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Harry Potter e il Principe Mezzosangue (5824 citazioni)
   1) L'altro ministro (133 citazioni)
   2) Spinner's End (174 citazioni)
   3) Lettera e testamento (151 citazioni)
   4) Horace Lumacorno (235 citazioni)
   5) Un eccesso di flebo (274 citazioni)
   6) La deviazione di Draco (229 citazioni)
   7) Il Lumaclub (241 citazioni)
   8) Il trionfo di Piton (139 citazioni)
   9) Il Principe Mezzosangue (194 citazioni)
   10) La casa di Gaunt (209 citazioni)
   11) Una mano da Hermione (166 citazioni)
   12) Argento e Opali (197 citazioni)
   13) Il Riddle segreto (202 citazioni)
   14) Felix Felicis (211 citazioni)
   15) Il voto infrangibile (205 citazioni)
   16) Un Natale molto gelato (234 citazioni)
   17) Un ricordo lumacoso (214 citazioni)
   18) Sorprese di compleanno (231 citazioni)
   19) Roba da elfi (209 citazioni)
   20) La richiesta di Lord Voldemort (205 citazioni)
   21) La stanza delle necessità (192 citazioni)
   22) Dopo il funerale (225 citazioni)
   23) Gli Horcrux (160 citazioni)
   24) Sectumsempra (164 citazioni)
   25) La veggente spiata (220 citazioni)
   26) La caverna (225 citazioni)
   27) La torre (166 citazioni)
   28) La fuga del Principe (99 citazioni)
   29) Il lamento della Fenice (187 citazioni)
   30) La tomba bianca (133 citazioni)
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La richiesta di Lord Voldemort


   Harry e Ron uscirono dall’infermeria il lunedì mattina, completamente guariti dalle cure di Madama Chips. Potevano finalmente godersi i privilegi di essere stati abbattuti e avvelenati, il migliore dei quali era la rinata amicizia tra Hermione e Ron. Lei arrivò perfino a scortarli a colazione, annunciando che Ginny aveva litigato con Dean. La creatura che sonnecchiava nel petto di Harry alzò all’improvviso la testa, annusando l’aria, speranzosa.
    «Come mai?» chiese, cercando di simulare indifferenza. Stavano svoltando in un corridoio del settimo piano, deserto a parte una ragazzina minuscola che contemplava dei troll in tutù su un arazzo. Appena li vide avvicinarsi, sussultò di paura e lasciò cadere la pesante bilancia di ottone che aveva in mano.
    «Non ti preoccupare!» disse Hermione gentilmente, correndo in suo aiuto. «Ecco…» Colpì la bilancia rotta con la bacchetta e ordinò: «Reparo».
    La ragazzina non ringraziò, ma li guardò allontanarsi, inchiodata dov’era; Ron si voltò a osservarla.
    «Li fanno sempre più piccoli» notò.
    «Lascia stare» incalzò Harry, impaziente. «Perché Ginny e Dean hanno litigato, Hermione?»
    «Oh, Dean rideva perché McLaggen ti aveva colpito con il Bolide» rispose Hermione.
    «In effetti dev’essere stato buffo» osservò Ron, con buonsenso.
    «Non è stato buffo per niente!» esclamò Hermione, infervorata. «È stato terribile e, se Coote e Peakes non l’avessero preso, Harry avrebbe potuto farsi molto male!»
    «Sì, be’, ma non era il caso che Ginny e Dean si piantassero per questo» obiettò Harry, continuando a simulare indifferenza. «O stanno ancora insieme?»
    «Sì… ma perché ti interessa tanto?» chiese Hermione, lanciandogli un’occhiata penetrante.
    «Non voglio che la mia squadra di Quidditch finisca di nuovo sottosopra!» rispose lui in fretta, ma Hermione pareva ancora sospettosa, e lui provò un gran sollievo quando una voce alle loro spalle gridò «Harry!», dandogli una scusa per voltarsi.
    «Oh, ciao, Luna».
    «Sono venuta a trovarvi in infermeria» disse lei, frugando nella borsa. «Ma mi hanno detto che eravate usciti…»
    Ficcò tra le mani di Ron una specie di cipolla verde, un grosso fungo con la cappella a macchie e una notevole quantità di sassolini che sembravano lettiera per gatti, e infine estrasse un rotolo di pergamena sciupato che consegnò a Harry.
    «… devo darti questo».
    Harry lo riconobbe subito: era un’altra convocazione di Silente. Lo srotolò.
    «Questa sera» comunicò a Ron e a Hermione.
    «Bella cronaca all’ultima partita!» si complimentò Ron, mentre Luna si riprendeva la cipolla verde, il fungo e la lettiera per gatti.
    Lei accennò un sorriso. «Mi stai pigliando in giro, vero?» domandò. «Hanno detto tutti che è stata tremenda».
    «No, sul serio!» garantì Ron convinto. «Non ricordo di aver mai sentito una cronaca così divertente! Che cos’è questo, tra parentesi?»chiese, portando davanti agli occhi l’oggetto simile a una cipolla.
    «Oh, è una Radigorda»rispose lei, rimettendo la lettiera per gatti e il fungo nella borsa. «Puoi tenerla, se vuoi, ne ho un po’. Sono ottime per allontanare i Plimpi Ghiottoni».
    E se ne andò, lasciando Ron che ridacchiava con la Radigorda in mano.
