirono scendere le scale a tonfi mentre gli strilli della signora Black echeggiavano di nuovo per la casa.
    «Macchie di disonore, sudici ibridi, traditori del vostro sangue, figli della sozzura…»
    «Chiudi la porta, per favore, Harry» disse la signora Weasley.
    Harry si prese tutto il tempo che osò per chiudere la porta del salotto: voleva sentire che cosa succedeva di sotto. Sirius era evidentemente riuscito a chiudere le tende sul ritratto della madre, perché quella smise di urlare. Lo sentì attraversare l’ingresso, poi udì il tintinnio della catena della porta d’ingresso e infine una voce profonda che riconobbe per quella di Kingsley Shacklebolt: «Hestia mi ha appena dato il cambio, quindi adesso il mantello di Moody ce l’ha lei, ho pensato di lasciare un rapporto per Silente…»
    Sentendo lo sguardo della signora Weasley sulla nuca, Harry chiuse riluttante la porta del salotto e si unì di nuovo alla battuta di caccia ai Doxy.
    La signora Weasley era china sulla pagina dedicata ai Doxy dalla Guida alla disinfestazione domestica, di Gilderoy Allock, che era aperta sul divano.
    «Va bene, sentite, dovete stare attenti, perché i Doxy mordono e i loro denti sono velenosi. Ho qui una bottiglia di antidoto, ma preferirei che nessuno ne avesse bisogno».
    Si rialzò, si sistemò salda davanti alle tende e fece cenno agli altri di avanzare.
    «Quando lo dico io, cominciate subito a spruzzare» disse. «Ci voleranno addosso, credo, ma sulle bottiglie c’è scritto che una bella innaffiata li paralizzerà. Quando sono immobilizzati, gettateli in questo secchio».
    Si spostò cautamente dalla loro linea di fuoco e alzò a sua volta la bottiglia.
    «Pronti… spruzzare!»
    Harry spruzzava solo da qualche istante quando un Doxy completamente sviluppato uscì fluttuando da una piega del tessuto, con le lucide ali da maggiolino che frusciavano, i dentini aguzzi scoperti, il corpo da fata rivestito di folto pelo nero e i quattro pugnetti serrati dalla rabbia. Harry lo colpì in faccia con una spruzzata di Doxicida. Quello rimase immobile a mezz’aria e cadde con un tunc sorprendentemente sonoro sulla moquette consunta. Harry lo raccolse e lo gettò nel secchio.
    «Fred, che cosa fai?» disse la signora Weasley secca. «Spruzzalo subito e buttalo via!»
    Harry si voltò. Fred reggeva un agitatissimo Doxy tra pollice e indice.
    «Va beeene» rispose Fred allegramente, e gli innaffiò rapido la faccia, facendolo svenire, ma non appena la signora Weasley si voltò, lo intascò con una strizzatina d’occhio.
    «Vogliamo fare degli esperimenti con il veleno dei Doxy per le nostre Merendine Marinare» spiegò George a Harry sottovoce.
    Harry centrò lesto due Doxy in una volta mentre puntavano dritti al suo naso. Poi si avvicinò a George e borbottò dall’angolo della bocca: «Che cosa sono le Merendine Marinare?»
    «Una linea di dolci per farti star male» sussurrò George, sorvegliando con attenzione la schiena della signora Weasley. «Non male sul serio, però, solo abbastanza da farti uscire da un’ora di lezione quando ti va. Io e Fred ci stiamo lavorando. Sono dolcetti che hanno le due estremità marcate con colori diversi. Se mangi la metà arancione delle Pasticche Vomitose, per esempio, vomiti. Non appena ti hanno fatto uscire di corsa dall’aula per spedirti in infermeria, tu mandi giù la metà viola…»
    «…’che ti rimette in salute, consentendoti di praticare l’attività di svago prescelta durante un’ora che altrimenti sarebbe stata dedicata a una noia infruttuosa’. È quello che scriveremo nella pubblicità, perlomeno» mormorò Fred, che si era tolto dal campo visivo della signora Weasley e stava raccogliendo e intascando alcuni Doxy sparsi dal pavimento. «Ma dobbiamo perfezionarle un po’. Al momento le nostre cavie hanno qualche difficoltà a smettere di vomitare quanto basta per mandar giù la parte viola».
    «Cavie?»
    «Noi» spiegò Fred. «Le prendiamo noi a turno. George ha sperimentato i Pasticcetti Svenevoli… tutti e due abbiamo provato il Torrone Sanguinolento…»
    «La mamma credeva che ci fossimo battuti con qualcuno» disse George.
    «Il negozio di scherzi va avanti, quindi?» sussurrò Harry, fingendo di sistemare lo spruzzatore sulla bottiglia.
    «Be’, non siamo ancora riusciti a trovare i locali» disse Fred, abbassando ancora di più la voce mentre la signora Weasley si asciugava la fronte con la sciarpa prima di riprendere l’attacco, «quindi al momento è solo per corrispondenza. Abbiamo messo un’inserzione pubblicitaria sulla Gazzetta del Profeta la settimana scorsa».
    «Tutto grazie a te, amico» disse George. «Ma non preoccuparti… la mamma non lo sa. Non vuole più leggere La Gazzetta del Profeta, perché scrive cose false su te e Silente».
    Harry fece un gran sorriso. Aveva convinto i gemelli Weasley ad accettare il premio di mille galeoni che aveva vinto al Torneo Tremaghi per aiutarli a realizzare la loro ambizione di aprire un negozio di scherzi, ma era contento che la signora Weasley non sapesse del suo contributo. Lei non pensava che avere un negozio di scherzi fosse una carriera adatta a due dei suoi figli.
    La dedoxizzazione delle tende occupò gran parte della mattina. Era mezzogiorno passato quando finalmente la signora Weasley si tolse la sciarpa protettiva, sprofondò in una poltrona pericolante e balzò di nuovo su con aria disgustata: si era seduta sul sacco di ratti morti. Le tende non ronzavano più; pendevano flosce e umide per le spruzzate intensive. Ai loro piedi i Doxy svenuti giacevano ammucchiati nel secchio vicino a una ciotola piena delle loro uova nere, che Grattastinchi stava annusando e Fred e George covavano con sguardi avidi.
    «Credo che affronterò quelle dopo pranzo». La signora Weasley indicò le scaffalature chiuse da vetri polverosi che si ergevano ai lati del camino. Erano stipate di uno stravagante assortimento di oggetti: una selezione di pugnali arrugginiti, artigli, una pelle di serpente avvolta a spirale, alcune scatole d’argento ossidato con incise scritte in lingue che Harry non capiva e infine, la cosa più sgradevole di tutte, un’elaborata bottiglia di cristallo con una grossa opale incastonata nel tappo, piena di quello che, Harry ne era praticamente certo, doveva essere sangue.
    Il fragoroso campanello suonò di nuovo. Tutti guardarono la signora Weasley.
    «Restate qui» ordinò, e afferrò il sacco di ratti mentre gli strilli della signora Black ricominciavano di sotto. «Porto su dei panini».
    Uscì dalla stanza, richiudendosi con cura la porta alle spalle. Subito tutti corsero alla finestra per vedere chi stava arrivando. Scorsero la sommità di una disordinata testa rossiccia e una pila di calderoni pericolosamente in bilico.
    «Mundungus!» disse Hermione. «Perché ha portato tutti quei calderoni?»
    «Probabilmente sta cercando un posto sicuro dove nasconderli» rispose Harry. «Non è quello che stava facendo la notte che avrebbe dovuto seguire me? Recuperare dei calderoni sospetti?»
    «Sì, hai ragione!» esclamò Fred. «Accidenti, alla mamma non piacerà…» Mundungus spinse dentro i calderoni e scomparve.
    Fred e George si avvicinarono alla porta e lì rimasero, ascoltando attentamente. La signora Black aveva smesso di urlare.
    «Mundungus sta parlando con Sirius e Kingsley» mormorò Fred, accigliato per la concentrazione. «Non riesco a sentire bene… credete che possiamo azzardarci a usare le Orecchie Oblunghe?»
    «Forse ne vale la pena» disse George. «Posso sgattaiolare di sopra a prenderne un paio…»
    Ma in quel preciso istante un’esplosione di rumore rese inutili le Orecchie Oblunghe. Tutti sentirono distintamente la signora Weasley urlare a pieni polmoni.
    «NON SIAMO UN COVO DI RICETTATORI!»
    «Adoro sentire la mamma che urla contro qualcun altro» commentò Fred con un sorriso soddisfatto, e aprì la porta di qualche centimetro per consentire alla voce della signora Weasley di invadere la stanza, «è un piacevole cambiamento».
    «…DEL TUTTO IRRESPONSABILE, ABBIAMO GIÀ ABBASTANZA PENSIERI SENZA CHE TU CI PORTI IN CASA DEI CALDERONI RUBATI…»
    «Quegli idioti la stanno lasciando andare a briglia sciolta» disse George, scuotendo il capo. «Bisogna distrarla subito, altrimenti si surriscalda e va avanti per ore. Moriva dalla voglia di dirne quattro a Mundungus da quando è scappato via invece di seguire te, Harry… ecco che ricomincia la mamma di Sirius».