    «Sapete che Luna mi è sempre più simpatica?» disse, mentre ripartivano per la Sala Grande. «Lo so che è matta, ma lo è in un senso…»
    Tacque all’improvviso. Lavanda Brown era ai piedi della scalinata di marmo, minacciosa.
    «Ciao» la salutò Ron, nervoso.
    «Andiamo» mormorò Harry a Hermione, e se la filarono, non prima di sentire la voce di Lavanda: «Perché non mi hai detto che uscivi oggi? E perché lei era con te?»
    Ron apparve a colazione mezz’ora dopo, immusonito e irritato e, anche se si sedette vicino a Lavanda, Harry non li vide scambiarsi una parola per tutto il tempo che rimasero insieme. Hermione si comportava con assoluta indifferenza, ma un paio di volte Harry notò un sorrisetto inesplicabile incresparle il viso. Per tutto il giorno fu di umore particolarmente buono, e quella sera in sala comune acconsentì perfino a controllare (in altre parole, a finire di scrivere) la ricerca di Erbologia di Harry, cosa che si era categoricamente rifiutata di fare fino a quel momento, perché sapeva che Harry poi avrebbe permesso a Ron di copiarla.
    «Grazie mille, Hermione» disse Harry, dandole un colpetto sulla schiena. Controllò l’orologio: erano quasi le otto. «Senti, devo spicciarmi o arriverò in ritardo da Silente…»
    Lei non rispose, ma si limitò a cancellare alcune delle sue frasi più deboli con aria stanca. Sorridendo, Harry corse fuori dal buco del ritratto, diretto all’ufficio del Preside. Il gargoyle balzò di lato alla menzione dei bignè al caramello; Harry salì la scala a chiocciola due gradini alla volta e bussò alla porta proprio mentre un orologio all’interno batteva le otto.
    «Avanti» disse Silente, ma quando Harry tese una mano per spingere la porta quella venne spalancata dall’interno. La professoressa Cooman apparve.
    «Aha!» strillò, indicando Harry con gesto teatrale e sbattendo le palpebre dietro le lenti di ingrandimento dei suoi occhiali. «Allora è questa la ragione per cui io vengo buttata fuori dal tuo ufficio senza alcun riguardo, Silente!»
    «Mia cara Sibilla» ribatté Silente, un po’ esasperato, «non ti sto buttando fuori da nessun posto, ma Harry ha un appuntamento e davvero non credo che ci sia altro da dire…»
    «Molto bene» declamò la professoressa Cooman in tono ferito. «Se non metti al bando quel ronzino usurpatore, benissimo… forse troverò una scuola dove i miei talenti verranno apprezzati…»
    Spinse da parte Harry e sparì giù per la scala a chiocciola; la sentirono inciampare a metà strada, probabilmente, pensò Harry, in uno dei suoi lunghi scialli.
    «Per favore, chiudi la porta e siediti, Harry» disse Silente in tono stanco.
    Harry obbedì, e sedette come al solito davanti alla scrivania. Il Pensatoio era ancora una volta tra loro, insieme ad altre due bottigliette di cristallo piene di ricordi turbinosi.
    «La professoressa Cooman è ancora scontenta che Fiorenzo insegni?» chiese Harry.
    «Sì» rispose Silente. «Divinazione si sta rivelando molto più complicata di quanto avrei potuto prevedere, non avendo mai studiato personalmente la materia. Non posso chiedere a Fiorenzo di tornare nella Foresta, dove ora è un reietto, e non posso chiedere a Sibilla Cooman di andarsene. Detto tra noi, non ha idea del pericolo che correrebbe fuori dal castello. Vedi, non sa — e credo sarebbe poco saggio illuminarla — di essere stata lei a pronunciare la profezia su te e Voldemort».
    Silente trasse un profondo sospiro, poi aggiunse: «Ma lasciamo stare i miei problemi col personale. Abbiamo argomenti molto più importanti da discutere. Prima di tutto, sei riuscito a portare a termine la missione che ti avevo affidato l’ultima volta?»
    «Ah» fece Harry, richiamato bruscamente alla realtà. Tra il corso di Materializzazione, il Quidditch, l’avvelenamento di Ron, la frattura al cranio e la decisione di scoprire che cosa stava combinando Malfoy, si era quasi dimenticato del ricordo di Lumacorno che Silente gli aveva chiesto di procurarsi… «Be’, l’ho chiesto al professor Lumacorno alla fine di Pozioni, signore, ma, ehm, non ha voluto darmelo».
    Seguì un breve silenzio.
    «Capisco» disse infine Silente, scrutandolo da sopra gli occhiali a mezzaluna e dandogli la consueta sensazione di essere radiografato. «E sei convinto di aver concentrato tutti i tuoi sforzi in questo senso? Di aver fatto uso di tutto il tuo notevole ingegno? Di non aver trascurato alcuna astuta risorsa nel tentativo di recuperare quella memoria?»
    «Be’» balbettò Harry, senza sapere che cosa aggiungere. Il suo unico tentativo di impadronirsene gli sembrò tutt’a un tratto scandalosamente debole. «Be’… il giorno che Ron ha inghiottito per sbaglio il filtro d’amore, l’ho portato dal professor Lumacorno. Pensavo che se fossi riuscito a metterlo abbastanza di buonumore…»
    «E ha funzionato?» gli chiese Silente.