    La voce della signora Weasley si smarrì tra nuovi strilli e grida dei ritratti nell’ingresso.
    George fece per chiudere la porta e soffocare il frastuono, ma prima che ci riuscisse entrò un elfo domestico.
    A parte lo straccio sudicio legato come un gonnellino attorno alla vita, era completamente nudo. Era molto vecchio: la sua pelle pareva troppo abbondante, e anche se era calvo come tutti gli elfi domestici, una gran quantità di peli neri spuntava dalle grandi orecchie a forma di ali di pipistrello. Aveva gli occhi di un grigio acquoso e iniettato di sangue e il grosso naso carnoso, molto simile a un gnigno.
    L’elfo non badò assolutamente a Harry e agli altri. Come se non li vedesse, avanzò trascinando i piedi, ingobbito, lento e risoluto, verso l’estremità della stanza, borbottando sottovoce con un tono rauco e profondo da rana toro.
    «…puzza come una fogna e in più è un criminale, ma lei non è meglio, brutta vecchia traditrice del suo sangue con i suoi mocciosi che impiastrano la casa della mia padrona, oh, la mia povera padrona, se sapesse, se sapesse la feccia che hanno lasciato entrare in casa sua, che cosa direbbe al vecchio Kreacher, oh, vergogna, Mezzosangue e lupi marinari e traditori e ladri, povero vecchio Kreacher, che cosa può farci…»
    «Ciao, Kreacher» disse Fred a voce un po’ più alta del normale chiudendo la porta di scatto.
    L’elfo domestico rimase immobile, tacque e si esibì in un sussulto di sorpresa molto enfatico e molto poco convincente.
    «Kreacher non aveva visto il padroncino» rispose, voltandosi e inchinandosi a Fred. Ancora con la faccia al pavimento, aggiunse, a un livello perfettamente udibile: «Perfida piccola canaglia di un traditore del suo sangue, ecco cos’è».
    «Scusa?» disse George. «Non ho sentito l’ultima parte».
    «Kreacher non ha detto niente» rispose l’elfo, con un secondo inchino a George, e aggiunse sottovoce, con molta chiarezza: «Ed ecco il suo gemello, sono bestiole mostruose».
    Harry non sapeva se ridere o no. L’elfo si raddrizzò, occhieggiandoli tutti con malevolenza, apparentemente convinto che non potessero sentirlo.
    «…ed ecco la Mezzosangue, quella non ha paura di niente, oh, se la mia padrona sapesse, oh, come piangerebbe, e c’è un ragazzo nuovo, Kreacher non sa come si chiama. Che cosa ci fa qui? Kreacher non lo sa…»
    «Questo è Harry, Kreacher» disse Hermione esitante. «Harry Potter».
    Gli occhi sbiaditi di Kreacher si allargarono e borbottò più forte e furioso che mai.
    «La Mezzosangue parla a Kreacher come se fosse sua amica, se la padrona di Kreacher lo vedesse in simile compagnia, oh, che cosa direbbe…»
    «Non chiamarla Mezzosangue!» esclamarono Ron e Ginny insieme, molto arrabbiati.
    «Non importa» sussurrò Hermione, «non è del tutto in sé, non sa che cosa…»
    «Non illuderti, Hermione, lui sa esattamente quello che dice» intervenne Fred, osservando Kreacher con enorme disgusto.
    Kreacher continuava a bofonchiare, lo sguardo su Harry.
    «È vero? È Harry Potter? Kreacher vede la cicatrice, dev’essere vero, quello è il ragazzo che ha fermato il Signore Oscuro, Kreacher si chiede come ha fatto…»
    «Ce lo chiediamo tutti, Kreacher» disse Fred.
    «Che cosa vuoi, comunque?» gli chiese George.
    Gli occhioni di Kreacher scattarono su quest’ultimo.
    «Kreacher pulisce» rispose, evasivo.
    «Probabile» disse una voce dietro Harry.
    Sirius era tornato; guardò torvo l’elfo dalla soglia. Il fracasso nell’ingresso si era placato; forse la signora Weasley e Mundungus avevano deciso di continuare a litigare giù in cucina. Alla vista di Sirius, Kreacher si prostrò in un inchino ridicolmente profondo che gli appiattì a terra il naso a forma di grugno.
    «Tirati su» disse Sirius impaziente. «Allora, che cos’hai in mente?»