    «Be’, no, signore, perché Ron è stato avvelenato…»
    «… e naturalmente hai dimenticato il tuo incarico; non mi stupisce, dato che il tuo migliore amico era in pericolo. Ma quando è stato chiaro che il signor Weasley si sarebbe completamente ripreso, avrei sperato che tu tornassi a occuparti del compito che ti avevo assegnato. Credevo di averti illustrato l’importanza di quel ricordo. In effetti ho fatto del mio meglio per farti comprendere che è il più importante di tutti e che perderemmo il nostro tempo senza di esso».
    Harry sentì una vampata di vergogna diffondersi come un formicolio dalla testa a tutto il corpo. Silente non aveva alzato la voce, non sembrava nemmeno arrabbiato, ma Harry avrebbe preferito che urlasse; quella fredda delusione era la cosa peggiore.
    «Signore» mormorò, quasi disperato, «non è che non me ne importasse, è solo che ho avuto altre… altre cose…»
    «Altre cose per la testa»concluse Silente per lui. «Capisco».
    Cadde di nuovo il silenzio, il più imbarazzante in cui Harry si fosse mai trovato con Silente; parve protrarsi all’infinito, punteggiato solo dai brevi brontolii del ritratto di Armando Dippet che russava sopra la testa del Preside. Harry si sentiva stranamente piccolo, come se dal suo ingresso nella stanza si fosse ritirato un po’.
    Quando non riuscì più a sopportarlo, disse: «Professor Silente, mi dispiace tanto. Avrei dovuto impegnarmi di più… Avrei dovuto capire che non mi avrebbe chiesto di farlo se non fosse davvero importante».
    «Grazie, Harry» mormorò Silente. «Posso dunque sperare che d’ora in poi darai a questa missione la massima priorità? Servirà a ben poco incontrarci d’ora in poi, se non avremo quel ricordo».
    «Lo farò, signore, glielo prenderò» promise Harry con passione.
    «Allora non parliamone più» concluse Silente con maggiore dolcezza, «ma continuiamo con la nostra storia da dove l’avevamo lasciata. Ti ricordi a che punto eravamo?»
    «Sì, signore» rispose subito Harry. «Voldemort ha ucciso suo padre e i nonni e ha fatto in modo che la colpa fosse attribuita a suo zio Orfin. Poi è tornato a Hogwarts e ha chiesto… ha chiesto al professor Lumacorno degli Horcrux» borbottò, imbarazzato.
    «Molto bene. Ora ricorderai, spero, che all’inizio di questi nostri incontri ti dissi che saremmo entrati nel campo delle ipotesi e delle speculazioni».
    «Sì, signore».
    «Finora, converrai che ti ho mostrato fonti abbastanza certe delle mie deduzioni su quanto Voldemort fece fino all’età di diciassette anni».
    Harry annuì.
    «Ma ora, Harry» proseguì Silente, «ora le cose si fanno più confuse e più strane. Se è stato difficile trovare prove sul ragazzo Riddle, è stato quasi impossibile trovare qualcuno disposto a raccontare i propri ricordi dell’uomo Voldemort. In effetti dubito che ci sia anima viva, a parte lui, che possa fornirci un resoconto completo della sua vita da quando lasciò Hogwarts. Tuttavia ho due ultimi ricordi che vorrei condividere con te». Silente indicò le due bottigliette di cristallo che scintillavano vicino al Pensatoio. «Sarò lieto di sapere se le conclusioni che ne ho tratto ti sembrano plausibili».
    L’idea che Silente desse tanto peso alla sua opinione fece vergognare ancora più profondamente Harry, che si dimenò con aria colpevole sulla sedia. Silente alzò la prima bottiglia e la guardò in controluce.
    «Spero che tu non sia stanco di tuffarti nei ricordi altrui, perché sono memorie strane, queste»osservò. «La prima viene da un’elfa domestica molto anziana di nome Hokey. Prima di vedere quello a cui assistette Hokey, devo raccontarti brevemente come Lord Voldemort se ne andò da Hogwarts.
    «Raggiunse il settimo anno di istruzione, come puoi immaginare, con il massimo dei voti in tutti gli esami. Attorno a lui, i compagni sceglievano il mestiere da intraprendere una volta lasciata Hogwarts. Quasi tutti si aspettavano cose spettacolari da Tom Riddle, prefetto, Caposcuola, vincitore del Premio Speciale per i Servigi Resi alla Scuola. So che parecchi insegnanti, tra cui il professor Lumacorno, gli suggerirono di andare a lavorare al Ministero della Magia, si offrirono di procurargli dei colloqui, gli fornirono contatti utili. Rifiutò tutte le offerte. E dopo un po’ di tempo gli insegnanti vennero a sapere che Voldemort lavorava da Magie Sinister».
    «Da Magie Sinister?» ripeté Harry, sbalordito.
    «Da Magie Sinister» confermò Silente tranquillo. «Capirai quali attrattive esercitava su di lui quel luogo quando saremo entrati nel ricordo di Hokey. Ma quella non fu la prima scelta di Voldemort. Allora non lo sapeva quasi nessuno — io fui uno dei pochi a cui lo confidò l’allora Preside — ma Voldemort per prima cosa avvicinò il professor Dippet e chiese se poteva restare a Hogwarts come insegnante».
    «Voleva restare qui? Perché?» chiese Harry, ancora più stupito.
    «Per svariate ragioni, credo, anche se non ne rivelò alcuna al professor Dippet» rispose Silente. «Prima di tutto, cosa molto importante, credo che Voldemort fosse più affezionato a questa scuola di quanto lo sia mai stato a una persona. Hogwarts era il luogo in cui era stato più felice, il primo e l’unico in cui si era sentito a casa».