    «Kreacher pulisce» ripeté l’elfo. «Kreacher vive per servire la Nobile Casata dei Black…»
    «Che diventa sempre più nera, è sudicia» aggiunse Sirius.
    «Il padrone ha sempre amato scherzare» disse Kreacher inchinandosi di nuovo, e continuò sottovoce: «Il padrone era un perfido porco ingrato che ha spezzato il cuore di sua madre…»
    «Mia madre non aveva un cuore, Kreacher» sbottò Sirius. «Si manteneva in vita per puro dispetto».
    Kreacher s’inchinò di nuovo.
    «Come vuole il padrone» mormorò furioso. «Il padrone non è degno di asciugare la melma dagli stivali di sua madre, oh, mia povera padrona, che cosa direbbe se vedesse che Kreacher serve lui, come lo odiava, che delusione è stato…»
    «Ti ho chiesto che cos’hai in mente» insisté Sirius gelido. «Tutte le volte che sbuchi con la scusa di pulire, fai sparire qualcosa e la porti in camera tua per impedirci di buttarla via».
    «Kreacher non vorrebbe muovere niente dal suo posto nella casa del padrone» rispose l’elfo, poi biascicò molto in fretta: «La padrona non perdonerebbe mai Kreacher se venisse buttato via l’arazzo, sono sette secoli che è in famiglia, Kreacher deve salvarlo, Kreacher non permetterà al padrone e ai traditori del loro sangue e ai mocciosi di distruggerlo…»
    «Lo supponevo» disse Sirius, scoccando un’occhiata sprezzante alla parete opposta. «Mia madre deve aver scagliato un altro Incantesimo di Adesione Permanente lì dietro, non ne dubito, ma se solo posso sbarazzarmene lo farò. Adesso vai via, Kreacher».
    Pareva che Kreacher non osasse disobbedire a un ordine diretto; ma lo sguardo che rivolse a Sirius mentre passava strascicando i piedi davanti a lui era colmo del più profondo disprezzo. L’elfo continuò a parlare sottovoce uscendo dalla stanza.
    «…torna da Azkaban per dare ordini a Kreacher, oh, la mia povera padrona, che cosa direbbe se vedesse la casa adesso, la feccia che ci vive, i suoi tesori gettati via, ha giurato che non era suo figlio ed è tornato, dicono che è anche un assassino…»
    «Continua a borbottare e lo diventerò!» ringhiò Sirius, chiudendo con violenza la porta dietro l’elfo.
    «Sirius, non è a posto col cervello» lo supplicò Hermione, «non credo che capisca che possiamo sentirlo».
    «È rimasto solo per troppo tempo» rispose Sirius, «a prendere ordini folli dal ritratto di mia madre e a parlare da solo, ma è sempre stato un sudicio piccolo…»
    «Se solo potessi liberarlo» disse Hermione speranzosa, «forse…»
    «Non possiamo liberarlo, sa troppe cose dell’Ordine» replicò Sirius secco. «E comunque, lo shock lo ucciderebbe. Prova a suggerirgli di andar via di casa e vedrai come reagisce».
    Sirius attraversò la stanza e raggiunse l’arazzo che Kreacher aveva tentato di proteggere. Occupava tutta la parete. Harry e gli altri lo seguirono.
    L’arazzo sembrava immensamente antico; era sbiadito e pareva rosicchiato qua e là dai Doxy. Tuttavia, il filo d’oro con cui era ricamato scintillava ancora abbastanza da mostrare un esteso albero genealogico che risaliva (per quanto ne capiva Harry) al Medioevo. Grosse lettere in cima all’arazzo recitavano:
   
    La Nobile e Antichissima Casata dei Black’Toujours pur’
    «Tu non ci sei!» osservò Harry esaminando la parte più bassa dell’albero.
    «Ero qui» disse Sirius, indicando un buchetto rotondo carbonizzato nel tessuto, simile a una bruciatura di sigaretta. «La mia cara dolce madre mi ha incenerito dopo che sono scappato di casa… Kreacher ha una vera passione per bofonchiare questa storia».
    «Tu sei scappato di casa?»
    «Avevo quasi sedici anni» disse Sirius. «Non ne potevo più».
    «Dove sei andato?» chiese Harry.
    «Da tuo padre» rispose Sirius. «I tuoi nonni furono davvero buoni con me; in un certo senso mi adottarono come un secondo figlio. Sì, mi accampavo da tuo padre per le vacanze scolastiche, e a diciassette anni mi sono trovato un posto tutto mio. Mio zio Alphard mi aveva lasciato un bel po’ d’oro — è cancellato, qui, probabilmente per questo motivo — e comunque, da allora in poi ho badato a me stesso. Però ero sempre il benvenuto dai signori Potter per la colazione della domenica».