    Harry provò un certo disagio a queste parole, perché era esattamente quello che provava anche lui per Hogwarts.
    «Secondo, il castello è una roccaforte di antica magia. Senza dubbio Voldemort ne aveva scoperto molti segreti, certamente più di gran parte degli studenti che vi transitano, ma forse sentiva che c’erano altri misteri da svelare, riserve di magia a cui attingere.
    «E terzo, da insegnante avrebbe avuto un enorme potere e un grandissimo ascendente sui giovani maghi e streghe. Forse a dargli l’ispirazione era stato il professor Lumacorno, l’insegnante con cui era in rapporti migliori, che aveva dimostrato quale influenza può avere un docente. Non ho mai pensato che Voldemort immaginasse di passare il resto della sua vita a Hogwarts, ma credo che la vedesse come un utile terreno di reclutamento, e un luogo nel quale poter cominciare a costruirsi un esercito».
    «Non ottenne il posto che voleva, signore?»
    «No. Il professor Dippet gli disse che diciott’anni erano troppo pochi, ma lo invitò a riproporsi dopo qualche anno, se avesse ancora desiderato insegnare».
    «E lei che cosa ne pensava, signore?» chiese Harry, esitante.
    «Ero molto preoccupato» rispose Silente. «Avevo sconsigliato ad Armando di dare una cattedra a Voldemort — non gli spiegai quello che ho spiegato a te, perché il professor Dippet era molto affezionato al ragazzo, ed era convinto della sua onestà — ma io non volevo che Voldemort tornasse in questa scuola, soprattutto con un ruolo di potere».
    «Che cattedra, signore? Quale materia voleva insegnare?»
    In qualche modo, Harry sapeva già la risposta.
    «Difesa contro le Arti Oscure. A quel tempo la insegnava una vecchia professoressa di nome Galatea Gaiamens, che era a Hogwarts da quasi cinquant’anni.
    «Così Voldemort andò da Magie Sinister, e tutti gli insegnanti che l’ammiravano dissero che era sprecato, un giovane mago così talentuoso finire a fare il commesso in un negozio. Ma Voldemort era molto più di un commesso. Educato, di bell’aspetto e capace, ben presto si vide affidare compiti particolari, di un genere possibile solo in un posto come Magie Sinister, specializzato come sai in oggetti insoliti e potenti. Voldemort veniva inviato a convincere le persone a vendere i propri tesori, e pare che fosse straordinariamente abile».
    «Ci scommetto» commentò Harry, senza riuscire a trattenersi.
    «Anch’io». Silente sorrise appena. «E ora è il momento di ascoltare Hokey, l’elfa domestica di una strega molto vecchia e molto ricca chiamata Hepzibah Smith».
    Silente picchiettò la bottiglia con la bacchetta, il tappo volò via e lui versò il ricordo vorticante nel Pensatoio, dicendo: «Dopo di te, Harry».
    Harry si alzò in piedi e si chinò sul bacile di pietra finché il suo viso toccò l’argenteo liquido increspato. Precipitò in un nulla buio e atterrò in un salotto, davanti a una vecchia signora immensamente grassa con una sontuosa parrucca rossiccia e drappeggiata in un completo rosa acceso che la faceva assomigliare a una torta glassata un po’ sciolta. Si stava guardando in uno specchietto tempestato di pietre preziose e si dava il fard con un grosso pennello sulle guance già molto rosse, mentre la più minuscola e antica elfa domestica che Harry avesse mai visto le allacciava strette pantofole di satin ai piedi carnosi.
    «Presto, Hokey!» ordinò la padrona, imperiosa. «Ha detto che sarebbe arrivato alle quattro, manca solo qualche minuto e non è mai stato in ritardo!»
    Ripose il pennello mentre l’elfa domestica si rialzava. Raggiungeva a stento il sedile della poltrona di Hepzibah e la pelle incartapecorita le pendeva dal corpo proprio come la toga di lino grinzoso che indossava.
    «Come ti sembro?» chiese Hepzibah, voltando la testa per ammirarsi nello specchio da varie angolature.
    «Deliziosa, signora» squittì Hokey.
    Harry poté solo desumere che mentire spudoratamente a questa domanda facesse parte del contratto di Hokey, perché Hepzibah Smith era ben lungi dall’essere deliziosa.
    Un campanello tintinnò e sia la padrona che l’elfa sussultarono.
    «Presto, presto, è qui, Hokey!» strillò Hepzibah, e l’elfa trotterellò via dalla stanza, così stipata di oggetti che era difficile capire come qualcuno potesse farsi strada senza travolgerne almeno una decina: c’erano armadietti coperti di scatoline laccate, scaffali colmi di libri con incisioni dorate, mensole di sfere e globi celesti e molte rigogliose piante da vaso in cachepot di ottone. Quella stanza era un incrocio tra un antiquario magico e una serra.
    L’elfa domestica tornò di lì a poco, seguita da un alto giovane che Harry riconobbe all’istante. Voldemort era vestito semplicemente, con un completo nero; i capelli erano un po’ più lunghi di come li portava a scuola e aveva le guance incavate, ma tutto questo gli donava: era più attraente che mai. Si fece strada nella stanza sovraffollata dando prova di esserci già stato più volte e fece un profondo inchino davanti alla manina grassa di Hepzibah, sfiorandola con le labbra.
    «Le ho portato dei fiori» mormorò, facendo apparire dal nulla un mazzo di rose.
    «Ragazzaccio, non avresti dovuto!» squittì lei, anche se Harry notò che aveva un vaso vuoto pronto sul tavolino lì accanto. «Tu vizi questa vecchia signora, Tom… Siediti, siediti… dov’è Hokey… ah…»
    L’elfa domestica arrivò di gran carriera con un vassoio carico di dolcetti che posò accanto alla padrona.
    «Serviti pure, Tom» lo invitò Hepzibah. «So che ti piacciono i miei dolci. Ma come stai? Sei pallido. Ti fanno lavorare troppo in quel negozio, l’ho detto mille volte…»
    Voldemort fece un sorriso meccanico e lei una smorfia affettata.
    «Be’, che scusa hai trovato per venire da me questa volta?» chiese, sbattendo le ciglia.
    «Il signor Burke vorrebbe aumentare l’offerta per l’armatura dei folletti» rispose Voldemort. «Cinquecento galeoni, la ritiene più che onesta…»
    «Oh, insomma, non così in fretta, altrimenti penserò che vieni qui solo per i miei ninnoli!» si lagnò Hepzibah, facendo il broncio.
    «È per quelli che mi ordinano di venire qui» rispose Voldemort. «Sono solo un povero impiegato, signora, che deve fare quello che gli dicono. Il signor Burke desidera che io le chieda…»
    «Oh, il signor Burke, bah!»esclamò Hepzibah, agitando la manina. «Ho da farti vedere una cosa che a lui non ho mai mostrato! Sai tenere un segreto, Tom? Mi prometti che non ne parlerai al signor Burke? Non mi lascerebbe in pace se lo sapesse, e non ho intenzione di venderla, né a lui né ad altri. Ma tu, Tom, tu la apprezzerai per la sua storia, non per i galeoni che ne potresti ricavare…»
    «Sarò felice di vedere qualunque cosa la signorina Hepzibah mi mostrerà» rispose Voldemort sempre a bassa voce, e lei ridacchiò ancora come una ragazzina.
    «Ho detto a Hokey di prepararla… Hokey, dove sei? Voglio far vedere al signor Riddle il nostro tesoro più bello… Portali tutti e due, già che ci sei…»
    «Ecco, signora» squittì l’elfa domestica, e Harry vide due scatole di pelle, una sopra l’altra, muoversi per la stanza come di propria volontà. In realtà era Hokey a portarle sulla testa, veleggiando tra tavoli, puf e poggiapiedi.
    «Ora» disse Hepzibah allegra prendendo le scatole, posandosele in grembo e accingendosi ad aprire la prima, «credo che questa ti piacerà, Tom… Oh, se la mia famiglia sapesse che te la sto mostrando… non vedono l’ora di metterci le mani!»
    Sollevò il coperchio. Harry si avvicinò un po’ e vide una piccola coppa d’oro con due manici finemente lavorati.
    «Chissà se sai che cos’è, Tom. Prendila, guardala bene!» sussurrò Hepzibah. Voldemort tese una mano dalle lunghe dita e prese la coppa per un manico, sollevandola dalla morbida imbottitura di seta. A Harry parve di scorgere una scintilla rossa nei suoi occhi scuri. La sua espressione avida si rispecchiò curiosamente sul volto di Hepzibah, solo che gli occhietti di lei erano fissi sui bei tratti di Voldemort.
    «Un tasso» mormorò lui osservando l’incisione sulla coppa. «Quindi questa era…»
    «Di Tosca Tassorosso, come sai benissimo, furbacchione!» rise Hepzibah, e si protese con un sonoro scricchiolio del busto per pizzicargli la guancia incavata. «Non ti ho detto che sono una lontana discendente? Questa coppa viene tramandata in famiglia da anni e anni. Deliziosa, vero? E pare che abbia ogni sorta di poteri, ma io non li ho molto sperimentati, la tengo solo al sicuro qui dentro…»
    Sfilò la coppa dall’indice di Voldemort e la depose con dolcezza nella scatola, troppo concentrata a sistemarla per accorgersi dell’ombra che attraversò il volto di Voldemort quando l’oggetto gli venne sottratto.
    «Allora» disse Hepzibah allegra, «dov’è Hokey? Oh, sì, eccoti… adesso mettila via, Hokey…»
    L’elfa prese obbedientemente la scatola, e Hepzibah rivolse la sua attenzione a quella molto più piatta che teneva ancora in grembo.
    «Credo che questo ti piacerà ancora di più, Tom» sussurrò. «Chinati un po’, caro ragazzo, per vedere bene… Naturalmente Burke sa che ce l’ho, l’ho comprato da lui, e oserei dire che gli piacerebbe tanto riaverlo quando sarò morta…»
    Fece scivolare indietro il fine fermaglio di filigrana e aprì la scatola. Lì, sul liscio velluto cremisi, era adagiato un pesante medaglione d’oro.
    Questa volta Voldemort tese la mano senza aspettare un invito, e alzò il medaglione verso la luce, fissandolo.
    «Il marchio di Serpeverde» mormorò, osservando la luce che giocherellava su un’elaborata, sinuosa S.