    «Ma… perché…?»
    «Me ne sono andato?» Sirius fece un sorriso amaro e si passò le dita tra i lunghi capelli in disordine. «Perché li odiavo tutti: i miei genitori, con la loro mania del sangue puro, convinti che essere un Black ti rendesse praticamente di stirpe reale… il mio fratello idiota, così sciocco da crederci… eccolo».
    Sirius puntò un dito alla base dell’albero, sul nome “Regulus Black”. Una data di morte (che risaliva a una quindicina di anni prima) seguiva quella di nascita.
    «Era più giovane di me» disse Sirius, «ed era un figlio molto migliore, come mi veniva ricordato di continuo»,
    «Ma è morto» osservò Harry.
    «Si» disse Sirius. «Stupido idiota… si è unito ai Mangiamorte».
    «Stai scherzando!»
    «Andiamo, Harry, non hai visto abbastanza di questa casa per capire che genere di maghi erano quelli della mia famiglia?» chiese Sirius stizzito.
    «I tuoi genitori erano… erano anche loro Mangiamorte?»
    «No, no, ma credimi, erano convinti che Voldemort avesse ragione, erano per la purificazione della razza magica, per liberarsi dei Babbani di nascita e avere al governo dei purosangue. Non erano soli, comunque; molta gente, prima che Voldemort mostrasse il suo vero volto, credeva che avesse ragione… poi però si sono spaventati quando hanno visto che cosa era pronto a fare per ottenere il potere. Ma scommetto che i miei genitori erano convinti che Regulus fosse un autentico piccolo eroe per essersi unito a Voldemort all’inizio».
    «È stato ucciso da un Auror?» chiese Harry esitante.
    «Oh, no» rispose Sirius. «No, è stato assassinato da Voldemort. O per ordine di Voldemort, più probabilmente; dubito che Regulus sia mai stato così importante da scomodare Voldemort in persona. Da quanto ho scoperto dopo la sua morte, si era fatto coinvolgere fino a un certo punto, poi è stato preso dal panico per quello che gli era stato richiesto e ha cercato di fare marcia indietro. Be’, non si consegnano le dimissioni a Voldemort. È servizio a vita, o morte».
    «Il pranzo» annunciò la signora Weasley.
    Teneva la bacchetta alta davanti a sé, reggendo in equilibrio sulla punta un enorme vassoio carico di panini e fette di torta. Era molto rossa in faccia e sembrava ancora arrabbiata. Gli altri si fecero avanti, avidi, ma Harry rimase con Sirius, che si era chinato sull’arazzo.
    «Non lo guardo da anni. Ecco Phineas Nigellus, il mio bisbisnonno, sai? Il Preside meno amato che Hogwarts abbia mai avuto… e Araminta Melliflua, cugina di mia madre… ha cercato di far passare un progetto di legge al Ministero per legalizzare la caccia ai Babbani… e la cara zia Elladora… ha avviato la tradizione di famiglia di decapitare gli elfi domestici quando diventavano troppo vecchi per portare i vassoi del tè… Naturalmente, tutte le volte che la famiglia ha prodotto qualcuno di appena decente, è stato diseredato. Vedo che Tonks qui non c’è. Forse è per questo che Kreacher non vuole prendere ordini da lei… lui dovrebbe fare tutto ciò che qualsiasi membro della famiglia gli chiede…»
    «Tu e Tonks siete parenti?» chiese Harry, sorpreso.
    «Oh, sì, sua madre Andromeda era la mia cugina preferita» rispose Sirius, esaminando l’arazzo con attenzione. «No, non c’è nemmeno lei, guarda…»
    Indicò un’altra piccola bruciatura rotonda tra due nomi, Bellatrix e Narcissa.
    «Le sorelle di Andromeda ci sono ancora perché hanno contratto deliziosi, rispettabili matrimoni con purosangue, ma Andromeda ha sposato un Babbano di nascita, Ted Tonks, e così…»
    Sirius mimò l’atto di incendiare l’arazzo con una bacchetta e scoppiò in una risata acida. Harry, tuttavia, non rise; era troppo occupato a fissare i nomi sulla destra della bruciatura di Andromeda. Una doppia linea di ricamo d’oro univa Narcissa Black a Lucius Malfoy e una singola linea verticale portava dai loro nomi a Draco.
    «Sei imparentato con i Malfoy!»
    «Le famiglie purosangue sono tutte imparentate» disse Sirius. «Se hai deciso che i tuoi figli e le tue figlie sposino solo dei purosangue la scelta è molto limitata; siamo rimasti pochissimi. Io e Molly siamo cugini acquisiti e Arthur dev’essere mio cugino di secondo grado. Ma non serve cercarli qua: se c’è una famiglia di rinnegati, sono i Weasley».
    Harry però guardava il nome alla sinistra della bruciatura di Andromeda: Bellatrix Black, unita da una doppia linea a Rodolphus Lestrange.
    «Lestrange…» mormorò Harry. Il nome aveva risvegliato qualcosa nella sua memoria; sapeva di averlo sentito da qualche parte, ma per un attimo non riuscì a ricordare dove, anche se gli suscitava una strana sensazione, come un brivido nello stomaco.
    «Sono ad Azkaban» rispose Sirius asciutto.
    Harry lo guardò incuriosito.
    «Bellatrix e suo marito Rodolphus sono entrati con Barty Crouch junior» spiegò Sirius, con lo stesso tono brusco. «C’era anche Rabastan, il fratello di Rodolphus».
    Allora Harry ricordò. Aveva visto Bellatrix Lestrange dentro il Pensatoio di Silente, il misterioso bacino nel quale pensieri e ricordi potevano essere conservati: una donna alta e scura con le palpebre pesanti, che al proprio processo si era alzata e aveva proclamato perenne fedeltà a Lord Voldemort, il suo orgoglio per aver cercato di ritrovarlo dopo la sua caduta e la certezza che un giorno sarebbe stata ricompensata per tanta lealtà.
    «Non hai mai detto che è tua…»
    «È importante che sia mia cugina?» sbottò Sirius. «Per quanto mi riguarda, non è la mia famiglia. Lei di sicuro non fa parte della mia famiglia. Non la vedo da quando avevo la tua età, tranne che di sfuggita quando è arrivata ad Azkaban. Credi che sia orgoglioso di avere una parente come lei?»
    «Scusa» si affrettò a dire Harry, «non volevo… ero solo sorpreso, tutto qui…»
    «Non importa, non scusarti» borbottò Sirius. Si voltò, le mani affondate nelle tasche. «Non mi va di essere di nuovo qui» aggiunse, fissando un punto dall’altra parte del salotto. «Non pensavo che mi sarei trovato di nuovo prigioniero di questa casa».
    Harry capiva benissimo. Sapeva come si sarebbe sentito, una volta cresciuto e convinto di essere libero per sempre, se fosse tornato a stare al numero quattro di Privet Drive.
    «Come Quartier Generale è l’ideale, naturalmente» disse Sirius. «Mio padre l’ha dotata di ogni misura di sicurezza nota al mondo magico, quando abitava qui. È irrilevabile, quindi i Babbani non potrebbero mai venire a suonare alla porta — come se potessero mai desiderarlo — e ora che Silente ha aggiunto la sua protezione, sarebbe difficile trovare una casa più sicura. Silente è il Custode Segreto dell’Ordine, sai. Nessuno può trovare il Quartier Generale a meno che lui non gli dica personalmente dove si trova. Quel biglietto che Moody ti ha mostrato ieri notte era di Silente…» Sirius scoppiò in una breve risata simile a un latrato. «Se i miei genitori potessero vedere a che uso è adibita la loro casa adesso… be’, il ritratto di mia madre dovrebbe darti una vaga idea…»
    S’incupì per un istante, poi sospirò.
    «Non ci farei caso se solo potessi uscire ogni tanto e fare qualcosa di utile. Ho chiesto a Silente se posso accompagnarti all’udienza — come Felpato, ovviamente — per offrirti un po’ di sostegno morale, che cosa ne dici?»
    Harry si sentì come se lo stomaco gli fosse sprofondato nella moquette polverosa. Non aveva più pensato all’udienza dalla cena della sera prima; nell’eccitazione di essere di nuovo tra le persone che preferiva, e di essere messo al corrente di quanto stava succedendo, gli era del tutto passata di mente. Alle parole di Sirius, però, lo schiacciante senso di terrore fece ritorno. Fissò Hermione e i Weasley, che stavano addentando i loro panini, e pensò a come si sarebbe sentito se loro fossero tornati a Hogwarts senza di lui.
    «Non preoccuparti» disse Sirius. Harry alzò lo sguardo e si accorse che il suo padrino lo stava osservando. «Sono certo che ti scagioneranno, di sicuro lo Statuto Internazionale di Segretezza prevede che si possa usare la magia per salvarsi la vita».
    «Ma se invece mi buttano fuori» mormorò Harry, «posso venire qui a vivere con te?»