    «Esatto!» si rallegrò Hepzibah, chiaramente incantata alla vista di Voldemort che scrutava come paralizzato il suo medaglione. «L’ho pagato un occhio della testa, ma non potevo lasciarmelo sfuggire, un tesoro come quello, dovevo averlo nella mìa collezione. A quanto pare Burke l’ha comprato da una donna cenciosa che forse l’aveva rubato, ma non aveva idea del suo vero valore…»
    Questa volta non c’era da sbagliarsi: gli occhi di Voldemort lampeggiarono di rosso, e le sue nocche sbiancarono attorno alla catena d’oro.
    «… scommetto che Burke le ha dato una miseria, ma ecco qui… grazioso, vero? E anche a questo viene attribuito ogni genere di poteri, io però lo tengo solo al sicuro…»
    Si protese per riprenderlo. Per un attimo Harry pensò che Voldemort l’avrebbe trattenuto, invece lasciò che gli scivolasse via dalle dita e fosse riposto nuovamente sul cuscino di velluto rosso.
    «Bene, Tom, caro, spero che ti sia divertito!» Hepzibah lo guardò in faccia e per la prima volta Harry vide esitare il suo sciocco sorriso. «Stai bene, caro?»
    «Oh, sì» rispose Voldemort a bassa voce. «Sì, sto molto bene…»
    «Credevo… ma sarà stato uno scherzo della luce, immagino…» continuò Hepzibah, innervosita, e Harry pensò che anche lei avesse notato il momentaneo bagliore rosso negli occhi di Voldemort. «Ecco, Hokey, portali via e mettili di nuovo sotto chiave… coi soliti incantesimi…»
    «È ora di andare, Harry» mormorò Silente. Mentre la piccola elfa saltellava via con le scatole, lui strinse il braccio di Harry; insieme si levarono nell’oblio e furono di ritorno nell’ufficio del Preside.
    «Hepzibah Smith morì due giorni dopo questa scenetta»raccontò Silente, sedendosi e invitando Harry a fare altrettanto. «Hokey l’elfa domestica fu accusata dal Ministero di aver avvelenato per errore la cioccolata serale della padrona».
    «Impossibile!»esclamò Harry con rabbia.
    «Vedo che siamo della stessa idea» disse Silente. «Senza dubbio vi sono molti punti in comune tra questa morte e quella dei Riddle. In entrambi i casi qualcun altro venne accusato, e questo qualcuno aveva un chiaro ricordo di aver provocato la morte…»
    «Hokey confessò?»
    «Ricordava di aver messo nella cioccolata della padrona qualcosa che si rivelò non essere zucchero, ma un veleno letale e poco noto» continuò Silente. «Fu stabilito che non l’aveva fatto con intenzione, ma essendo vecchia e confusa…»
    «Voldemort aveva modificato la sua memoria, come con Orfin!»
    «Sì, è la mia stessa conclusione» convenne Silente. «E proprio come con Orfin, il Ministero era prevenuto nei confronti di Hokey…»
    «… perché era un’elfa domestica»concluse Harry. Di rado aveva provato maggiore solidarietà per il comitato fondato da Hermione, il C.R.E.P.A.
    «Esatto. Era vecchia, ammise di aver avvelenato la bevanda e nessuno al Ministero si prese la briga di indagare più a fondo. Come nel caso di Orfin, quando la rintracciai e riuscii a estrarle questo ricordo, la sua vita era quasi finita… ma la sua memoria, naturalmente, prova solo che Voldemort sapeva dell’esistenza della coppa e del medaglione.
    «Quando Hokey fu condannata, la famiglia di Hepzibah si era già resa conto che mancavano due dei suoi più preziosi tesori. C’era voluto un po’ di tempo per accertarlo, perché lei aveva un sacco di nascondigli, avendo sempre custodito gelosamente la sua collezione. Ma prima che fossero assolutamente certi che la coppa e il medaglione erano entrambi svaniti, il commesso di Magie Sinister, il giovane che così spesso aveva fatto visita a Hepzibah e l’aveva affascinata tanto, aveva dato le dimissioni ed era sparito nel nulla. I suoi superiori non avevano idea di dove fosse andato; erano sorpresi quanto chiunque altro. E per lungo tempo non si vide né si sentì più parlare di Tom Riddle.
    «Ora, se non ti spiace, Harry, voglio fare un’altra pausa per richiamare la tua attenzione su alcuni punti della nostra storia. Voldemort aveva commesso un altro omicidio, non so se fosse il primo dopo l’assassinio dei Riddle, ma credo di sì. Questa volta, come avrai visto, non uccise per vendetta ma per profitto. Voleva i due favolosi trofei che quella povera vecchia infatuata gli aveva mostrato. Come aveva derubato gli altri bambini all’orfanotrofio, come aveva rubato l’anello di suo zio Orfin, così fuggì con la coppa e il medaglione di Hepzibah».
    «Ma» obiettò Harry, accigliato, «è una follia… rischiare tutto, abbandonare il lavoro, solo per quei…»
    «Una follia per te, forse, ma non per Voldemort»rispose Silente. «Spero che a tempo debito capirai esattamente che cosa significavano per lui quegli oggetti, ammetterai però che non è difficile immaginare che abbia considerato almeno il medaglione come suo di diritto».
    «Il medaglione, forse» consentì Harry, «ma perché prendere anche la coppa?»
    «Era appartenuta a un altro fondatore di Hogwarts» spiegò Silente. «Forse provava ancora un forte attaccamento alla scuola e non riuscì a resistere a un oggetto così impregnato della sua storia. C’erano altre ragioni, credo… spero di riuscire a fartele comprendere a tempo debito.