    Sirius sorrise triste.
    «Vedremo».
    «Affronterei molto meglio l’udienza se sapessi che non devo tornare dai Dursley» insisté Harry.
    «Devono essere tremendi, se preferisci questo posto» osservò Sirius malinconico.
    «Sbrigatevi, voi due, o non resterà niente» disse loro la signora Weasley.
    Sirius trasse un altro profondo sospiro e gettò uno sguardo cupo all’arazzo; poi lui e Harry si unirono agli altri.
    Harry fece del suo meglio per non pensare all’udienza mentre vuotavano le librerie a vetri, quel pomeriggio. Per sua fortuna, era un lavoro che richiedeva concentrazione, perché molti oggetti sembravano alquanto riluttanti a lasciare i loro polverosi scaffali. Sirius ricevette un brutto morso da una tabacchiera d’argento; in pochi secondi la mano ferita fu ricoperta da una sgradevole crosta che la fasciava come un robusto guanto marrone.
    «È tutto a posto» disse, esaminando la mano con interesse prima di batterla appena con la bacchetta e farla tornare normale, «dev’esserci dentro polvere di Capperuncolo».
    Gettò la scatola nel sacco dove stavano buttando la spazzatura degli armadietti; poco dopo Harry vide George avvolgersi con cura una mano in uno straccio e infilare di nascosto la tabacchiera nella tasca già piena di Doxy.
    Trovarono uno strumento d’argento dall’aspetto inquietante, delle specie di pinzette con molte zampe, che si arrampicarono su per il braccio di Harry come un ragno quando lui le prese, e cercarono di perforargli la pelle. Sirius le afferrò e le schiacciò con un pesante volume intitolato Nobiltà di Natura: Genealogia Magica. C’era un carillon che una volta caricato emise una musichetta tintinnante e vagamente sinistra, e si sentirono tutti stranamente deboli e sonnolenti, finché Ginny non ebbe il buonsenso di chiudere il coperchio; un pesante lucchetto che nessuno di loro riuscì ad aprire; un certo numero di antichi sigilli; e, in una scatola polverosa, un Ordine di Merlino, Prima Classe, che era stato attribuito al nonno di Sirius per “servizi resi al Ministero”.
    «Vuol dire che ha dato loro un bel mucchio d’oro» commentò Sirius sprezzante, gettando la medaglia nel sacco della spazzatura.
    Kreacher s’insinuò parecchie volte nella stanza e tentò di sottrarre oggetti nascondendoli sotto il gonnellino, biascicando maledizioni terribili tutte le volte che veniva sorpreso. Quando Sirius gli strappò dalla presa un grosso anello d’oro con lo stemma dei Black, scoppiò addirittura in lacrime di rabbia e uscì dalla stanza singhiozzando sottovoce e apostrofando Sirius con parole che Harry non aveva mai sentito prima.
    «Era di mio padre» spiegò Sirius, gettando l’anello nel sacco.
    «Kreacher non era devoto a lui proprio quanto a mia madre, ma la settimana scorsa l’ho sorpreso a sbaciucchiare un paio di suoi vecchi pantaloni».
   
    * * *
    La signora Weasley li fece lavorare sodo nei giorni che seguirono. Ci vollero tre giornate per disinfestare il salotto. Alla fine, le uniche cose indesiderabili rimaste furono l’arazzo dell’albero genealogico dei Black, che resistette a tutti i loro tentativi di staccarlo dalla parete, e lo scrittoio traballante. Moody non era ancora passato al Quartier Generale, quindi non potevano essere certi del contenuto.
    Si spostarono dal salotto a una sala da pranzo al piano terreno, dove trovarono ragni grandi come piattini appostati nella credenza (Ron uscì di corsa dalla stanza per farsi una tazza di tè e non tornò per un’ora e mezza). Sirius gettò in un sacco, senza alcun riguardo, tutte le porcellane che recavano impressi lo stemma e il motto dei Black, e la stessa sorte toccò a un gruppo di vecchie fotografie in ossidate comici d’argento: tutti i ritratti emisero urla perforanti quando il vetro che li ricopriva s’infranse.