    «E ora, l’ultimissimo ricordo che ho da mostrarti, almeno finché non sarai riuscito a recuperare quello del professor Lumacorno. Dieci anni separano la memoria di Hokey da questa, dieci anni durante i quali possiamo solo immaginare che cosa fece Lord Voldemort…»
    Harry si alzò mentre Silente versava l’ultimo ricordo nel Pensatoio.
    «A chi appartiene?» chiese.
    «A me» rispose Silente.
    Harry si tuffò dietro di lui nell’agitata massa d’argento, e atterrò nello stesso ufficio da cui era appena partito. C’era Fanny, che sonnecchiava serena sul posatoio, e lì, dietro la scrivania, Silente, molto simile a quello accanto a Harry, anche se tutte e due le mani erano intatte e il suo volto era forse un po’ meno segnato dalle rughe. C’era una sola differenza tra l’ufficio dell’oggi e quello del passato: nevicava. Fiocchi azzurrini scendevano oltre la finestra nel buio e si accumulavano sul davanzale di fuori.
    Il Silente più giovane sembrava in attesa di qualcosa, e infatti pochi istanti dopo il loro arrivo si sentì bussare alla porta e lui disse: «Avanti».
    Harry restò senza fiato. Voldemort era entrato nella stanza. I suoi tratti non erano quelli che Harry aveva visto affiorare dal vasto calderone di pietra quasi due anni prima; non erano così serpenteschi, gli occhi non erano ancora rossi, il volto non così simile a una maschera, ma non era più il bel Tom Riddle. Era come se i suoi tratti fossero stati bruciati e confusi; erano cerei e vagamente deformati, e il bianco degli occhi era iniettato di sangue, anche se le pupille non erano ancora ridotte a fessure. Indossava un lungo mantello nero e il suo volto era pallido come la neve che gli scintillava sulle spalle.
    Il Silente dietro la scrivania non diede segno di sorpresa. Quello doveva essere un appuntamento previsto.
    «Buonasera, Tom»lo salutò semplicemente. «Vuoi sederti?»
    «Grazie» rispose Voldemort, e si sedette sulla stessa sedia che Harry aveva appena lasciato libera nel presente. «Ho sentito che è diventato Preside» continuò, con la voce un po’ più acuta e fredda di prima. «Una degna scelta».
    «Sono lieto che tu approvi» ribatté Silente con un sorriso. «Posso offrirti da bere?»
    «Volentieri» replicò Voldemort. «Vengo da molto lontano».
    Silente si alzò e si spostò verso l’armadietto dove ora teneva il Pensatoio, che allora era pieno di bottiglie. Dopo aver dato a Voldemort un calice di vino ed essersene versato uno per sé, tornò al suo posto.
    «Allora, Tom… a che cosa devo il piacere?»
    Voldemort non rispose subito, ma si limitò a sorseggiare il vino.
    «Non mi chiamo più ‘Tom’» disse infine. «Adesso sono noto come…»
    «So come sei noto»lo interruppe Silente con un sorriso garbato. «Ma temo che per me sarai sempre Tom Riddle. È una delle manie fastidiose dei vecchi insegnanti, purtroppo, non dimenticare mai gli esordi dei loro allievi».
    Alzò il bicchiere come per brindare a Voldemort, che rimase impassibile. Tuttavia Harry sentì l’atmosfera cambiare in modo quasi impercettibile: il rifiuto di Silente di usare il nome scelto da Voldemort era il rifiuto di lasciargli dettare i termini dell’incontro, e Harry capì che Voldemort lo prendeva come tale.
    «Sono sorpreso che lei sia rimasto qui così a lungo» osservò Voldemort dopo una breve pausa. «Mi sono sempre chiesto perché un mago come lei non abbia mai desiderato lasciare la scuola».
    «Be’» rispose Silente, sempre affabile, «per un mago come me non può esserci nulla di più importante che tramandare arti antiche, aiutare le giovani menti a raffinarsi. Se ricordo bene, un tempo anche tu eri attratto dall’insegnamento».
    «Lo sono ancora» ribatté Voldemort. «Mi chiedevo solo perché lei, a cui il Ministero chiede così spesso consiglio, e a cui due volte, credo, è stata offerta la carica di Ministro…»
    «Tre volte all’ultimo computo, a dire il vero» precisò Silente. «Ma la carriera al Ministero non mi ha mai attirato. Un’altra cosa che abbiamo in comune, ritengo».
    Voldemort chinò il capo, senza sorridere, e bevve un altro sorso di vino. Silente non ruppe il silenzio che si dilatò fra loro, ma attese tranquillamente che Voldemort parlasse per primo.
    «Sono tornato» spiegò infine, «forse più tardi di quanto il professor Dippet si aspettasse… ma per chiedere di nuovo quello che allora, mi disse, ero troppo giovane per ottenere. Le chiedo di farmi tornare in questo castello per insegnare. Ho visto e fatto molto da quando sono andato via: potrei mostrare e raccontare ai vostri studenti cose che non possono apprendere da un altro mago».
    Silente studiò Voldemort da sopra il proprio calice prima di parlare.
    «So che hai visto e fatto molto da quando ci hai lasciato» mormorò. «Molte voci hanno raggiunto la tua vecchia scuola, Tom. Mi dispiacerebbe dover credere anche solo alla metà».
    Voldemort rimase impassibile e ribatté: «La grandezza ispira l’invidia, l’invidia genera rancore, il rancore produce menzogne. Dovrebbe saperlo, Silente».