    Piton poteva anche definire il loro lavoro “pulizie”, ma secondo Harry in realtà stavano muovendo guerra alla casa, e la casa opponeva una fiera resistenza, aiutata e sostenuta da Kreacher. L’elfo domestico compariva tutte le volte che si riunivano; il suo mormorio diventava sempre più offensivo mentre cercava di sottrarre quello che poteva dai sacchi della spazzatura. Sirius arrivò a minacciare di vestirlo, ma Kreacher lo fissò con uno sguardo acquoso e disse: «Il padrone deve fare come il padrone desidera» prima di voltarsi e borbottare a voce molto alta: «Ma il padrone non caccerà via Kreacher, no, perché Kreacher sa quello che hanno in mente, oh, sì, lui sta tramando contro il Signore Oscuro, sì, con questi Mezzosangue traditori feccia…»
    Al che Sirius, ignorando le proteste di Hermione, afferrò Kreacher dal retro del gonnellino e lo gettò di peso fuori dalla stanza.
    Il campanello suonava parecchie volte al giorno, e ogni volta la madre di Sirius ricominciava a strillare, e Harry e gli altri tentavano di origliare le parole del visitatore; ma raggranellarono pochissimo dalle brevi occhiate e dai frammenti di conversazione che riuscivano a rubare prima che la signora Weasley li richiamasse ai loro compiti. Piton entrò e usci furtivamente di casa molte volte, anche se con sollievo di Harry non si trovarono mai faccia a faccia; Harry vide anche di sfuggita la sua insegnante di Trasfigurazione, la professoressa McGranitt, che sembrava assai strana, vestita con un abito e un soprabito Babbani, e anche lei troppo indaffarata per attardarsi. Qualche volta però il visitatore restava a dare una mano. Tonks si unì a loro in un memorabile pomeriggio nel quale scoprirono un vecchio demone assassino appostato in un bagno di sopra, e Lupin, che abitava con Sirius ma usciva per lunghi periodi a svolgere compiti misteriosi per l’Ordine, li aiutò a guarire un orologio a pendolo dalla spiacevole abitudine di scagliare grossi dardi ai passanti. Mundungus riuscì a redimersi un po’ agli occhi della signora Weasley salvando Ron da un antico completo viola che aveva cercato di strangolarlo quando l’aveva tolto dall’armadio.
    Nonostante dormisse ancora male e sognasse ancora corridoi e porte chiuse che gli facevano prudere la cicatrice, Harry riuscì a divertirsi per la prima volta in tutta l’estate. Finché era indaffarato, era sereno; ma quando sospendevano il lavoro e abbassava la guardia, o giaceva sfinito a letto osservando ombre sfocate muoversi sul soffitto, lo riprendeva l’ansia per l’udienza imminente. La paura gli perforava le viscere al pensiero di che cosa gli sarebbe successo se fosse stato espulso. L’idea era così terribile che non osava esprimerla, nemmeno a Ron e Hermione, i quali, anche se lui li vedeva spesso sussurrare tra loro e gettargli sguardi ansiosi, seguivano il suo esempio e non ne parlavano mai. A volte non poteva impedire alla sua fantasia di mostrargli un funzionario senza volto del Ministero che spezzava in due la sua bacchetta e gli ordinava di tornare dai Dursley… ma non ci sarebbe andato. Su questo era fermissimo. Sarebbe tornato in Grimmauld Place a vivere con Sirius.
    Fu come se un mattone gli fosse cascato nello stomaco quando mercoledì sera, durante la cena, la signora Weasley gli disse piano: «Ho stirato i tuoi vestiti migliori per domani mattina, Harry, e voglio anche che stasera ti lavi i capelli. Una buona prima impressione può fare meraviglie».
    Ron, Hermione, Fred, George e Ginny smisero tutti di parlare e lo guardarono. Harry annuì e cercò di continuare a mangiare la sua costoletta, ma la bocca gli era diventata così asciutta che non riusciva a masticare.
    «Come ci vado?» chiese alla signora Weasley, cercando di suonare tranquillo.
    «Arthur ti porta con sé al lavoro» rispose lei dolcemente.
    Il signor Weasley sorrise incoraggiante dall’altra parte del tavolo.
    «Potrai aspettare nel mio ufficio fino all’ora dell’udienza» disse.
    Harry guardò Sirius, ma prima che riuscisse a formulare la domanda, la signora Weasley era già intervenuta.
    «Il professor Silente non crede che sia una buona idea che Sirius venga con te, e devo dire che…»
    «…credi che abbia proprio ragione» concluse Sirius a denti stretti.
    La signora Weasley strinse le labbra.
    «Quando gliel’ha detto Silente?» chiese Harry, fissando Sirius.
    «È venuto ieri sera mentre dormivi» rispose il signor Weasley.
    Sirius infilzò di malumore una patata. Harry abbassò lo sguardo sul piatto. Il pensiero che Silente fosse stato in quella casa la vigilia dell’udienza e non avesse chiesto di vederlo lo fece sentire, se possibile, ancora peggio.
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