    «Tu chiami ‘grandezza’ quello che hai fatto?»chiese Silente con diplomazia.
    «Certo» rispose Voldemort, e i suoi occhi parvero incendiarsi. «Ho fatto esperimenti; ho spinto i limiti della magia più in là, forse, di dove siano mai arrivati…»
    «Di alcuni tipi di magia» lo corresse tranquillo Silente. «Di alcuni. Di altri sei ancora… perdonami… deplorevolmente ignorante».
    Per la prima volta, Voldemort sorrise. Fu un ghigno teso, malvagio, più minaccioso di uno sguardo di rabbia.
    «La vecchia disputa» osservò con dolcezza. «Ma niente di quel che ho visto al mondo ha confermato il suo famoso principio che l’amore è più potente del mio genere di magia, Silente».
    «Forse stai cercando nei posti sbagliati» suggerì Silente.
    «Be’, allora, quale posto migliore per cominciare le mie nuove ricerche se non qui, a Hogwarts?»domandò Voldemort. «Mi consentirà di tornare? Mi permetterà di condividere la mia conoscenza con i suoi studenti? Pongo me stesso e i miei talenti a sua disposizione. Sono ai suoi ordini».
    Silente alzò le sopracciglia.
    «E che cosa ne sarà di quelli a cui tu dai ordini? Che cosa succederà a coloro che si definiscono — o così dicono le voci — i Mangiamorte?»
    Harry capì che Voldemort non si era aspettato che Silente conoscesse quel nome; vide i suoi occhi arrossarsi di nuovo e le narici simili a fessure dilatarsi.
    «I miei amici» rispose dopo una pausa, «andranno avanti senza di me, ne sono certo».
    «Sono lieto di sentire che li consideri amici» commentò Silente. «Avevo l’impressione che fossero più simili a servitori».
    «Si sbaglia».
    «Allora se dovessi andare alla Testa di Porco adesso, non ne troverei un gruppo — Nott, Rosier, Mulciber, Dolohov — in attesa del tuo ritorno? Amici fedeli davvero, per viaggiare fin qui con te in una notte di neve solo per augurarti buona fortuna, mentre tu cerchi un posto da insegnante».
    Il fatto che Silente sapesse con esattezza con chi viaggiava era senza dubbio ancor meno gradito a Voldemort; tuttavia si riprese quasi subito.
    «Onnisciente come sempre, vedo».
    «Oh no, solo in buoni rapporti con i baristi» rispose Silente con leggerezza. «Ora, Tom…»
    Posò il bicchiere vuoto e si raddrizzò sulla sedia, la punta delle dita unita in un gesto molto caratteristico.
    «… parliamoci francamente. Perché sei venuto qui stanotte, circondato dai tuoi accoliti, per chiedere un lavoro che entrambi sappiamo che non vuoi?»
    Voldemort reagì con fredda sorpresa.
    «Un lavoro che non voglio? Al contrario, Silente, lo desidero molto».
    «Oh, vuoi tornare a Hogwarts, ma non vuoi insegnare più di quanto lo volessi a diciott’anni. Che cosa cerchi, Tom? Perché non provi con una richiesta sincera, per una volta?»
    Voldemort sorrise beffardo.
    «Se non vuole darmi un lavoro…»
    «Ma certo che non voglio» disse Silente. «E non credo affatto che tu ti aspettassi un sì. Eppure sei venuto qui, hai chiesto, devi avere uno scopo».
    Voldemort si alzò. Era meno Tom Riddle che mai, i tratti del volto scavati dalla rabbia.
    «Questa è la sua ultima parola?»
    «Sì» confermò Silente, alzandosi a sua volta.
    «Allora non abbiamo nient’altro da dirci».
    «No, niente» replicò Silente, e un’infinita tristezza gli pervase il volto. «È lontano il tempo in cui potevo spaventarti con un armadio incendiato e costringerti a fare ammenda per i tuoi crimini. Ma vorrei riuscirci ancora, Tom… vorrei riuscirci…»
    Per un attimo, Harry fu sul punto di urlare un inutile avvertimento: era certo che la mano di Voldemort si fosse spostata verso la tasca e la bacchetta; ma l’attimo passò, Voldemort si voltò, la porta si chiuse e lui sparì.
    Harry sentì la mano di Silente stringersi attorno al suo braccio, e qualche istante dopo si ritrovarono insieme quasi nello stesso punto, ma non c’era più neve sul davanzale, e la mano di Silente era annerita e morta.
    «Perché?» chiese subito Harry, alzando lo sguardo verso il volto di Silente. «Perché era tornato? L’ha mai scoperto?»
    «Ho delle idee» rispose Silente, «ma niente di più».
    «Quali idee, signore?»
    «Te lo dirò quando avrai recuperato quel ricordo dal professor Lumacorno» concluse Silente. «Quando avrai quell’ultimo pezzo del rompicapo, tutto sarà chiaro, spero… a entrambi».
    Harry ardeva ancora dalla curiosità e, anche se Silente si era avvicinato alla porta e la teneva aperta, non se ne andò.
    «Voleva ancora il posto di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, signore? Non ha detto…»
    «Oh, senza dubbio voleva il posto di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure» replicò Silente. «Le conseguenze del nostro breve incontro l’hanno dimostrato. Vedi, non siamo mai riusciti a trattenere un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure per più di un anno da quando rifiutai quel posto a Lord Voldemort».
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